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Il voto in Catalogna: un punto di svolta per la politica in Spagna

Domenica 14 febbraio si vota nella Comunità Autonoma catalana.

Un voto, che come abbiamo avuto modo di spiegare ha una valenza nazionale e che darà risposta – attraverso il responso delle urne – ad almeno tre questioni centrali.

La prima è quale sarà l’esito della spregiudicata scommessa politica dei socialisti – perno dell’“esecutivo di minoranza” a livello centrale – fatta allo scopo di affrontare i due anni senza elezioni che ha di fronte con in mano la gestione dei fondi UE, senza l’incognita della questione catalana.

Una sconfitta a Barcellona, avrebbe delle conseguenze pesanti a Madrid, costituendo un effetto boomerang per Pedro Sánchez e soci.

La seconda è la tenuta o meno della “maggioranza” indipendentista – e il peso delle formazioni maggiori che la compongono – e dunque il possibile rilancio dell’iniziativa di de-connessione da Madrid.

La terza, è quale sarà la configurazione della destra “costituzionalista”, e se verrà confermata l’ascesa di Vox a detrimento del PP e di Ciudadanos.

I socialisti del PSC, con l’ex ministro della salute Salvador Illa come capolista, voluto fortemente da Sánchez, si giocano una partita importante ed hanno puntato tutto sull’ipotesi di fare punto a capo rispetto a questi dieci anni politici caratterizzati dal procés, con un programma di rilancio economico della regione supportato dai fondi – in sovvenzioni e prestiti – che verranno elargiti alla Spagna all’interno del Next Generation EU.

Illa, in una recente intervista a The Guardian, rispetto al recente ciclo politico catalano non usa mezzi termini: “dieci anni persi di incrementata divisione” e dice chiaramente non lavorerà mai per l’indipendenza catalana dal governo perché penso che “feriscono e dividono la Catalogna”.

L’agenda politica dei socialista metterebbe al centro il rafforzamento del sistema sanitario pubblico e il rilancio dell’economia.

Illa, promette di immettere ben 5 miliardi di euro nel sistema sanitario catalano nei prossimi 5 anni, con una riconfigurazione complessiva dei servizi, e la creazione di 140 mila posti di lavoro negli anni a venire.

L’ex ministro della salute vuole portare la regione – che dal 2018 ha ceduto il primo posto per la percentuale di PIL rispetto Madrid – al centro di un piano di sviluppo usando i fondi europei nell’automotive, nel turismo e nell’ingegneria chimica.

Le tre maggiori formazioni indipendentiste – ERC, JxC e la CUP – hanno recentemente firmato su impulso di Catalans por Independència una dichiarazione congiunta che li impegna a non andare al governo con la branca catalana dei socialisti (PSC), azzerando le illazioni su un possibile approccio più dialogante di ERC con i socialisti anche in ambito catalano. Ipotesi che la stessa formazione aveva negato con forza.

Chi sono i tre capi-lista delle tre formazioni?

Pere Aragonès per ERC, che ha “retto” fin qui il governo regionale dopo l’estromissione di Torra, a settembre, e l’avvio delle elezioni anticipate; Laura Barràs, che ha vinto le primarie di JxC – filologa catalana ed ex ministra della cultura, fino a correere vittoriosamente nelle elezioni legislative del 2019 –, e Dolores Sabater per la CUP, ex sindaca di Badalona, eletta con una coalizione trasversale, in carica fino alla mozione di sfiducia portata avanti dai socialisti ed appoggiata dalla destra (PP e Ciudadanos).

Tutte e tre le formazioni hanno nel loro programma politico due punti sostanziali: il raggiungimento dell’indipendenza repubblicana come orizzonte strategico e la realizzazione dell’amnistia per le 3.000 persone implicate a diverso modo nelle mobilitazioni dal 2017 ad oggi.

Differiscono invece rispetto all’approccio tenuto nei confronti dell’esecutivo PSOE-Podemos Unidos, al posizionamento rispetto alla UE e alle politiche sociali in genere.

Vediamo i capi-lista delle altre maggiori formazioni.

Nel composito quadro della destra iberica, Vox sembra guidare l’opposizione frontale all’indipendentismo ed è abbastanza certo che possa giungere in quarta posizione nella competizione elettorale, superando il Partido Popular di Casado, che attualmente ha quattro seggi e come capolista Alejandro Fernández.

Ciudadanos, che nelle ultime elezioni aveva conquistato 36 seggi – 11 in più della già importante affermazione del 2015 –  senza però riuscire a diventare il perno di un possibile esecutivo, sembra relegato ad un ruolo marginale, e destinato ad un drastico calo. Attraverso il suo candidato Carlos Carrizosa – da sempre figura di spicco della formazione – ha offerto il suo appoggio ad Illa.

Ignacio Garriga, capolista di Vox e transfugo del PP, eletto nelle ultime elezioni legislative spagnole nel 2019 nelle fila della formazione di estrema-destra, potrebbe passare alla storia come colui che fa entrare il partito di Santiago Abascal nel Parlament e superare i popolari, che comunque si confermano nuovo perno della mobilitazione reazionaria anti-indipendentista.

Jéssica Albiach è invece la candidata di En Comú Podem. Giornalista e fotografa, era una attivista del movimento M-15, poi candidatasi con Podemos, e dal 2019 coordinatrice insieme alla Colau e Lopéz di Catalunya En Comú.

Sotto lo slogan El Cambio que Catalunya merece, propone un cambiamento nel governo regionale. Ha reiterato la proposta di un governo “tripartito” con i socialisti ed ERC e criticato queste due formazioni per i loro veti incrociati. La formazione è una creazione della sindaca di Barcellona Ada Colau, riconfermata grazie ai voti di Manuel Valls, ed ha un radicamento limitato alla capitale catalana.

En Comú Podem, che sostiene l’attuale esecutivo nazionale, ha conosciuto varie defezioni negli anni, tra cui quella del suo leader Xavier Domènech, in generale per la sua posizione piuttosto timida – per usare un eufemismo – nei confronti della tematica indipendentista. Potrebbe confermare gli otto seggi conquistati precedentemente.

Nel contesto pandemico, la prima grande incognita è la partecipazione elettorale che si è storicamente attestata dentro una forbice che va dal minimo storico nel 1992 (54%) al picco di partecipazione del 79% nelle ultime elezioni.

È chiaro che l’esito delle urne, in una maniera od in un’altra, implicherà un cambio di passo per la politica iberica.

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