Una scena classica nei film d’azione è la corsa automobilistica con un giro di boa che finisce o con un grande botto o con il riallineamento di uno dei veicoli. Con i risultati delle elezioni generali di aprile potremmo dire che il Perù sta giungendo a questo secondo giro di boa.
Questa scena scioccante può essere compresa solo all’interno della trama generale di una crisi di sistema iniziata nel 2016 e della crisi globale della pandemia che, nel caso peruviano, affronta la sua ora più drammatica di fronte all’inefficacia delle misure prese dal governo in carica e all’obsolescenza dello Stato neoliberale e coloniale.
Concretamente, questi risultati elettorali hanno definito un panorama politico caratterizzato da un grande contrasto. Secondo le cifre, i livelli di rappresentanza nazionale sono deboli e questo segna la frammentazione delle forze politiche all’interno di un Congresso senza maggioranza e composto principalmente da forze di destra conservatrici.
Allo stesso modo, le opzioni centriste che hanno optato per la politica gattopardesca della stabilità (tutto cambi perché nulla cambi) hanno subito un clamoroso declino. Il quadro finale del primo turno delle elezioni è stato dominato dall’insegnante e leader sindacale Pedro Castillo, del sedicente partito marxista-leninista Perù Libre (con quasi il 19% dei voti), e da Keiko Fujimori, erede della dittatura neoliberale di suo padre e leader del partito Fuerza Popular (con quasi il 13% dei voti).
Entrambe le forze esprimono un’affinità all’interno dello scontro sui diritti civili e un antagonismo all’interno dello scontro politico.
Lo scontro sui diritti civili è stato dispiegato e condotto durante la prima fase elettorale dall’estrema destra di Renovación Popular, che è riuscita a posizionare intorno a sé un blocco di partiti e organizzazioni sociali (FREPAP, Patria Segura, la stessa Fuerza Popular) nella difesa di un insieme di istanze confessionali, conservatrici e discriminatorie (un solo tipo di famiglia, no al matrimonio egualitario, no all’aborto, etc.), articolandole insieme all’enfasi sulla lotta alla corruzione dello Stato, sull’affermazione del libero mercato senza alcun tipo di regolamentazione e diverse altre misure populiste.
A sinistra, il partito Juntos por el Perú ha affrontato questa posizione incorporando nel dibattito un’agenda di diritti sociali, tassazione delle grandi ricchezze, nazionalizzazione del gas, controllo statale nell’emergenza sanitaria, insieme alla battaglia per il riconoscimento della diversità; mentre Perú Libre si è allineato con il conservatorismo dell’estrema destra. Il risultato dello scontro sui diritti civili ha suggellato una clamorosa svolta conservatrice.
Lo scontro più strettamente politico è stato segnato da due elementi principali.
In primo luogo, l’istanza costituente che si è aperta nel paese, dal 2016 e soprattutto nelle grandi mobilitazioni del 2020, e che ha messo al centro del dibattito del secondo turno il cambiamento della Costituzione politica del Perù, la fine del modello neoliberale e il rifiuto vergognosa eredità della dittatura Fujimori.
A questo proposito, secondo recenti sondaggi, il popolo peruviano ha mostrato una propensione maggioritaria al cambiamento costituzionale, al fine di rafforzare il ruolo dello Stato, ma anche a favore dell’aumento delle misure punitive contro la corruzione e contro le misure conservatrici negli ambiti sociali e culturali.
Il secondo elemento dello scontro politico è la disuguaglianza storica tra le regioni meridionali e centrali del Perù e la capitale Lima. Questo elemento ha portato a un’impennata nello scontro di classe, etnico e culturale che ha segnato una distinzione sempre più netta tra una minoranza che si è saziata col boom economico delle materie prime e una maggioranza che è rimasta nell’abbandono, i cui territori sono stati la dispensa dell’estrattivismo negli ultimi decenni.
La pandemia ha esacerbato queste disuguaglianze, che nell’immaginario nazionale prendono la forma di una Lima privilegiata rispetto alle regioni periferiche.
Inoltre, un aspetto particolarmente deludente di questo scontro è il fatto che nessuna delle due forze che andranno al ballottaggio ha una posizione coerente sul dramma attuale della pandemia, e di certo non è stato il punto principale nelle loro campagne, proposte e interventi pubblici.
Le due tipologie di scontro sono tutt’ora presenti e nel secondo turno entrambi i candidati dovranno consolidarsi nelle loro rispettive trincee e articolare alleanze con i partiti e le organizzazioni sociali che sono rimasti in sospeso dopo il primo turno.
Tuttavia, le loro strategie sono basate su obiettivi diversi. Keiko Fujimori cerca la continuità del modello neoliberale e Castillo il suo smantellamento. La “signora K” ha la capacità e la forza di ricomporre la correlazione delle forze nei partiti di destra e negli ambienti economici sotto la promessa di preservare il modello, ma il rifiuto nei suoi confronti da parte della popolazione è schiacciante (più della metà del paese).
Castillo ha radici in importanti movimenti sociali come il sindacato degli insegnanti e i ronderos, agli occhi della maggioranza è il rappresentante de los de abajo,“di quelli dal basso”, ma i suoi legami con altri partiti sono fragili a causa della sua tendenza minimalista e della prospettiva economicista del suo partito, Perù Libre.
Se consideriamo che non è solo necessario vincere il secondo turno, ma anche stabilizzare un possibile governo di cambiamento per istituzionalizzare il processo costituente, allora le alleanze di Castillo dovrebbero mirare a costruire un blocco storico sotto la guida della sinistra, ma aprendo la strada ad altre forze democratiche, popolari e progressive.
Per questo è necessario mettere al primo posto la centralità dello scontro politico e, su questa base, riavviare la battaglia sui diritti civili, attualmente vinta dal conservatorismo, che su questo terreno lui stesso rappresenta.
È importante sottolineare che il capitalismo nella sua espressione neoliberale, in un paese con un’economia di esportazione primaria e culturalmente segnato da frammentazione, disuguaglianza e discriminazione, non può essere affrontato direttamente e coerentemente se la strategia di governo e di potere rinuncia alle lotte contro il patriarcato e il colonialismo.
In questo modo è possibile vincere il secondo turno e rafforzare una posizione di classe e antimperialista per affrontare e canalizzare il processo costituente.
Nel frattempo, procediamo verso il giro di boa, dentro la macchina e a tutta velocità.
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