Il valore delle merci trasportate attraverso il Canale di Suez è valutato intorno ai 5,1 miliardi di dollari al giorno in direzione ovest e 4,5 in direzione est; da lì passa quotidianamente all’incirca il 30% del volume mondiale di container marittimi, ossia il 12% del commercio mondiale.
Dunque, l’incagliamento – accidentale o meno – della porta-container “Ever Given” (stazza 220.000 tonn. per 400 m di lunghezza. Sarebbe stata disincagliata all’alba del 29 marzo, anche se non è chiaro se potrà riprendere il suo viaggio, e in che condizioni, né quando il Canale potrà essere riaperto alla regolare navigazione) lo scorso 23 marzo blocca ogni giorno merci per circa 9,5 miliardi di dollari lungo la rotta tra mar Rosso e Mediterraneo, considerata sinora la più breve tra Europa e Asia.
Già prima dell’incidente, a causa della riduzione dei traffici in seguito alla pandemia, la Suez Canal Authority aveva ridotto del 70% le tariffe per il transito di gas (il gas naturale liquefatto, GNL, dal Qatar verso l’Europa), petrolio (ogni giorno ne transitano per il Canale circa 600.000 barili. La Russia attraverso Suez ne esporta per 40 milioni di $ al giorno) e derivati, prodotti agricoli, ecc.
Ora, nota Sergej Maržetskij su Reportër, l’incidente del 23 marzo può influire sull’intero commercio mondiale. Se si sarà costretti a dirottare il transito sull’antica rotta del Capo di Buona speranza, i tempi si allungano in media di un paio di settimane, aumentano i costi dei contratti e cresce il deficit di prodotti energetici, con il relativo aumento dei loro prezzi: il petrolio è già aumentato del 5%. L’Europa non riceverà sufficiente GNL dal Qatar e se ne avvantaggerà la russa “Novatek”.
Insomma, la Russia potrebbe trarre non pochi benefici dall’incidente, non solo per l’aumento di prezzo sui prodotti energetici, ma soprattutto per la ricerca di alternative viarie, in particolare per la rotta marittima del Nord, favorita anche dallo scioglimento dei ghiacci polari.
Già da tempo Mosca si è posta l’obiettivo di aumentare fino a 80 milioni di tonn. annue, entro il 2024, e 125 milioni per il 2030, il volume dei trasporti sulla rotta polare; pur se lo scorso anno tale valutazione era stata ridotta a 60 milioni (nel 2020 è stato di 33 milioni), a causa della pandemia, il “tappo” nel Canale potrebbe far rivedere di nuovo le previsioni.
Ora, se le dimensioni d’ingombro dei rompighiaccio atomici attualmente in servizio non sono sufficienti ad aprire la strada a “mostri” quali la “Ever Given” (59 m di larghezza), la situazione potrebbe mutare con l’entrata in servizio di rompighiaccio della classe “Lider” (47,4 m di larghezza) e in grado di operare per tutti i 12 mesi dell’anno.
E la maggior parte delle agenzie informative russe danno per certa la sconfitta yankee nella corsa all’Artico: gli Usa disporrebbero attualmente di un solo rompighiaccio, per di più vecchio di quarant’anni e alimentato non a energia atomica.
Anche se non si deve dimenticare che non ogni tipo di merce può reggere per vari giorni alle temperature artiche, senza conseguenze negative, il prof. Vasilij Gutsuljak, ordinario di diritto del trasporto marittimo, ricorda che da tempo sono allo studio vascelli senza pilota, non esattamente adatti a percorsi così definiti quali il canale di Suez, la qual cosa potrebbe far pendere la bilancia a favore di altre strade alternative, comunque attraverso lo spazio russo.
Poco più di un mese fa, la Tass scriveva che a ottobre 2020 le russe “Novatek”, “Gazprom neft”, “Rosneft” e “Nornikel” si erano impegnate a portare, per il 2024, 74 milioni di tonnellate di produzione per la rotta del Nord. Tale rotta costituisce la principale comunicazione marittima nell’Artico russo, lungo i mari dell’Oceano Artico (mar di Barents, di Kara, di Laptev, mare della Siberia orientale, mari dei Čukči e di Bering); collega in un sistema unico i porti europei e dell’Estremo Oriente russo e le foci dei fiumi siberiani navigabili, per una lunghezza complessiva di 5,6 mila km, dallo stretto di Kara alla baia Providenija.
A febbraio 2020, The Barents Observer scriveva che il transito di merci per la rotta del Nord era cresciuto in tre anni del 430% e Nikolai Mon’ko, responsabile dell’Amministrazione della rotta del Nord, diceva che nel 2019 il volume del trasporto di merci lungo la rotta era stato di 31,5 milioni di tonn., ossia il 56,7% in più rispetto al 2018 e il 150% più del 2017.
Dunque, già così, la rotta artica sta prendendo quota abbastanza velocemente, anche senza incidenti nel Canale. Forse per questo, il capo redattore dell’agenzia Realist, Sarkis Tsaturjan, sostiene che il «commercio internazionale non risentirà particolarmente dell’incagliamento.
Ne soffrirà invece l’amministrazione del canale, attraverso cui transita annualmente il 10% del petrolio mondiale. Non so chi o cosa ci sia dietro l’incidente, la poca professionalità dell’equipaggio o un complotto di forze esterne: ma, per me, sono evidenti i paesi che possono trarne vantaggio.
In primo luogo Israele che, insieme a Emirati e Arabia Saudita, intende riprendere l’operatività dell’oleodotto Eilat-Ashkelon, per portare il petrolio dal Golfo Persico in Europa e USA, bypassando il Canale di Suez».
Ma, in secondo luogo, a trarne vantaggio è anche la Russia, con la sua rotta del Nord, che accorcia di circa due settimane» il transito delle merci, ad esempio, dalla Cina verso l’Europa, rispetto al Canale.
In terzo luogo, però, anche il Sudafrica può esserne avvantaggiato, dato che, «con prezzi del petrolio relativamente bassi, può diventare allettante circumnavigare l’Africa per raggiungere le coste occidentali e orientali dell’Atlantico».
Sta di fatto che il vice presidente della divisione logistica della “Fesco”, German Maslov ha dichiarato che i clienti che trasportano carichi solo attraverso il Canale di Suez, hanno chiesto alla compagnia rotte alternative dall’Asia verso l’Europa: attraverso la Russia. E la compagnia sta lavorando in questa direzione, sia su percorsi via terra, sia con “schemi multimodali”, ad esempio da Giappone o Corea del Sud via mare fino a Vladivostok e da qui via ferrovia verso l’Europa.
Attualmente, “Fesco” opera settimanalmente con 30-35 convogli ferroviari porta-container e raggiunge gli ottantamila container. Nei primi due mesi del 2021, scrive The Finacial Times, la Cina ha spedito in Europa duemila convogli ferroviari porta-container: due volte più che nel 2020.
Come ha scritto Contropiano, “L’ingorgo rivela la vulnerabilità di un intero sistema”: per alcuni è un problema, per altri una possibilità; per i popoli, l’ennesima prova dell’anarchia globale del sistema capitalista e sulla necessità di cambiarlo.
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