Negli Usa, nonostante il clamore e la sentenza sull’uccisione di George Floyd da parte di un agente, proseguono gli episodi di brutalità della polizia che negli ultimi anni hanno causato quasi mille morti. Solo negli ultimi 25 giorni ne sono stati uccisi 4.
Ieri, giovedi, un poliziotto ha ucciso un afroamericano, Andrew Brown Jr., a Elizabeth City, in North Carolina, mentre eseguiva un mandato di perquisizione.
Secondo i media locali Brown aveva cercato di fuggire in automobile e l’agente aveva sparato più di un colpo contro il veicolo. Un proiettile sarebbe passato attraverso il lunotto posteriore. Per i media locali circa 100 persone si sono riunite di fronte al municipio, alcuni dei quali amici di Brown, chiedendo risposte e giustizia.
Il giorno stesso della sentenza sul caso Floyd, c’è stata l’uccisione di una adolescente afroamericana a Columbus, nell’Ohio, proprio poco prima della sentenza. La vittima, Makiyah Bryant, aveva 15 anni e viveva in una famiglia adottiva nelle vicinanze.
Il 12 aprile – proprio a Minneapolis dove si è celebrato il processo per l’uccisione di George Floyd – un agente di polizia ha sparato e ucciso il 20enne afroamericano Daunte Wright. Il medico legale ha definito un omicidio la morte di Wright, Per sedare le proteste la polizia è ricorsa ai gas lacrimogeni.
Il 29 marzo un altro adolescente, Adam Toledo, ispanico di 13 anni, è stato ucciso a Chicago da un agente di polizia. Un video, appena diffuso e ripreso dalla body cam, la telecamera che portano obbligatoriamente addosso i poliziotti Usa, mostra il ragazzino disarmato e con le mani alzate e poi abbattuto a colpi di pistola.
La sentenza per l’uccisione di George Floyd da parte di un agente di polizia che lo ha soffocato, non sembra dunque avere le forza di interrompere la catena di esecuzioni sommarie da parte dei poliziotti statunitensi.
Le regole di ingaggio sull’uso delle armi da fuoco della polizia continuano ad essere quelle che hanno provocato centinaia di morti nelle strade, soprattutto contro afroamericani.
Le varie forze di polizia statunitensi, da quelle locali a quelle statali, continuano a ritenere il resto della comunità come una “entità ostile” e ad applicare comportamenti brutali, più consoni ad una guerra di occupazione che alla gestione dell’ordine pubblico.
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