Di seguito pubblichiamo un’interessante intervista realizzata da Il Manifesto in cui il segretario della coalizione di sinistra greca Syriza, Alexis Tsipras, si sofferma su questioni e nodi che normalmente la cronaca politica tende a bypassare. Anche quelle cronache che, in maniera ottusamente entusiastica, in questi giorni si sforzano di raccontare quella che viene descritta come l’inevitabile vittoria di una sinistra che una volta al governo risolverà ogni problema. Una visione salvifica che lo stesso Tsipras si incarica di smentire, ricordando intanto che quella greca è una società intimamente conservatrice, e che conquistare il governo – ammesso che il partito ce la faccia, il che è ancora tutto da vedere – non significa conquistare il potere. Alludendo al fatto che solo un pezzo di società strutturata e organizzata che affianchi l’opera di governo può rendere possibili alcuni cambiamenti che altrimenti sarà molto difficile operare.
Interessante nell’intervista il richiamo all’America Latina, anche se ad uno dei processi di segno più moderato – quello brasiliano – e meno derivanti dalla presa di coscienza e dall’organizzazione anche sul fronte della rappresentanza, oltre che su quello del conflitto e della vertenzialità, di strati sociali fino a quel momento esclusi dalla politica come è avvenuto in Venezuela e ancor più in Bolivia ed Ecuador.
Netto anche il giudizio su quella che Tsipras definisce la “socialdemocrazia geneticamente modificata” che in tutta Europa ha adottato i valori e i dettami del liberismo. Una socialdemocrazia ridotta all’osso in Grecia ma che potrebbe rappresentare un utile alleato per Syriza al momento di formare una coalizione di governo se non dovesse raggiungere la maggioranza assoluta. Alleanza che porrebbe però a Tsipras il problema di concedere qualcosa su un programma già non particolarmente radicale.
Assai debole invece sembrano l’analisi e il discorso del leader di Syriza rispetto alla natura e alle prospettive di un’Unione Europea che non viene considerata per quello che è, un polo imperialista in via di rafforzamento, una gabbia fatta di meccanismi coercitivi e dispositivi automatici che espropriano la volontà popolare a livello dei singoli stati riducendo infinitamente lo spazio di manovra politico ed economico che fino a pochi anni fa un eventuale governo di sinistra avrebbe potuto avere a disposizione in Grecia come altrove per poter imporre un cambiamento di rotta. Potrebbe essere questo il punto debole del progetto della sinistra greca: sottovalutare la capacità di governo di un meccanismo di integrazione europea che va al di là del colore dei singoli esecutivi che compongono la federazione, pensando invece di poter mutare, tramite l’accesso al governo, meccanismi che solo una rottura può invece mettere in discussione. Quella rottura che i popoli e le forze progressiste dell’America Latina hanno dovuto produrre – a volte anche in circostanze tragiche – nei confronti dei progetti statunitensi di creazione di un’unica area economico-politica che abbracciasse l’intero continente alla quale invece i governi nati dalla ventata di partecipazione popolare e cambiamento hanno opposto l’Alba.
Pensare di mettere in scacco il meccanismo dal di dentro – “siamo un partito filoeuropeo”, dice Tsypras – segnala una falla nell’analisi e nella proposta di Syriza che potrebbe costare assai cara al popolo greco.
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Tsipras: «La scommessa di Syriza come quella del Brasile di Lula»
Teodoro Andreadis Synghellakis, greco ma quasi dalla nascita residente in Italia dove i suoi genitori si erano rifugiati durante la dittatura, ha scritto un libro – «Alexis Tsipras. La mia sinistra» – che contiene una assai interessante intervista con il leader di Siryza che qui si sofferma soprattutto sulla natura del nuovo partito che la sinistra greca ha saputo darsi.
La prefazione al volume – che sarà nelle librerie da giovedì 15 — è di Stefano Rodotà e contiene anche i giudizi di un certo numero di protagonisti della politica italiana. Ve ne diamo, in anteprima, alcuni stralci.
Il rafforzamento della sinistra è ancora un processo in divenire?
Dovremo sempre tenere a mente che abbiamo l’obbligo di suscitare tra i nostri sostenitori una presa di coscienza sempre più democratica, radicale, progressista. Non possiamo permetterci il lusso di ignorare il fatto che gran parte della società greca, e anche una percentuale di nostri sostenitori, abbiano assorbito idee conservatrici; che c’è stato un tipo di progresso il quale aveva come punto di riferimento la conservazione.
Dobbiamo, inoltre, separare il significato che ha un governo della Sinistra, da un rischio di abuso di potere da parte della Sinistra. Il potere è una cosa più complessa, che non viene esercitata solo da chi governa. È qualcosa che ha a che fare anche con le strutture sociali, con chi controlla i mezzi di produzione. Noi rivendicheremo il governo del paese, così da poter dare avvio – da una posizione di forza – a quella grande battaglia ideologica e anche sociale che porterà a cambiamenti e trasformazioni i quali daranno il potere alla maggioranza dei cittadini, sottraendolo alla minoranza.
Ma la gente deve comprendere bene che il fatto che Syriza andrà al governo non significa automaticamente che il potere passerà al popolo. Significa, invece, che inizierà un processo di lotta, un lungo cammino che porterà anche a delle contrapposizioni – un cammino non sempre lineare – ma che verrà sicuramente caratterizzato dal continuo sforzo di Syriza per riuscire a convincere delle forze ancora più vaste, per accrescere la sua dinamica maggioritaria ed il consenso verso il suo programma, con l’appoggio di forze sociali sempre più ampie.
Tutto questo, per riuscire a compiere passi in avanti assolutamente necessari. Sto descrivendo un cammino che in questo periodo, seguono molti partiti e governi di sinistra in America Latina, anche se mi rendo conto che, in parte, si tratta di una realtà che può risultare estranea alla quotidianità europea.
So bene che la grande domanda che provoca un interesse cosi forte nei nostri confronti, è come tutto ciò potrà diventare realtà nel contesto della globalizzazione e all’interno dell’Unione Europea, visto che la Grecia non è un giocatore solitario.
Si tratta di una realtà che negli ultimi anni pone anche delle forti limitazioni, dal punto di vista economico…
Assolutamente. Ed è per questo, tuttavia, che io credo che la conditio sine qua non perché Syriza possa continuare a seguire un cammino fruttuoso, è che riesca a conquistare, da una parte il consenso della maggioranza della società greca e dall’altra, a garantirsi un appoggio maggioritario anche in tutta Europa.
È chiaro che la priorità, in questo momento, non è il socialismo, ma è proprio la fine dell’austerità (…)
Il fatto che gli elettori di Syriza provengano sia dall’area comunista che da quella del centro progressista è una risorsa o un problema?
Credo che Syriza sia riuscito ad arrivare dal 4% al 27% perché abbiamo avuto la capacità politica di individuare in modo molto veloce i cambiamenti politici e sociali che hanno provocato la crisi.
Intendo lo sbriciolamento, la distruzione dei soggetti sociali causata dalla politica dei memorandum.
Allo stesso tempo, abbiamo offerto una via di uscita politica a tutti i cittadini che avevano l’esigenza di potersi esprimere per fermare questo processo di distruzione. Ci siamo trovati, quindi, in modo quasi “violento”, repentino, dal 4% al 27%, e questa “violenza” ci mette ancora alla prova, perché ci costringe, comunque, a cambiare orientamento. Abbiamo avuto l’istinto di comprendere, esprimere e rappresentare gli interessi dei gruppi sociali che erano rimasti senza alcuna rappresentanza politica, senza una casa, ma devo confessare che non avevamo la cultura propria di un partito che rivendica il potere.
C’eravamo schierati, ritrovati tutti a Sinistra – anche io, ovviamente – avevamo accettato e sostenuto un modo di vita, che aveva a che fare, principalmente, con la resistenza, con la denuncia ed un approccio teorico tendente ad una società “altra”.
Non c’eravamo confrontati, però, con il bisogno pratico di aggiungere ogni giorno un piccolo mattone per poter costruire questa società di cui parlavamo, specie in un momento difficile come quello che stiamo vivendo.
Se domani Syriza sarà chiamata a governare, sarà obbligata ad affrontare una situazione sociale, una realtà drammatica: la disoccupazione reale al 30%, una povertà diffusa, una base produttiva praticamente distrutta. E si tratterà – fuor di dubbio – di una scommessa enorme, anche questa di portata storica.
Si potrebbe dire che sarà una scommessa simile a quella del Brasile di Lula, quando venne eletto presidente.
Noi, intendo la Sinistra nel suo complesso, dobbiamo cercare (senza trovarci nella difficilissima posizione e nel ruolo del capro espiatorio), di riuscire a mantenere la coesione dei gruppi sociali, all’interno di un progetto di ricostruzione produttiva, di democratizzazione e di uscita dalla crisi. Ed è un’impresa molto difficile.
Guardando tutto ciò anche da fuori, si può guardare in questo momento a Syriza quasi come ad un caso unico, dal momento che non appartiene alla famiglia della socialdemocrazia, non si identifica nelle posizioni dei partiti tradizionalmente comunisti e sta cercando di tracciare una strada nuova, creando un spazio nuovo tra queste due grandi famiglie. Si potrebbe parlare di un esperimento che cerca di riformare le posizioni della Sinistra, tenendo insieme, appunto, i suoi “punti forti” e il bisogno di modernità?
Possiamo dire che è cosi, ma si tratta di un processo che è iniziato da metà degli anni Novanta, quando in Grecia è stata creata la Coalizione della Sinistra e del Progresso, Synaspismòs. Parliamo del periodo in cui, in Europa, una serie di partiti post comunisti – dopo la caduta del Muro di Berlino – cercavano di apporre il loro tratto ideologico e politico, andando oltre i confini della socialdemocrazia e della strada seguita sino ad allora dai partiti di area comunista. È in quel periodo che si è formato anche il Partito della Sinistra Europea che comprendeva e continua a comprendere anche alcuni partiti comunisti. Sono dei partiti, tuttavia, che hanno compiuto una seria autocritica riguardo al periodo stalinista ed hanno rinnovato il loro modo di interpretare ed elaborare la realtà. Tra i membri del Partito della Sinistra Europea, ovviamente, ci sono anche forze come Syriza, la coalizione in cui si è trasformato Synaspismòs.
Analizzando la cosa, qualcuno potrebbe dire che questo tratto ideologico è riuscito a raggruppare delle forze appartenenti a una Sinistra indebolita ed in disfacimento, che non riusciva a superare il 6 o 7%. Ora, però, Syriza sta rivendicando la guida della Grecia, il governo del paese. Io vedo come una cosa estremamente positiva il fatto che il nostro sia un partito giovane ma con alle spalle, tuttavia, una lunga tradizione. Le sue radici affondano nel secolo passato, ma quello che abbiamo, appunto, è un partito giovane.
Altrettanto positivo è il fatto che non appartenga al blocco di forze le quali continuano a seguire l’ortodossia comunista, e che non faccia parte della famiglia socialdemocratica.
Stiamo parlando, ovviamente, di una socialdemocrazia che oggi è parte integrante della crisi in atto e che ha una grande responsabilità per lo stato in cui si è venuta a trovare l’Europa.
È una socialdemocrazia “geneticamente modificata”, che ha adottato quasi tutti i credo neoliberisti. In questo senso, quindi, potremmo dire che tanto Syriza quanto gli altri partiti della nuova Sinistra dell’Europa non portano sulle spalle il peso dei “peccati originali” di alcune forze che appartengono alla nostra tradizione. Contemporaneamente, non sono neanche responsabili dei grandi delitti perpetrati dalla socialdemocrazia nel periodo che stiamo vivendo.
Siamo in grado, cioè, di offrire una prospettiva più ampia, di catalizzare ed unire forze ancora maggiori, rispetto a quelle raggruppate, tradizionalmente, dalle forze del blocco socialista.
A chi è solito sottolineare che siamo un partito filoeuropeo – il quale comprende la situazione che si è venuta a creare con la realtà data della globalizzazione – ma non apparteniamo a nessuna grande famiglia politica dell’Europa, vorrei ricordare questo: nel 1981, anche il Partito Socialista del Pasok, di Andreas Papandreou, si trovava esattamente nella nostra stessa situazione: non apparteneva, in realtà, né all’Internazionale Socialista, né ai partiti socialdemocratici e neanche alla sinistra socialista.
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