Che tempi sono quelli in cui, se si vogliono avere informazioni di prima mano sui Paesi “nemici”, bisogna rivolgersi a fonti fuori dal mainstream neoliberista? Tempi di guerra fredda, come minimo.
Ma diversamente dalla prima – in cui ha certamente giocato da “avanguardia” nella lotta al “socialismo reale” – nella nuova tornata il Vaticano sta per ora tenendo un profilo decisamente più neutro. Vedremo col tempo, e con il successore a Bergoglio, se questa linea ha un carattere strategico oppure solo contingente.
Per adesso, però, se si vuol sapere qualcosa su Cina, Russia e altri paesi – oltre naturalmente alle fonti “autoctone” – è bene dare un’occhiata anche ai media d’Oltretevere.
Sui vaccini cinesi, per esempio, sui media italiani vige una sorta di patto di omertà. Vengono nominati distrattamente, come qualcosa che non esiste, oppure che si trova alla stadio di “speranza”, come direbbero anche scienziati per altri versi attendibili.
Curiosi di sapere se queste benedette alternative alla trimurti Pfizer-Moderna-AstraZeneca esistano o meno, abbiamo trovato questo articolo de L’Avvenire. Di sicuro non empatizzante con Pechino, ma se non altro ricco di informazioni che non trovano spazio altrove. Tipo che in Cina “la pandemia è azzerata”, grazie a lockdown mirati e tamponi di massa; e che dunque la necessità di vaccinare tutti è un po’ meno urgente.
Proprio come qui da noi, no?
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L’asticella l’ha fissata Feng Duojia, presidente della China Vaccine Industry Association. In un’intervista rilasciata al Global Times, tabloid espressione del Partito comunista cinese, il presidente dell’associazione che raccoglie le aziende produttrici di vaccini ha assicurato che la Cina arriverà a sfornare 4 miliardi di dosi all’anno, coprendo, in questo modo, il 40% della domanda mondiale.
Il settore è in prima linea. E in piena fibrillazione. Sa di dover accelerare per rispondere alla “chiamata” ai vaccini lanciata dal presidente cinese Xi Jinping. Non si tratta ormai soltanto di affrontare un’emergenza sanitaria – che di fatto in Cina è finita – ma di giocare una “partita” tutta geopolitica.
Una partita delicata. Perché l’affaire Covid tocca un nervo scoperto per il gigante asiatico: quello delle responsabilità e i ritardi con cui è stata affrontata una pandemia sfuggita, di fatto, al controllo cinese e che ha finito per flagellare il mondo.
Lo stesso Xi ha provato a cancellare ombre e sospetti, esibendo un approccio estremamente collaborativo (tutto il contrario di quello inscenato dall’allora presidente americano Donald Trump). Nel maggio del 2020, dinanzi alla platea virtuale dell’Assemblea mondiale – il più importante organo decisionale dell’Organizzazione mondiale della Sanità –, Xi ha assicurato il contributo cinese «per garantire l’accessibilità nei Paesi in via di sviluppo».
Pechino ha aderito al programma Covax avviato congiuntamente dall’Oms e dall’Alleanza globale per i vaccini e che vuole portare 1,3 miliardi di dosi nel Sud del mondo.
Ma il presidente cinese sa anche che la “diplomazia dei vaccini ”è anche una potentissima arma per intrecciare relazioni, consolidare rapporti, imporre rapporti di forza inediti. Come ha sottolineato Huang Yanzhong, del prestigioso think tank Council on Foreign Relations, «il vaccino contro il Covid-19 è diventato uno strumento per aumentare l’influenza globale della Cina».
Di qui l’ordine di accelerare. La produzione innanzitutto. Perché la corsa cinese sta registrando, in realtà, due velocità. In casa: fino a febbraio, sono state somministrate nel gigante asiatico 52,5 milioni di dosi di vaccini. Il Paese, attualmente, viaggia attorno a un tasso di vaccinazione del 3,5%. Una performance – complice anche la situazione della pandemia ormai azzerata dentro i confini nazionali –, non proprio brillantissima.
Altri Paesi stanno facendo meglio. Il Global Times ha fatto sapere che Pechino punta a vaccinare 560 milioni di persone entro la fine di giugno. Altri 330 milioni di persone saranno vaccinate entro la fine dell’anno. L’obiettivo dichiarato è coprire, complessivamente, il 64% della popolazione cinese.
«Se l’immunità di gregge sarà raggiunta entro la fine dell’anno – si legge sull’organo di informazione – allora è probabile che le restrizioni ai viaggi internazionali che la Cina ha imposto possano essere revocate».
Diversa è la velocità imboccata per rispondere alla domanda di vaccini che arriva dall’estero. Pechino combina, qui, abilmente filantropismo e “astuzia” diplomatica. Il Dragone ha donato vaccini a 53 Paesi e ha venduto sieri ad altri 27.
Un esempio su tutti per scoprire il modus operandi cinese. Il presidente serbo Aleksandar Vucic, dopo l’arrivo in Serbia di altre 500 mila dosi di vaccino della Sinopharm, ha annunciato «una sensibile intensificazione degli investimenti cinesi in Serbia, in particolare nel campo delle infrastrutture e dell’agricoltura».
Il mercato dei vaccini nel 2019 valeva in Cina 42,5 miliardi di yuan (6,5 miliardi di dollari), il 20% del mercato globale (32,6 miliardi di dollari). Ora si attende la sua “esplosione”.
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