Si sono svolti giovedì scorso a Mosca colloqui tra quattro rappresentanti talebani e responsabili del Ministero degli esteri russo, con a capo il delegato presidenziale per l’Afghanistan, Zamir Kabulov.
Nel darne notizia, le agenzie di stampa russe, mettono particolarmente l’accento sulla dichiarazione talebana di non voler permettere che il territorio afghano venga utilizzato per aggredire la Russia o qualcuno dei paesi vicini, con implicito riferimento alle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale.
Per il resto, sembra che parecchi, a Mosca, manifestino la massima cautela sulla possibile reale evoluzione delle cose. Un po’ più ottimista, sembra, l’agenzia cinese in lingua russa CGTN, secondo cui, nello stesso giorno dei colloqui di Mosca, trattative si sarebbero svolte a Teheran tra una delegazione del governo afghano e una dei talebani le quali, nella dichiarazione congiunta finale, avrebbero sottolineato che «la guerra non è la soluzione del problema afghano».
A Mosca, i talebani hanno dichiarato anche di non aver intenzione di attaccare le rappresentanze diplomatiche straniere in Afghanistan e di voler garantire la sicurezza del personale consolare russo a Mazar-i Sharif, la quarta più estesa città afghana, un centinaio di km a sud del confine con l’Uzbekistan.
«Abbiamo buoni rapporti con loro», ha detto il capo delegazione, Mohammad Sohail Shahin, «perché dovremmo attaccarli?». Questo, dopo che Zamir Kabulov, aveva detto alla Tass che il consolato era stato temporaneamente chiuso, a causa dell’inasprirsi della situazione.
Sohail Shahin ha anche dichiarato alla Tass che uno degli scopi della visita a Mosca è la discussione sulla situazione nel nord dell’Afghanistan, in cui molti distretti già da diversi giorni sono passati sotto controllo talebano, con migliaia di soldati di Kabul costretti a rifugiarsi in Tadžikistan e altre centinaia in Uzbekistan.
Secondo Sohail Shahin, la delegazione ha avuto modo di discutere con la parte russa le possibilità di una rapida soluzione pacifica del conflitto: «Siamo venuti qui anche per ascoltare le opinioni e le proposte russe e per sapere cosa si attende da noi la Russia in questa particolare situazione afghana».
Nella dichiarazione ufficiale del Ministero degli esteri russo, come riportata dall’agenzia Regnum, è detto che i rappresentanti talebani «hanno confermato l’interesse al raggiungimento di una pace stabile tramite colloqui in cui si tenga conto degli interessi di tutti i raggruppamenti etnici» afghani, e hanno anche ribadito «di esser pronti a rispettare i diritti umani, compresi quelli delle donne, nel quadro delle norme islamiche e delle tradizioni afghane».
Detto tra noi, recentissimi video hanno già mostrato come vengano fatte rispettare le “tradizioni afghane”, nei confronti di donne azzardatesi a uscire a fare la spesa senza essere accompagnate dagli uomini.
I talebani avrebbero anche «sottolineato la ferma intenzione di lottare contro la minaccia dell’Isis in Afghanistan e sradicare la produzione di droga, dopo la fine della guerra civile».
Il portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, ha detto che i colloqui sono necessari a causa della tesa situazione afghana. Peskov si è però rifiutato di rispondere alla domanda dei giornalisti sulla eventualità che Mosca riconosca come legittimo il governo talebano, qualora riesca a prendere il pieno controllo del paese.
A parere di Kamran Gasanov, che ne scrive su Vzgljad, i talebani non hanno al momento alcun interesse a sconfinare nei paesi vicini, dato che il potere non è ancora nelle loro mani, hanno quindi l’obbligo di “non sparare sugli americani“, anche perché gli USA possono tornare.
Ciò però non garantisce affatto che essi manterranno tale “moderazione”, scrive Gasanov, una volta preso il pieno controllo dell’Afghanistan. «Non significa che essi cominceranno, come l’Isis, ad attaccare altri Paesi, come accaduto in Iraq e Siria nel 2014, e poi in Libia. I talebani potrebbero però dar vita a un Paese che divenga la “terra promessa” per radicali e islamisti di tutto il mondo. I legami con al-Qaeda parlano chiaro. Ci sono etnie uzbeke, tagike e persone di altre nazionalità nelle file dei talebani. E nelle stesse repubbliche dell’Asia centrale, la popolarità delle idee radicali sta crescendo sullo sfondo dei problemi economici e della disoccupazione. Il vantaggio degli islamisti sta nel fatto che essi prospettano un percorso senza compromessi alla gioventù kyrgyza, uzbeka, tadžika, turkmena, priva in patria di ogni prospettiva».
Nella regione, in effetti, soprattutto in Kyrgyzstan, è abbastanza attivo il “Movimento islamico del Turkestan orientale”, già responsabile di vari attentati terroristici nel 2010 e nel 2016 e coinvolto anche nella guerra in Siria. E la direttrice del Russtrat (Istituto di strategie politico-economiche internazionali), Elena Panina, ricorda come tale movimento minacci ora di innescare un conflitto nello Xinjiang.
Il ritiro accelerato delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, osserva Panina, preoccupa la Cina, che teme una rinascita del Movimento del Turkestan orientale (ETIM) nella regione autonoma dello Xinjiang. Lo ETIM è infatti un gruppo di etnia uigura operante in Afghanistan, che tende all’indipendenza dello Xinjiang e lo vede quale parte del futuro Turkestan orientale.
Sul piano operativo, il Tadžikistan, tra le ex Repubbliche sovietiche quella con il più lungo confine con l’Afghanistan, ha già chiesto ufficialmente aiuto ai paesi del Trattato per la sicurezza collettiva (ODKB: Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Russia e Tadžikistan), sulla base della decisione del ODKB del settembre 2013 “Sull’aiuto alla Repubblica del Tadžikistan nel rafforzare il confine tadžiko-afghano”.
In generale, ancora Elena Panina ricorda come negli ultimi anni Mosca stia tenendo contatti sia col governo di Kabul, sia coi talebani; ma, nonostante questi ultimi assicurino Dušanbe di voler garantire la sicurezza del confine afghano-tadžiko, non c’è certezza che essi siano in grado di mantenere quelle promesse.
Inoltre, il Tadžikistan potrebbe essere interessato a un’ondata di “rifugiati in armi”, tale da condurre a una catastrofe umanitaria nella repubblica, tanto più che Londra ha dichiarato di esser pronta a bombardare l’Afghanistan, dopo il ritiro del proprio contingente.
Anche il politologo Boris Dolgov scrive su pravda.ru che nessuna sicurezza viene dai colloqui ufficiali di Mosca: «I talebani non sono un unico movimento omogeneo, sono costituiti da più movimenti, anche contrapposti. Inoltre, in Afghanistan, insieme ai Talebani, agiscono anche combattenti di Al-Qaeda e Isis: questi ultimi, deliberatamente trasferiti nell’area di contatto tra Afghanistan e Tadžikistan per promuovervi una jihad terroristica e agire poi contro la Russia».
Dunque, scrive Dolgov, le promesse dei talebani debbono essere prese in considerazione, ma non ci si deve credere.
Per quel che vale, osiamo associarci a quest’ultima considerazione.
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