Con quanti saluti nazisti dei suoi soldati si può dire che un esercito ha un problema? In Francia, il Ministero della Difesa dichiara di essere interessato solo “in modo molto limitato” dai fenomeni di radicalizzazione politica – a fortiori dalla presenza di estremisti neofascisti e neonazisti – nei suoi ranghi.
Nonostante lo scalpore nei media e nell’opinione pubblica suscitato da un’inchiesta pubblicata lo scorso luglio, realizzata dal quotidiano indipendente online Mediapart, sulla presenza di soldati che non fanno mistero della loro adesione all’ideologia nazista e che fanno carriera nell’esercito francese, il Ministero della Difesa persiste nel ripetere che “questo comportamento condannabile è una questione di deriva individuale”.
Le solite “mele marce” che rischiano di guastare il cesto, secondo il Ministero, che in questo modo dà un colpo di spugna netto a qualsiasi nefandezza scritta sui social o compiuta nei teatri di intervento militare dell’esercito francese (soprattutto nel Sahel), garantendo quindi una piena impunità e copertura.
Una nuova inchiesta di Mediapart, che abbiamo deciso di tradurre e pubblicare integralmente, rivela una cinquantina di nuovi casi di soldati che non esitano a mostrare le loro convinzioni neonaziste e mette in evidenza come i vari soggetti identificati non sono isolati, ma si conoscono e creano reti social tra loro.
Non si tratta di una peculiarità solo francese: infatti, proprio un anno fa riportavamo come da un’indagine interna dell’esercito tedesco emergesse una rete fitta di “simpatizzanti” e cellule neonaziste organizzate, inchiesta poi approfondita dall’Osservatorio sul Fascismo a Roma a seguito della decisione da parte del Ministro della Difesa tedesco di avviare il parziale scioglimento e la completa riforma delle forze speciali KSK (Kommando Spezialkräfte).
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Nel dicembre 2019, il caporale Nikita H. ha condiviso un video sul suo account Instagram, che ha più di 1.000 seguaci, elencando i ricordi della sua partecipazione all’operazione “Harpie”, volta a combattere l’estrazione illegale dell’oro in Guyana. Il membro della Legione Straniera, d’origine ucraina, si mostra in tenuta da combattimento mentre strappa liane e attraversa fiumi nella giungla amazzonica.
Questo non sarebbe fuori luogo in questi reportage che mostrano la difficile caccia ai bracconieri d’oro che l’esercito francese ama mettere in scena. Solo che qui, il rendiconto di Nikita non viene esaltato in maniera candida dalla sua gerarchia. L’ultima sequenza mostra quattro giovani bambini neri che eseguono… un saluto nazista. I piccoli ripetono a squarciagola “Sieg Heil!”, mentre tendono goffamente le braccia, un gesto che evidentemente qualcuno ha chiesto loro di fare e che i bambini non capiscono. Il video è nauseante, con un commento ironico in russo: “Ariani”…
Uno sguardo all’account Instagram del legionario non lascia spazio a dubbi sulla sua fascinazione per l’ideologia nazista. A torso nudo sulla spiaggia, porta una svastica come ciondolo. E quando posa davanti alla Torre Eiffel, allega alla sua foto un’immagine di Adolf Hitler nella stessa posa davanti allo stesso monumento nel 1940.
Dopo aver rivelato nel luglio 2020 come una dozzina di soldati si vantavano sui social network della loro adesione all’ideologia neonazista, Mediapart rivela oggi, con documenti di supporto, che in realtà il fenomeno è di tutt’altra portata: abbiamo scoperto 50 nuovi casi di soldati che mostrano la loro nostalgia del Terzo Reich. Interrogato, il Ministero della Difesa ha riconosciuto che “gli elementi sollevati dall’inchiesta di Mediapart sono molto gravi”.
Molti di questi nuovi casi si trovano nei ranghi della Legione Straniera, ma non solo. Oltre ai sei reggimenti metropolitani di questa famosa istituzione, anche il 3° reggimento di paracadutisti di fanteria marina (3° RPIMa), il 35° reggimento di fanteria (35° RI) e il 132° reggimento di fanteria cinotecnica (132° RIC) sono interessati. Va notato che la maggior parte dei casi identificati non sono isolati. Alcuni sono in contatto con altri. Si trovano spesso insieme nelle foto di gruppo.
Il precedente articolo di Mediapart ha rivelato la presenza di soldati neonazisti nel 13° Battaglione Cacciatori delle Alpi (13° BCA), il 1° Reggimento Ussari Paracadutisti (1° RHP), il 2° Reggimento di Fanteria Marina (2° RIMa), ecc. Le nostre nuove rivelazioni portano a 14 il numero di reggimenti dell’esercito francese con tali individui nei loro ranghi.
Rispetto al totale di 210.000 militari, la sessantina di casi individuati da Mediapart nell’arco di pochi mesi ha poco peso, ma la nostra indagine, condotta essenzialmente utilizzando fonti aperte (cioè consultando le pubblicazioni sui social network accessibili a tutti) con i mezzi di un giornale e non quelli dello Stato, non può essere esaustiva.
Soprattutto, questa inchiesta, frammentata e limitata ai soli neonazisti (senza considerare i militari che mostrano convinzioni di altri gruppi dell’estrema destra), contraddice le cifre ufficiali. Nel giugno 2019, il rapporto della missione d’informazione sui servizi pubblici di fronte alla radicalizzazione da parte dei deputati Éric Diard e Éric Poulliat ha stimato che “il personale delle forze armate […] sembra nel nostro paese essere al riparo, per il momento, da qualsiasi radicalizzazione rimarcabile”.
I relatori si sono basati sulle cifre presentate loro dal Direction du renseignement et de la sécurité de la défense (DRSD). Secondo questo servizio di intelligence detto del primo cerchio, la percentuale di sospetta radicalizzazione (“sia islamica che politica”) è valutata allo 0,05% nell’esercito e allo 0,03% nella marina. Il sito Opex360 ha notato che questo rappresenta, secondo le percentuali date, 57 soldati radicalizzati nell’esercito – “essenzialmente casi di Islam radicale”, ha detto il rapporto – e 11 nella Marina.
Come spiegare il fatto che Mediapart ha elencato una sessantina di casi, e solo neonazisti?
Il Ministero della Difesa ha una risposta pronta: cerca di minimizzare le nostre cifre con calcoli intelligenti, frutto di “analisi meticolose”.
Secondo il ministero, dei 50 nomi che abbiamo presentato, in effetti “una dozzina non sono più legati all’esercito; per una ventina dei casi citati, le nostre indagini, che continuano, non confermano le vostre informazioni di legami con l’ultradestra; una decina di legionari erano già stati individuati al momento del loro arruolamento. Non essendo coinvolti in crimini di sangue, furono reclutati nel quadro del diritto all’oblio specifico dell’incorporazione nella Legione Straniera. Sono stati avvertiti e, per quanto ne sappiamo, non hanno pubblicato nulla dal loro arruolamento; infine, alcuni dei soldati citati erano già stati individuati e puniti per i fatti menzionati. Di conseguenza, e sulla base delle nostre indagini, Mediapart rivela l’esistenza di 6 o 7 casi che non erano ancora stati rilevati sul nostro radar. Questo significa che il numero di militari è sceso da 50 a meno di dieci”. E la conclusione diventa ovvia: “Questi comportamenti condannabili sono nel dominio della deriva individuale”.
Questo è un modo ricorrente per il ministero di aggirare la questione, non appena i soldati estremisti di destra fanno notizia.
Mediapart, da parte sua, mantiene le sue informazioni per tutti i soldati identificati. Per stabilire il suo conteggio di 50 casi di soldati con condanne neonaziste, abbiamo infatti mantenuto solo i soldati il cui culto del Terzo Reich si riflette in molteplici riferimenti innegabili. Se alcuni dei soldati della nostra lista hanno comunque lasciato l’esercito, si tratta di un cambiamento recente della situazione.
In seguito all’invio delle nostre domande ai soldati accusati, molti di loro hanno anche modificato le impostazioni di privacy dei loro profili di social network, o addirittura cancellato i loro account. Tuttavia, abbiamo ovviamente conservato tutte le loro tracce.
Infine, per quanto riguarda la “decina di legionari già individuati”, il ministero li scarta a priori, considerando che non hanno, “a nostra conoscenza, pubblicato nulla dal loro arruolamento”. In realtà, per quasi tutti i soldati incriminati, gli elementi sono concomitanti con il loro periodo di impegno.
La cecità delle autorità è tanto più difficile da capire in quanto i soldati che abbiamo identificato mostrano la loro fascinazione per il nazismo sui social network con modi poco discreti (e ricorrenti da un reggimento all’altro).
Così, un certo numero di soldati osano fare il saluto nazista sui social network. Alcuni cercano di mascherare, un po’, il loro gesto. Tutti allo stesso modo. Alcuni si presentano con le braccia tese nascondendo il viso, altri scelgono di salutare solo con gli avambracci tesi. Uno dei soldati che fa questo saluto mezzo nazista indossa una felpa con un “88” e un totenkopf, l’emblema di una divisione SS assegnata alla sorveglianza dei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
Un’altra tecnica per mostrare le loro idee in modo più o meno sottile: diversi soldati condividono sui social network foto che li mostrano in posa davanti alle bandiere del Terzo Reich… esposte nei musei. Una pratica che interroga almeno l’immaginazione di questi soldati che decidono di diffondere pubblicamente delle foto che li mostrano, a volte in uniforme, davanti a delle svastiche.
Uno di loro, un legionario, per esempio, si mostra così sul suo account Instagram con in mano una bandiera ucraina spiegata, e arriva a riprodurre nella descrizione della sua foto le prime parole, “Ein Volk…” (“un popolo”), della costituzione ucraina, dallo slogan nazista “Ein Volk, ein Reich, ein Führer” (“un popolo, un impero, un leader”).
Per stabilire il suo conteggio di 50 casi di militari con condanne neonaziste nell’esercito francese, Mediapart ha mantenuto questi casi (discreti “saluti” e foto nei musei) solo quando erano supportati da altri riferimenti più espliciti.
E poi ci sono i “classici”: gli pseudonimi che fioriscono sui social network ai quali i soldati aggiungono un “88”. Nessun riferimento al loro numero di reggimento ma alla H, l’ottava lettera dell’alfabeto, che è raddoppiata. Per “Heil Hitler”.
Alcuni non finiscono con questi codici. Come un soldato che ha scelto per pseudo su Instagram “Valhalla SS”. O un altro che usa per la biografia “Meine Ehre heißt Treue” (“Il mio onore si chiama lealtà”). Cioè il motto inciso sulla fibbia della cintura delle SS in riferimento alla loro fedeltà ad Adolf Hitler.
Un legionario ama postare foto su Instagram mostrando i suoi tatuaggi inequivocabili: sullo stomaco, una croce celtica; sulla spalla, lo slogan “White Pride”; tra le scapole, un’aquila che sormonta un sole nero. Popolare tra i neonazisti, specialmente tra quelli con un’inclinazione mistica ed esoterica, il sole nero era presente sulla copertina del manifesto di Brenton Tarrant, il terrorista australiano che ha ucciso 51 persone in due moschee a Christchurch, Nuova Zelanda.
Il sole nero, composto dalle dodici lettere “Sig” dell’alfabeto runico, le stesse lettere che formano l’emblema delle SS, è stato in particolare raffigurato sul pavimento di marmo del castello di Wewelsburg in Germania, acquistato da Heinrich Himmler nel 1934 come centro di sviluppo delle teorie razziali naziste e come sito cerimoniale delle SS, che egli guidava.
Non è solo sul suo corpo che il legionario mostra il suo fascino. Nell’appartamento dell’uomo che ha appena lasciato la Legione, una tazza e un piattino con la parola “SS” stanno accanto a una figurina di Benito Mussolini e una bottiglia di birra con l’effigie di Adolf Hitler…
Contattato, questo legionario, dopo essere stato informato delle nostre domande, ci ha informato che non “desidera rispondere” e ci ha “proibito” di diffondere le sue foto.
Ancora più problematico: questi soldati non esitano più a glorificare il nazismo non solo sui social network, ma anche all’interno dei loro reggimenti. Diverse foto e video mostrano bandiere e altri simboli inequivocabili esposti nelle caserme. In un breve video girato nel dicembre 2019, una dozzina di soldati celebrano il Natale davanti a una bandiera nera ornata da una croce celtica, un simbolo usato da molti movimenti di estrema destra, compresi i suprematisti bianchi.
In un’altra foto, scattata in una stanza della caserma, una bandiera simile può essere vista insieme a un poster di una commemorazione dei cosiddetti eventi di “Acca Larenzia”, dove i migliori dell’ultradestra europea si riuniscono ogni anno per commemorare la memoria di tre giovani attivisti del partito neofascista italiano MSI uccisi nel 1978.
Più aneddotica forse, ma altrettanto rivelatrice, è questa foto, presumibilmente in una caserma, di un frigorifero su cui sono state disegnate due svastiche. In un’altra inquadratura, dove diversi soldati stanno condividendo un pasto, si vede sullo sfondo una bandiera della Repubblica di Salò, uno Stato fantoccio fascista guidato da Mussolini negli ultimi anni della seconda guerra mondiale.
Alcuni continuano ad esprimere le loro opinioni nel mezzo dell’operazione. Tra questi c’è il legionario Nikita H., l’uomo che si diverte a filmare i bambini neri della Guyana mentre fanno il saluto nazista. Il mese scorso, ha pubblicato i ricordi della sua partecipazione nel 2020 all’operazione Barkhane, la missione francese per combattere i gruppi armati jihadisti nel Sahel.
Oltre alle foto che lo ritraggono in tenuta da sabbia, con il fucile d’assalto in spalla, ha pubblicato un video di un giovane bambino nero evidentemente costretto a fare una serie di flessioni nel deserto. Possiamo sentire l’incoraggiamento beffardo dei legionari con il cameraman, ovviamente Nikita H., che commenta in ucraino e poi in russo: “Spingi, sporca puttana! Cosa ne pensi? Che il cibo francese viene distribuito gratuitamente?”.
L’atteggiamento di Nikita H. con questi bambini neri in Guyana e in Mali illustra il problema, grave, dell’impiego di soldati con convinzioni neonaziste nelle operazioni dell’esercito francese. Poiché sono razzisti, questi uomini, con le loro armi in mano, si trovano nella posizione di bullizzare, maltrattare e umiliare gli individui. In nome della Francia.
Maggiore della 329a promozione della Scuola Nazionale per sottufficiali attivi, il sergente Victor G. si unirà al 3° RPIMa nel 2019. Si potrebbe quindi immaginare che la volta in cui ha scritto sul suo account Instagram di essere a Dubai “#chezlennemie [sic]” o abbellito una foto che lo mostrava stringere la mano a un uomo asiatico con un commento razzista: “Dietro i loro sorrisi è spesso nascosto il loro inganno #nem #free #nouille #riz”.
Tuttavia, dal deserto del Mali dove è impegnato nel 2020 nell’ambito dell’operazione Barkhane, Victor G. ha un simbolo tatuato sul tricipite: quello del “C3G”, un gruppo che riunisce l’élite dell’estrema destra militante di Lione e il cui nome ufficiale “Cigale 3 Grammée” è un gioco di parole che permette ai suoi membri di ripetere “Sieg Heil croce unicinata” a volontà…
Molti dei cinquanta nuovi casi rivelati oggi avevano, prima della loro incorporazione, già pubblicato contenuti sui social network in cui mostravano il loro fascino per il nazismo. Come spiegare allora questi “buchi nel tappeto” menzionati da Florence Parly, intervistata il 14 luglio 2020 da France Info, il giorno dopo le prime rivelazioni di Mediapart?
Forse nei mezzi usati per riempire questi buchi. In un parere della Commissione della Difesa Nazionale e delle Forze Armate sul progetto di legge finanziaria per il 2021, scopriamo che, per quanto riguarda il credito “Ricerca e sfruttamento dell’intelligence pertinente alla sicurezza della Francia”, dove il bilancio della DGSE è segnato da un aumento del 310%, quello del DRSD è in calo del 14,6%…
E questo, mentre l’autore di questo parere, il deputato Fabien Gouttefarde, indica un “bisogno di protezione della sfera della difesa [che] porta la DRSD ad aumentare rapidamente il suo potere per trasformarsi e modernizzarsi”. E il funzionario eletto ha specificato, tra le altre cose, che “per rendere il processo di autorizzazione più fluido, gli strumenti di supporto decisionale saranno messi in atto nel 2021”.
Interrogato nell’estate del 2020, il Ministero della Difesa ha ammesso: “Per costruzione, non abbiamo i mezzi per controllare le pubblicazioni del nostro 140.000 personale quando si esprimono su Internet. Non tutti menzionano il loro stato militare nelle loro pubblicazioni o si esprimono sotto un’altra identità. […] Una minoranza di soldati si esprime attraverso i propri account personali sulle reti sociali o su siti estremisti senza che l’esercito possa rilevarlo”.
Un anno dopo, interrogato sulle falle che la nostra inchiesta segnala, il Ministero della Difesa risponde che “il DRSD sta facendo un lavoro immenso e cruciale per prevenire qualsiasi incursione di questo tipo di ideologia nelle Forze Armate. Ma, come ha avuto modo di dire il ministro delle forze armate, dobbiamo naturalmente rimanere umili perché nessun sistema di rilevamento è infallibile”.
Su France Info, Florence Parly aveva parlato con fermezza dei casi di soldati neonazisti rivelati quattro giorni prima da Mediapart: “Siamo molto attenti a questo perché trasmettono un’ideologia che non ha posto nei nostri eserciti, sono estremisti, revisionisti. Sono estremisti, revisionisti […] Dobbiamo prendere la cosa molto seriamente. Questo è quello che stiamo facendo ed è il motivo per cui l’alto comando ha accettato immediatamente. Non è perché questi sono casi rari che non dobbiamo prendere sanzioni!”. Questo discorso volontaristico ha avuto un seguito solo parziale.
Il 21 ottobre, il padre di un cacciatore alpino inchiodato nella prima inchiesta di Mediapart ha scritto per lamentarsi che suo figlio, dopo aver coperto il suo tatuaggio – il motto delle SS – aveva ricevuto 40 giorni di congedo e doveva essere degradato per sei mesi, prima che l’esercito cambiasse idea e lo radiasse definitivamente.
Una storia simile fu raccontata su Teddy M., un sottufficiale del 2° Reggimento Paracadutisti Stranieri (2° REP) che aveva decorato il suo corpo con un imponente sole nero sulla spalla, un totenkopf sul braccio e il motto delle SS sul petto. Secondo una fonte vicina al caso, il sottufficiale ha dovuto coprire un solo tatuaggio, gli altri essendo stati fatti prima del suo ingresso nella Legione, e come il cacciatore alpino essere condannato a giorni di arresto.
Ma, contrariamente a quest’ultimo caso, Teddy è, per quanto abbiamo potuto vedere, ancora un soldato. In una foto pubblicata il 1° febbraio 2021 e scattata nel bar della caserma 2nd REP, appare in compagnia di compagni legionari, due dei quali appaiono nella nostra lista di neonazisti. Secondo la fonte vicina al caso già citata, Teddy si vantava di essere troppo “prezioso” per essere licenziato.
Alla domanda sulla realtà delle sanzioni menzionate da Florence Parly, il Ministero della Difesa ha risposto che “nel luglio 2020, sette soldati sono già stati pesantemente sanzionati, due dei quali sono stati radiati”. Senza specificare il contenuto delle “pesanti sanzioni” menzionate.
Sempre durante il discorso di Florence Parly su France Info, il ministro della Difesa aveva dichiarato: “Siamo molto attenti al momento del loro reclutamento, c’è un servizio che ha la responsabilità di assicurarsi che coloro che si uniscono a noi non trasmettano questo tipo di ideologia”. Si tratta del Centre national des habilitations de défense (CNHD, un ramo del DRSD) che ha, tra le altre cose, uno strumento per lo screening delle reti sociali.
La storia di Lucas M. arriva esattamente a contraddire il ministro.
Nell’aprile 2019, Lucas M. ha condiviso su Facebook un video del cantante Bilal Hassani (frequente vittima di insulti omofobi) e ha commentato “Zyklon B sua madre”, riferendosi al pesticida usato dai nazisti nelle camere a gas durante la seconda guerra mondiale. Un’altra volta, pubblica un video che mostra un uomo transgender con il commento “BurnBurnBurnBurnBurnBurn”…
Su Instagram, Lucas si è postato nell’estate del 2019 indossando una maglietta che celebra la Divisione Charlemagne, un’unità delle Waffen-SS composta da volontari francesi. Nel giugno 2020, ha partecipato a una chat di estrema destra su Telegram, condividendo un video intitolato “Guerra razziale: il fondamentalismo anti-bianchi, nuova religione dell’Occidente”, del neonazista francese Boris Le Lay.
Nel dicembre 2019, sta preparando una domanda per entrare nell’esercito. Al momento di concludere la nostra prima inchiesta, senza sapere se fosse stato alla fine integrato o meno, Mediapart lo aveva contattato così come il ministero. Entrambi hanno confermato che questo non era vero. Non abbiamo quindi pubblicato nulla su di lui. Mentre in seguito alle domande inviate da Mediapart, l’istituzione militare non sapeva nulla del profilo di Lucas M. e delle sue pubblicazioni neonaziste, il giovane ha comunque finalmente integrato i suoi ranghi.
Ora posa sui social network in uniforme della Legione, a volte con il famoso berretto verde, a volte con il suo kepi bianco. Senza aver rinunciato alle sue convinzioni. Per celebrare la sua incorporazione, brinda “alla razza e a Maurras” e si fa tatuare sul collo “Me ne frego”, un famoso motto del fascismo italiano.
Sabato 6 marzo, un legionario ha postato su Instagram le foto del barbecue organizzato con circa 15 compagni, tutti vestiti in uniforme. Nella didascalia di una foto del tavolo all’aperto, ha scritto “13 DBLE” in riferimento alla 13a semibrigata della Legione Straniera, con sede a Larzac.
In un video, alcuni legionari mettono in musica il frutto della loro agape. Cosa stanno ascoltando? “Cara al sol”, inno della Falange spagnola e simbolo del franchismo. Quando si accorge di essere ripreso, Lucas M. fa un saluto nazista, che provoca l’ilarità della persona che registra la scena. Un altro legionario si mette la mano destra sul cuore, in un atteggiamento di raccoglimento, ascoltando la canzone che è ancora popolare tra i nostalgici del Caudillo. Lucas M. prende il braccio del suo compagno e gli fa fare il saluto nazista.
Creata nel 1940, la 13a semibrigata della Legione Straniera fu uno dei primi reggimenti delle Forze Francesi Libere (FFL) durante la Seconda guerra mondiale.
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