Il “multipolarismo” che vorrebbe riesumare Biden è del tipo che serve a contrastare la Cina e mantenere dell’egemonia statunitense.
Come ha affermato il Ministro degli Esteri cinese Wang, prima dell’annuncio dell’incontro del cosiddetto Quad (USA, Giappone, Australia, India), riferendosi a questa particolare diplomazia made in USA, si tratta di un “multilateralismo selettivo”, in contrasto con un “vero multeralismo”, che implicherebbe una cooperazione realmente allargata con gli attori politici tutti su questioni rilevanti.
Cioè quel tipo di relazioni diplomatiche a cui aspirerebbe Pechino su un ampio spettro di questioni, dal Covid all’emergenza climatica alla pace mondiale.
Ma agli USA non intendono rientrare nel consorzio internazionale senza restare “primi tra pari”. Dopo una tormentata transizione politica, e ora con l’approvazione dell’ambizioso piano economico da 1.900 miliardi di dollari anche al Senato, diventata legge questo giovedì, sono ora proiettati a perpetuare “l’eccezionalismo americano”.
Nel suo primo discorso internazionale da presidente neo-eletto, a febbraio, durante la Conferenza sulla Sicurezza a Monaco, era già stato chiaro: “L’America è tornata!”. L’alleanza translatlantica doveva conformarsi a una “competizione a lungo termine con la Cina”.
La necessità per Washington di intessere relazioni adatte a procedere in tal senso è evidente, così come lo è la difficoltà nel trovare convergenze con gli altri attori politici che si muovono sullo scenario della competizione mondiale, se l’obbiettivo è ripristinare alleanze con un rapporto di forza favorevole agli USA.
Gli ostacoli non sono solo dovuti alla ruggine prodotta dallo sfacciato unilateralismo dell’amministrazione Trump ed al suo stile assai poco “canonico” rispetto alla prassi diplomatica, ma riguardano questioni di competizione anche piuttosto specifiche e immediate; la questione dei vaccini, per esempio, è uno dei motivi di tensione con Washington da parte della UE.
Naturalmente, il rallentamento della campagna di vaccinazione europea non è solo una diretta conseguenza della volontà statunitense di privilegiare la propria popolazione, ma discende dalle storture di una divisione internazionale del lavoro che permette l’esportazione dei vaccini prodotti all’interno della UE verso una dozzina di Stati (34 milioni di dosi nelle recenti settimane) proprio mentre l’Europa si scopre a corto di forniture; discende inoltre dalla dipendenza nei confronti di un’altra ottantina di Stati per quanto riguarda i materiali necessari a produrre vaccini. E non ultimo discende dalla gabbia dei brevetti che tutela in questo caso una delle più infami tra le proprietà, soprattutto se si pensa al finanziamento pubblico delle scoperte scientifiche.
Su questo aspetto strategico – la vaccinazione – per ciò che comporta i futuri equilibri post-pandemici, i numeri parlano chiaro: l’UE ha vaccinato solo il 6,5% dei suoi cittadini contro il 33% della Gran Bretagna, ed il 18% degli Stati Uniti. Un gap, che a meno di scelte drastiche, non sembra destinato ad assottigliarsi e che ha precise ricadute pratiche nella competizione internazionale. Come minimo sul piano economico, visto il ritardo che ciò implica per la “ripresa”.
Dopotutto era stata proprio l’autorevole rivista statunitense Foreign Affairs, circa un anno fa, a parlare della ricerca del vaccino come una sorta di nuovo “Progetto Manatthan”, paragonandola al piano per produrre la bomba atomica durante il Secondo Conflitto Mondiale.
Gli USA quindi devono, dentro la competizione internazionale, risolvere la difficile equazione politica delle alleanze.
Come afferma un esperto intervistato nell’articolo che abbiamo qui tradotto: “Il punto focale in questo momento è mostrarsi forti con la Cina”, dice. “Tutti a Washington, da entrambe le parti della barricata, convergono sul fatto che la Cina è il competitor strategico”.
Democratici e Repubblicani hanno ben in testa la posta in gioco complessiva di questa sfida geo-politica, e tra i consiglieri più influenti dell’attuale amministrazione non sono certo pochi i “falchi” legati a doppio filo al complesso militar-industriale.
Le mosse di Biden sono su questo fronte sempre più chiare.
Un neo-atlantismo teso a dare una funzione più marcatamente anti-cinese alla NATO, oltre all’antagonismo storicamente espresso nei confronti della Federazione Russa.
E questo porta ad allargare il perimetro della collaborazione del cosidetto “Quad” con Australia, Giappone e India, ben sapendo che anche sul piano militare l’Indo-pacifico è una priorità.
Ripristinare l’accordo sul nucleare con l’Iran da una posizione di forza, sganciandosi dall’allineamento con l’Arabia Saudita ma perpetuando la politica di “normalizzazione” dello Stato di Israele con gli Stati Arabi del Golfo, e continuando con la sua politica bellicista in Siria .
Rideterminare un piano per l’Africa, da un lato teso a sbarrare la strada alla consolidata influenza cinese e russa, privilegiando i propri interessi anche a discapito della diplomazia europea.
Non ultimo, continuare nel pressing nei confronti dell’esperienze progressiste nel proprio cortile di casa, a cominciare da una politica meno interlocutoria di quella obamiana nei confronti di Cuba e continuando la guerra sporca contro la rivoluzione bolivariana in Venezuela.
Dopo questo giro del Tricontinente, per tornare alla politica statunitense nei confronti della Cina, si tratta di proseguire la guerra commerciale promossa da Trump, di intensificare le pressioni riguardanti la politica interna cinese (Xinjiang e Honk Kong) e che quindi ledono la sua sovranità, su cui i diplomatici cinesi hanno avvertito più volte agli Usa di non provare a oltrepassare questa “linea rossa”, oltre ad una serie di mosse economiche e militari ben descritte dall’articolo di Sevastopulo.
Naturalmente, due sono le variabili principali rispett all’azione geopolitica di Washington.
La prima è quali saranno le reazioni di Pechino e quali effetti provocheranno nei mutevoli equilibri del mondo ora multipolare.
La seconda è quale sarà il ruolo dell’Unione Europea, visto che, come afferma un esperto intervistato da un giornalista del Financial Times, “la cooperazione USA-UE sarà più tosta di quel che ognuno vorrebbe ammettere. Facile a dirsi, ma difficile a farsi.”
Questo perché, come abbiamo avuto più volte rimarcato, sui settori strategici dell’attuale modo di produzione il furto tra ladri sarà sempre più la prassi consolidata, al di là degli orpelli diplomatici e le relative narrazioni mainstream con cui verrà edulcorato.
Buona lettura
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USA versus Cina: Biden scommette sulle alleanze per contrastare Pechino
Nelle sue prime settimane da presidente Biden si è focalizzato sulla distribuzione dei vaccini contro il Covid-19 e sull’approvazione del pacchetto di stimoli da 1,9 trilioni di dollari. Ma è stato anche chiaro nel mandare un altro messaggio importante: sulla Cina lui non sarà debole.
La settimana scorsa, parlando alla conferenza online sulla sicurezza di Monaco, Biden ha detto che gli Stati Uniti e i suoi alleati affrontano una “competizione strategica a lungo termine” con la Cina e devono “opporsi” agli “abusi economici e la coercizione di Pechino che stanno tagliando le radici del sistema economico internazionale”.
“Siamo nel bel mezzo di un dibattito fondamentale sul futuro e la direzione del nostro mondo”, ha detto, una scelta tra chi crede che “l’autocrazia sarà il miglior modo per andare avanti e chi pensa che invece la democrazia sia essenziale”.
Dalla proclamazione di Biden, Antony Blinken, il suo segretario di stato, ha descritto la detenzione di 1 milione di Uiguri nei campi di lavoro come un “genocidio”. E Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale che ha bacchettato la Cina sull’”assalto” alla libertà di Hong Kong, ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero “imporre costi” alla Cina per i suoi abusi.
Mentre l’amministrazione Biden ha provato a far emergere una chiara rottura con il suo predecessore su quasi ogni aspetto, le posizioni riguardo la Cina suonano spesso familiari. Biden ha addirittura fatto capire che non sembra avere alcuna intenzione di rimuovere i dazi imposti da Trump sulle importazioni durante la sua guerra commerciale.
“La gente pensava che ci sarebbe stata un’enorme differenza tra le amministrazioni Trump e Biden”, dice Nadège Rolland, un esperto sulla Cina al National Bureau of Asian Research. “Ma dalle prime settimane sembra che ci sarà molta continuità, non nei toni, ma nella lucidità dei pericoli imposti dalla Cina.”
C’è una grande differenza comunque. Biden crede che lui possa creare una strategia molto più effettiva evidenziando terreni comuni con gli alleati e i partner degli Stati Uniti. Nelle interviste con una serie di ufficiali esperti che sono a capo dei rapporti dell’amministrazione con la Cina, descrivono una strategia che può essere sintetizzata come severa, ma con l’appoggio degli alleati.
Gli ufficiali di Biden credono che Trump abbia fatto bene ad aver avuto posizioni più tenaci contro la Cina. Ma ha sbagliato nel metodo, sostenendo che l’ex presidente, il quale ha speso tantissimo tempo a criticare il fatto che gli Stato Uniti difendevano troppo gli alleati europei e asiatici, abbia creato vuoti di potere e alleanze più deboli.
Un ufficiale ha detto ad un reporter che Biden vuole creare quello che Dean Acheson, segretario di stato del dopoguerra, definì come “situazioni di forza”, dove nazioni sulla stessa linea d’onda collaborano per affrontare insieme le minacce.
Ma la domanda che si pone in questo momento è quanto realmente gli alleati, specialmente quelli europei, vogliono entrare a far parte di questi piani. Mentre l’opinione riguardo la Cina è peggiorata in molti paesi, gli alleati europei in particolare sono riluttanti nel dover aprire un confronto in stile guerra fredda con la Cina.
“C’è un ampio desiderio di dialogo, ma molti paesi europei preferirebbero tenere un approccio passo dopo passo”, dice un ufficiale.
Quando Obama è diventato presidente nel bel mezzo della crisi del 2009, la strategia era quella di evitare conflitti non necessari con la Cina.
L’amministrazione Biden, che opera con molti di quegli stessi ufficiali, non esclude la cooperazione con la Cina. Ci sono infatti questioni più calde da risolvere, come l’Iran, la Corea del Nord e il cambiamento climatico. Ma il nuovo presidente, dicono, è più focalizzato sul ricostruire alleanze.
“Hanno già fatto capire che non c’è bisogno di creare un dialogo fine a se stesso”, dice Evan Madeiros, ex ufficiale sull’Asia di Obama.
Comunque, l’esperto sottolinea che gli Stati Uniti “non escludono dialogo a prescindere” con Pechino, ma vorrebbero esplorare prima terreno comune con gli alleati. “Stiamo mettendo da parte un tesoro fatto da un’ampia gamma di prospettive da parte dei nostri partner e alleati per aiutarci a creare una prospettiva strategica”, afferma.
Mercoledì Biden ha pubblicato la sua “guida strategica alla sicurezza nazionale”, in cui afferma che la Cina è “globalmente l’unico competitor dal punto di vista militare, economico e diplomatico in grado di poter scalfire un sistema internazionale stabile e aperto”.
In Asia, Biden vuole rafforzare il “Quad”, un gruppo che include Giappone, Australia e India, per difendersi dalla Cina. Il Financial Times ha riportato questa settimana che la Casa Bianca sta organizzando un incontro tra India, Australia e Giappone basato sulla diplomazia del vaccino per contrastare le ambizioni cinesi.
In Europa il suo team è in contatto con ufficiali cercando di trovare punti in comune su cui può cooperare sulla Cina.
Ma gli ufficiali statunitensi si rendono che, mentre gli Stati Uniti e l’Europa condividono molti valori, c’è una differente sensazione di rischio tra le due sponde dell’Atlantico. Dopo che Biden ha parlato alla conferenza di Monaco, sia Angela Merkel che Emmanuel Macron hanno affermato con enfasi la necessità di cooperare con la Cina.
Ufficiali statunitensi ed europei hanno rivelato che intratterranno discussioni nelle prossime settimane su tutto, dagli approcci strategici a problemi specifici come quello di cercare di lavorare assieme affinché la Cina non arrivi a possedere tecnologie sensibili.
Un terzo ufficiale statunitense dice che le discussioni avranno l’obiettivo di trovare punti di convergenza e di costruire coalizioni “sovrapponenti”, piuttosto che un grande fronte unico contro la Cina, per generare “la più ampia gamma di visioni”.
Medeiros aggiunge che mentre la Merkel e Macron sono stati precisi sul fatto che “allearsi contro la Cina non è al momento sulla carta”, gli USA possono creare coalizioni su punti specifici.
“C’è un reale intreccio geopolitico nel cercare di spingere l’Europa nel confronto con la Cina. Ma è diverso da un approccio in stile Kissinger di costringere l’Europa ad allearsi con l’America contro la Cina.”, afferma. “Non dovremmo aspettarci da Biden, Merkel e Macron di alzare la testa e dire: “Noi dobbiamo lavorare ad una conferenza in stile Yalta per bilanciare la forza della Cina”.
Gli ufficiali americani sono sicuro di poter trovare cause comuni con l’Europa su temi come gli Uiguri o Hong Kong e a livello economico l’accesso al mercato cinese. Ma dicono sarà più difficile accordarsi riguardo la tecnologia, in particolare sul dibattito attorno al 5G che ha raffreddato le relazioni transatlantiche sotto l’amministrazione Trump.
Una sfida per Washington sono i differenti calcoli politici fatti che devono essere fatti per bilanciare economia e sicurezza.
Nathan Sheets, ex ufficiale del Tesoro, afferma che il comportamento severo di Biden riflette l’umore bipartisan del Congresso, considerando inoltre il fatto che sembrare deboli contro la Cina rovinerà la performance democratica alle elezioni del 2022.
“Il punto focale in questo momento è mostrarsi forti con la Cina”, dice. “Tutti a Washington, da entrambe le parti della barricata, convergono sul fatto che la Cina è il competitor strategico”.
Dall’altra parte dell’Atlantico, invece, la situazione è più mista in quanto alcuni politici pensano che riceveranno maggiori gratificazioni nell’intrattenere buoni rapporti con Pechino.
“Quando ho descritto la minaccia della strategia cinese e la necessità di una reazione competitiva con ministri degli esteri e ufficiali di sicurezza in Europa, concordavano completamente con me”, dice Alex Wong, ex ufficiale di Trump ora all’Hudson Institute. “La domanda è sempre stata se fossero in grado di convincere i propri politici o meno”.
Ma Wong afferma che i legislatori europei sembrano voler adottare una linea più aggressiva contro la Cina dopo la mancanza di trasparenza nel periodo dello scoppio della pandemia.
In un altro esempio della sfida, l’amministrazione Biden è rimasta stizzita dopo che l’Europa ha firmato un nuovo trattato con la Cina proprio prima che il presidente si insediasse, anche nel momento in cui Sullivan aveva fatto capire che si preferiva che l’Europa scambiasse due chiacchiere prima di procedere.
“La cooperazione USA-UE sarà più tosta di quel che ognuno vorrebbe ammettere. Facile a dirsi, ma difficile a farsi vista la firma dell’accordo sugli investimenti UE-Cina,” dice Anja Manuel, direttore dell’Aspen Security Forum. “Non è stato il modo ideale per iniziare”.
Il primo ufficiale statunitense ha detto al FT che loro credevano che la Cina avesse messo sul tavolo un accordo talmente attraente che l’Unione Europea si fosse sentita coinvolta abbastanza da sentire il dovere di muoversi velocemente. Ma dice che gli ufficiali che poi lessero i testi si sentirono delusi dalle concessioni che la Cina aveva fatto.
“Siamo preoccupati che questi tipi di accordi non spingano la Cina ad abbandonare certi elementi delle proprie pratiche economiche”, dice.
Mentre le preoccupazioni riguardo il commercio possono influenzare alcuni politici a fare un passo indietro, un problema per gli USA è che la percezione di minacce economiche e di sicurezza da parte della Cina in Europa non sia forte quanto a Washington.
“Gli europei hanno finalmente capito che la Cina non si liberalizzerà politicamente sotto Xi Jinping, ma sperano ancora di poter influenzare il comportamento cinese sugli affari economici”, afferma Rolland, ex ministro della difesa francese.
Susan Thorntorn, un’ex ufficiale della sezione Asia del dipartimento di stato ora alla Yale Law School, dice che mentre gli europei hanno delle preoccupazioni riguardo il capitalismo di stato cinese e il loro fregarsene delle regole economiche, vedono l’ascesa della Cina in modo meno minaccioso degli americani.
“Gli ufficiali europei focalizzati sullo scacchiere asiatico sono abituati a vedere potenze in ascesa e decadenza e quindi sono tranqulli riguardo l’ascesa cinese e non vedono le cose in modo manicheo”, afferma. “C’è un cambio di potere strutturale che scuote la narrativa americana sulla Cina, quindi gli USA tendono a preoccuparsi troppo riguardo il declino.”
Mentre gli USA cercano di trovare accordi con gli alleati, le loro azioni nel Pacifico testimoniano il comportamento aggressivo di Biden sulla Cina. La Marina statunitense ha condotto operazioni di navigazione libera nello stretto di Taiwan e fatto esercitiazioni sulle portaerei nel Mar Cinese Meridionale, per la terza volta dal 2012.
Ma l’amministrazione Biden deve ancora prendere decisioni reali che mostrerebbero che la sua retorica potente combacia con azioni effettivamente aggressive.
Mike Gallagher, legislatore repubblicano del Wisconsin e principale critico della Cina, dice di vedere segni incoraggianti, ma è ancora fermo sul “se non vedo non credo”. “La buona notizia è che tanti consiglieri di Biden hanno cominciato ad essere lucidi sulla crescente minaccia del Partito Comunista Cinese”.
Assieme a Blinken e Sullivan, Biden ha nominato come coordinatore dell’Indo-Pacifico Kurt Campbell e Laura Rosenberg come ufficiale dei rapporti con la Cina. Nel frattempo, al Pentagono è stato chiesto a Ely Ratner, un altro “falco”, di dirigere la commissione sulle politiche da adottare con la Cina.
Ma una prima prova del nove potrebbe riguardare la situazione nello Xinjiang. Nella sua prima chiamata con Xi da presidente, Biden ha affermato che ci sarebbero state “ripercussioni” per la questione uigura nella Repubblica Popolare. Successivamente, però, è tornato sui suoi passi, affermando che “ogni paese ha le proprie regole che ogni leader deve rispettare”.
Mentre i difensori spiegavano che la Cina potrebbe vedere la situazione differentemente, i critici si chiedevano se prenderà effettivamente decisioni serie.
“È chiaro che Biden non è un falco quanto i suoi consiglieri”, dice Gallagher, preoccupandosi della sua possibile mancanza di ascolto dei suoi consiglieri più aggressivi.
Un’altra misura del comportamento di Biden riguarderà quanto sarà in grado di impedire alla Cina di ottenere nuova tecnologia sensibile, un’area in cui Trump è stato pesantissimo, impedendo l’export a compagnie quali Huawei, DJI, che produce droni, e SMIC, produttrice di semiconduttori.
Mentre Trump ha passato un brutto quarto d’ora quando ha provato a convincere ufficiali europei a bandire Huawei dalla propria export list, la nuova segretaria al commercio di Biden, Gina Raimondo, è stata criticata per non aver promesso di bandire gli affari con Huawei al suo giuramento, prima di chiarificare le proprie posizioni.
Sarah Bauerle Danzman, un’esperta delle implicazioni di decisioni di investimento alla Indiana University, afferma che l’amministrazione Biden ha chiari i rischi tecnologici tanto quella di Trump ma la domanda chiave è come valuteranno il livello di rischio e l’abilità di mitigare le minacce nello scrivere le leggi.
“Penseranno i vantaggi in termini di quanto pagherà e non pagherà la pressione al massimo. Molto riguarda il cercare di far rallentare la Repubblica Popolare Cinese. Nessuno pensa che possiamo tenere questa tecnologia lontana dalla Cina.”
Un’altra domanda sarà come Biden si atterrà ad una legge emanata da Trump che impedisce gli americani di investire in aziende con possibili legami all’Esercito Popolare Cinese. Il Tesoro ha recentemente ritardato la sua implementazione di diversi mesi, in una serie di revisioni dei provvedimenti sanzionatori presi durante l’amministrazione Trump.
“Sarà la prova del nove. Se il nuovo segretario del Tesoro Janet Yellen c’andrà morbida, perderà un sacco di possibilità di aperture nel Congresso”, afferma un ex ufficiale di Trump.
John Smith, ex capo dell’Ufficio del controllo di asset stranieri del Tesoro, afferma che difficilmente Biden ci andrà sul morbido. “C’è un supporto bipartisan che lo supporterà sulla Cina,” dice. “E il suo stesso team vorrà che mantenga un approccio più duro, ma assieme agli alleati”.
Mentre Biden tiene un atteggiamento severo con Pechino, la Cina stessa presenta una visione cinica di Washington, suggerendo che le relazioni rimarranno congelate.
“La Cina non ha illusioni su come Washington vede la relazione”, dice Jude Blanchett del Center for Strategic and International Studies. “Pechino sta inoltre attraversando dei cambiamenti fondamentali. C’è ora più apertura nella discussione sulla rivalità a lungo termine con gli Stati Uniti che è sempre esistita, ma è rimasta sepolta”.
(traduzione a cura di Tiziano Di Giuseppe)
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