Il primo passo lo ha fatto lui, Papa Francesco, che ha letto sui giornali del coraggio mostrato dai portuali di Genova nel rifiutarsi di caricare le armi su navi destinate a paesi in guerra, come in questo momento l’Arabia Saudita, Yemen e Israele. E li ha indicati pubblicamente come esempi da seguire, cioè come eroi civili.
“In un porto, adesso non ricordo bene – ha detto Papa Francesco – è arrivata una nave piena di armi che doveva passare le armi a una nave più grande che doveva andare nello Yemen, e noi sappiamo cosa succede nello Yemen. I lavoratori del porto hanno detto no. Sono stati bravi! E la nave è tornata a casa sua. Un caso, ma ci insegna come si deve andare avanti” perché “la pace oggi è molto debole, molto debole! Ma non dobbiamo scoraggiarci”.
“Buongiorno Santità – hanno scritto i portuali in un messaggio di risposta indirizzato a Francesco – siamo il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova.
Ci rivolgiamo a Lei, Papa Francesco perché nella lotta contro il traffico di armi che passano per i nostri porti e che erano dirette in Yemen lei ha fatto dichiarazioni importanti che ci hanno fatto sentire nel giusto”
“Quel porto – ricordano i portuali – era Genova e quei lavoratori eravamo noi che insieme a associazioni pacifiste, scout, gruppi e movimenti antimilitaristi e per i diritti umani e con alcune organizzazioni sindacali siamo riusciti a bloccare il traffico di armi per lo Yemen. Pochi giorni fa abbiamo fatto lo stesso per le armi dirette al conflitto israelo palestinese”.
Al Papa i portuali confidano le proprie inquietudini: “Ora succede – spiegano – che quella lotta e quella vittoria contro la guerra, contro i traffici di armi e per salvare vite umane ci si sta ritorcendo contro. La questura di Genova ci sta indagando per associazione a delinquere. Ci creda siamo tutto fuorché delinquenti. Abbiamo organizzato scioperi, blocchi, qualche azione diretta per attirare l’attenzione su quanto stava passando dai nostri porti. Mettendoci la faccia, senza nasconderci, sempre alla luce del sole e prestando attenzione che nessuno si facesse male, con coraggio e ostinazione. Questa lotta ora sta coinvolgendo tanti altri lavoratori portuali italiani e stranieri e per questo stanno cercando di isolarci con condanne gravi che peseranno sulle nostre vite”.
“Abbiamo deciso di rivolgerci a Lei – spiegano i portuali – perché abbiamo bisogno di un altro atto di solidarietà e coraggio da parte Sua per dimostrare che non bisogna aver paura a dire la verità, a lottare per la pace e contro quella che giustamente lei ha definito IPOCRISIA ARMAMENSTISTA.
Abbiamo bisogno di sentire nuovamente le sue parole quando ha detto ‘Occorre parlare come fratelli. La fratellanza umana! Fermiamoci ragazzi, fermiamoci perché la cosa è brutta!’
Abbiamo bisogno che questa vicenda che ci vede coinvolti venga archiviata e che certe accuse assurde vengano ritirate”.
“Abbiamo bisogno del suo aiuto e dell’aiuto di tutti per poter continuare da lavoratori portuali a contrastare il traffico di armi“.
“Grazie”, conclude infine il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali.
* da IlFarodiRoma
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