Beh, intanto buonasera, e comunque se avete avuto la pazienza cinese di seguire i rigorosi elementi di analisi che ci sono stati forniti da tutte le relazioni che ci hanno preceduto, ci hanno dato un quadro abbastanza preciso della vastità della dimensione Cina, sia sul piano economico e sociale che su quello delle grandi scelte economiche finanziarie.
Io invece farò un’operazione un pochino diversa, cioè cercherò di riportare la questione Cina all’interno di quello dove è stata collocata per un lungo periodo, cioè nel confronto nel movimento comunista internazionale con l’Unione Sovietica, con il Partito Comunista Italiano, con il movimento progressista e internazionale.
Una visione che oggi sostanzialmente non c’è più – non a caso noi tendiamo più a parlare di Stati che di partiti e movimenti, e anche quando ci riferiamo alla Cina tendiamo più a parlare della politica economica e delle scelte di fondo dello Stato cinese meno del partito comunista cinese e delle sue tendenze.
Anche perché abbiamo avuto in questi anni la sensazione che questo partito in qualche modo fosse sostanzialmente lo Stato, e che quindi conveniva valutare esclusivamente le azioni economico sociali dello stato e non soffermarsi su cos’è il partito.
Io ho l’impressione che questa sia una visione sbagliata. Penso che gli ultimi anni, e in particolare che la reazione che c’è stata da parte del sistema cinese, dal suo partito comunista, nei confronti della pandemia ha riportato all’ordine del giorno del dibattito italiano e mondiale temi che sembravano scomparsi – a partire per prima cosa dal tema della pianificazione economica, ma anche altri, per esempio come si agisce di fronte alla natura, come si risponde alle sfide del mondo di oggi, etc.
Ecco, di fronte a tutto questo credo che sia necessario forse ripercorrere il percorso politico e culturale che ha portato, dopo una lunga lotta politica interna, il Partito Comunista Cinese, il suo gruppo dirigente a progettare (perché di questo si tratta: un progetto) il modello cinese che oggi viviamo.
Questo perché il modello politico economico sociale, che le analisi fatte in questo convegno hanno spiegato in tutte le sue dimensioni, in tutta la sua complessità, è un modello che nasce da scelte politiche precise. Non è frutto di eventi casuali, dietro c’è una progettazione.
Naturalmente si tratta di un disegno che nasceva che poi si è misurato con la realtà, ha dovuto adattarsi alla realtà, ma è un disegno e un disegno, è una scelta. Sono scelte politiche, non è stato il capitalismo mondiale a imporre alla Cina di essere così come è oggi, se non come dimensione della realtà oggettiva in cui si trova ad agire.
È stato il gruppo dirigente del partito comunista cinese, dopo un lungo periodo di scontro con l’ala più vicina a Mao e a Mao stesso, a costruire il modello cinese di oggi. Aggiungo che stiamo parlando di scontri tra due tendenze, quella per capirci rappresentata da Deng Xiaoping, che è stato il fondatore della Cina attuale, e quella incarnata da Mao, che è il fondatore della Cina in quanto tale, cioè della città della Cina socialista, anche se è un errore credere che queste due parti non abbiano nulla in comune.
Faccio un piccolo spot: il governo cinese ha fatto recentemente un anime sulla vita di Marx, fatto molto bene e anche con dietro una ricerca storica precisa. Si conclude con un’affermazione nettissima e cioè con uno spot pubblicitario per l’attuale gruppo dirigente del partito comunista cinese, in cui si fa vedere Xi Jinping e si dice che dopo la rivoluzione sovietica del 1917 c’è stata la rivoluzione cinese, e attualmente è in corso la costruzione del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Ecco questo è il termine che è tornato spesso nelle relazioni di questo convegno:
Come nasce questo termine, quando è stato inventato, come si è sviluppato sul piano della cultura politica? Io allora, un po’ provocatoriamente, sono andato a riguardarmi un dibattito di un po’ di anni fa: quello del 1962-1964.
Questo dibattito si svolse pubblicamente, sui giornali, nei congressi, attraverso anche articoli, tra il Partito Comunista Italiano, in particolare il suo leader Palmiro Togliatti, e il partito comunista cinese e il suo leader Mao – il quale, è bene ricordarlo, non era affatto l’unico leader in quanto nei primi anni sessanta Mao era stato in parte messo in minoranza dal gruppo dirigente del partito comunista guidato da Deng Xiaoping e Lu Shaoqi, i quali avevano emarginato la figura di Mao.
Mao restava il padre della patria ma gli avevano tolto molti poteri perché era fallito il primo “grande balzo in avanti”, il tentativo di cercare una crescita del paese contando soltanto sulle proprie forze. Il fallimento di quel processo di industrializzazione aveva portato un cambiamento di equilibri nel partito comunista, e a una riduzione, non totale, del potere di Mao, che poi invece tornò a conquistare il centro del governo del partito come sappiamo successivamente con la Rivoluzione Culturale.
Tuttavia nel ’62 nel gruppo dirigente che polemizzava duramente con l’Unione Sovietica e con Krushov c’era quindi – sì – Mao ma anche Deng ed altri. Ora, se noi andiamo a vedere (è facilmente reperibile in rete) il primo articolo che uscì, “Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi” del 31 dicembre del 1962, perché Togliatti nel congresso appena concluso del partito comunista italiano aveva polemizzato pubblicamente con il partito comunista cinese per la sua linea, diciamo, più radicale sia sul piano nei confronto internazionale (era l’epoca della crisi di Cuba), sia sul piano del giudizio sull’Unione Sovietica eccetera.
Si può dire che considerasse la posizione del partito comunista cinese un “estremismo di sinistra”. Non è il termine preciso, ma per intendersi. Il partito comunista cinese rispose con un editoriale del Quotidiano del Popolo, innanzitutto rimproverando a Togliatti di aver reso pubblica la polemica, e poi criticando duramente Togliatti, considerato non solo una delle figure più importanti del movimento comunista internazionale, ma anche della destra del movimento comunista internazionale.
Ho riassunto i tre punti di critica su cui c’era il massimo di divergenza, al di là delle polemiche del linguaggio di allora.
Per primo, la critica sulla coesistenza pacifica. I cinesi ritenevano che non si potesse agire sul terreno di puro e semplice accordo con gli Stati Uniti, ma che il confronto con la coesistenza pacifica era solo tattica, non si poteva pensare un mondo pacificato (anche se forse non è proprio vero che sostenevano, come li accusava Togliatti, di ritenere inevitabile la guerra).
La seconda critica era sulla linea politica, in quanto ritenevano la via parlamentare al socialismo (ma in generale una via di compromesso democratico e socialismo) come una via eccezionale, mentre la via fondamentale era quella rivoluzionaria.
Infine, consideravano inaccettabile il sistema economico misto (noi diciamo così, allora si usavano altri termini) e usavano come esempio negativo la Jugoslavia, che già allora era un paese dove c’era una piccola quota di iniziativa privata di autogestione. Dicevano che sbagliava Togliatti a considerare il sistema della Jugoslavia un sistema socialista: era un sistema capitalista guidato da una cricca di rinnegati, nel quale ci sono i padroni ed era sostanzialmente stato restaurato il capitalismo.
Ora, Togliatti rispose, ci furono altri articoli, ci fu una ulteriore articolo di approfondimento da parte sempre del Quotidiano del popolo, insomma ci fu una polemica pubblica. Ma la vera risposta di Togliatti in realtà non fu pubblica (finché era in vita), ma uscì nel 1964.
La vera risposta politica la diede poco prima di morire – era in vacanza a Yalta nell’agosto 1964 – e lì scrisse un memoriale, che anche questo si trova tranquillamente in rete. Era un po’ fuori dallo schema delle polemiche: ovviamente Togliatti diceva di non essere d’accordo con i cinesi e di non condividere le loro scelte sul piano politico, però sostanzialmente in questo memoriale Togliatti apriva una critica radicale all’Unione Sovietica.
Diceva infatti, come prima cosa, che era inaccettabile la rottura con i cinesi, rifiutava cioè quello che aveva in quel momento proposto Krushov, che peraltro venne destituito un mese dopo la morte di Togliatti (e, considerando che Togliatti conosceva tutto dell’Unione Sovietica, sono sicuro che Togliatti quando scrisse il memoriale era al corrente della crisi dentro il partito comunista dell’unione sovietica).
Togliatti scrisse quindi che considerava negative le posizioni dei cinesi, ma che nello stesso tempo ponevano questioni, in particolare quella del nuovo mondo nel mondo coloniale, come questione centrale, e che in ogni caso sarebbe stato un errore drammatico non unirsi ai cinesi nella lotta comune contro l’imperialismo. Ho voluto dire questo per dire che cosa: che se guardiamo il mondo di oggi, questa discussione ci dice due cose.
Innanzitutto ci dice che in realtà i cinesi hanno poi dato ragione a Togliatti: se abbiamo seguito i principi di fondo delle politiche economiche che qui sono state descritte, vediamo che sostanzialmente la Cina si è integrata nel meccanismo economico mondiale, altro che coesistenza pacifica. Ha scelto la linea dei rapporti, diciamo, pacifici con in tutto il mondo, non certo la rivoluzione permanente.
Infine, soprattutto, ha fatto una scelta ben più radicale della Jugoslavia di Tito sul piano delle politiche economiche: ha fatto una scelta che somigliava di più alla scelta leninista della NEP, della Nuova Politica Economica. Cioè non semplicemente creare uno spazio per un privato locale, ma far venire il privato estero, ovviamente sotto controllo politico, per far crescere il paese.
Non a caso pare che Deng Xiaoping si sia incontrato con Hammer, il miliardario amico di Lenin che fu uno delle menti in realtà della Nuova Politica Economica e degli investimenti esteri nell’Unione Sovietica, dei primi anni venti, per farsi spiegare come funzionava la NEP. Quindi la scelta fu una scelta di liberalizzazione, di crescita.
Deng Xiaoping usa uno slogan che aveva usato Bukharin, il quale l’aveva preso prima da Guizot, che era un ministro conservatore, troverete sua traccia nel Manifesto del partito comunista. Guizot disse, quando ci fu la prima rivoluzione borghese del 1830: “Signori arricchitevi”.
Bukharin, all’inizio uno dei leader dell’ala allora chiamata moderata, prima radicale, diciamo della destra del partito comunista dell’Unione Sovietica, disse all’epoca della NEP: “Signori arricchitevi”.
Deng quando lanciò le nuove la nuova politica economica di apertura verso il capitalismo internazionale, di crescita attraverso e usando capitalismo e mercato, usò anche lui questa frase: “Signori arricchitevi”.
In conclusione voglio dire che, paradossalmente, se oggi guardiamo le conclusioni di quel dibattito, vediamo che in fondo la Cina di oggi ha dato ragione Togliatti perché ha scelto sostanzialmente il modello economico sociale misto e fondato su una forte capacità di politica estera di pace, perché di questo si tratta, e di competizione, che considerava invece il nemico fondamentale.
D’altra parte è anche vero che Togliatti allora, riconoscendo non tutte le ragioni, ma alcune delle ragioni dei cinesi sulla questione di fondo del rapporto tra primo mondo e mondo coloniale, sulla necessità di costruire una grande alleanza internazionale contro l’imperialismo, forse aveva una visione anticipata del mondo di oggi, nel quale appunto non possiamo sicuramente pensare semplicemente alla ricostruzione di un movimento comunista internazionale come quello che c’era nella Terza Internazionale, cosa a cui non pensano minimamente compagni cinesi, ma certo si può pensare a una vasta alleanza di forze progressiste che hanno come primo obiettivo quello di ridurre il potere del capitalismo finanziario degli Stati Uniti e poi di definire una nuova fase di sviluppo.
Io ho l’impressione che, al di là delle polemiche, se noi guardiamo la Cina di oggi, che appunto anche nei cartoni animati non ha affatto rinunciato al marxismo e all’ipotesi socialista, e guardiamo il dibattito che c’è stato vediamo che le ragioni e i torti potevano essere equamente distribuite.
In ogni caso è vero che oggi il modello economico adottato dalla Cina corrisponde più al concetto di “democrazia progressiva” proposto da Togliatti che a quello, diciamo così, del socialismo radicale di una parte (non sempre e non di tutto) del pensiero maoista.
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