C’era una volta la privacy, la sfera intima e inviolabile di qualunque essere umano, persino dei detenuti (serviva un provvedimento del magistrato per autorizzare la censura della posta, anche se era comunque una pratica quotidiana dei carcerieri, ancorché illegale).
C’erano i princìpi liberali, per cui l’onere della prova è a carico dell’accusatore, la responsabilità penale era individuale e non ci potevano essere le inchieste “a strascico” (mettere sotto sorveglianza interi gruppi di persone per vedere se da qualche parte spunta un reato).
E c’era pure la credibilità – sempre contestata, certo – di una narrazione fasulla secondo cui la sorveglianza di massa era un’esclusiva dei “regimi autoritari”, definizione antrigua (“ambigua” è troppo poco…) che comprendeva le dittature fasciste, i regimi orientali, quelli islamici, e le democrazie socialiste, di qualunque genere ed epoca queste fossero.
Narrazione zoppicante, visto che tutte le dittature fasciste applicavano alla lettera i princìpi liberali in materia economica, “dimenticando” per strada quelli relativi alle libertà politiche, tanto da essere sempre partner privilegiati delle “democrazie occidentali” in tutti i campi. Chi si somiglia, si piglia…
Ora, però anche quel velo di ipocrisia viene squarciato. Le “democrazie europee”, anzi il cuore pulsante del liberalismo occidentale – l’Unione Europea, insomma, quella che ci invita tutti i giorni a combattere il “populismo” ma ancor più il socialismo – hanno approvato una legge che permette la sorveglianza di massa di tutte le forme di comunicazione via Internet, posta elettronica compresa (anzi: in primo luogo).
I dettagli dell’operazione sono descritti nell’articolo di Bocconetti, qui sotto riproposto da Osservatorio Repressione, e non sono neanche particolarmente sofisticati.
Quel che ci interessa per il momento mettere in evidenza è il modus operandi, sempre identico, di queste torsioni autoritarie fatte passare per “difesa delle libertà”.
La materia – la sorveglianza di massa – non poteva essere gestita politicamente. In altri termini, non si poteva dire che era necessaria per tenere sotto controllo organizzazioni politiche e privati cittadini aderenti o simpatizzanti. In fondo, le “opinioni vietate” in materia politica sono ufficialmente ben poche, ed anche quelle poche – il fascismo, per esempio – il potere liberale le tollera tranquillamente. Anzi, le nutre…
Serviva qualcosa di moralmente immondo, una “giustificazione” cui nessuno poteva obiettare una parola in difesa. E quindi ecco evocata la pedofilia. L’osceno totale, il non ammissibile neanche per sbaglio.
Il problema, però, è che giustificare la sorveglianza di massa con questa argomento è decisamente complicato. Il fenomeno è antico quanto l’essere umano, coinvolge una frazione non irrilevante della popolazione adulta o anziana (basta guardare i dati del sempre fiorente “turismo sessuale”), ma proprio per questo non sembra manifestarsi con particolare virulenza negli ultimi anni. C’è sempre stata, fa orrore, è grosso modo “stabile”. Come l’avidità.
Insomma, non sembra si possa invocare una recente “emergenza pedofilia” tale da stravolgere trattati interazionali e leggi nazionali. Dunque lo “strappo straordinario” ai princìpi del liberalismo politico è assolutamente ingiustificato e ingiustificabile.O meglio: ha altre motivazioni.
Il dibattito nello pseudo-Parlamento europeo (interviene solo per approvare o respingere le leggi proposte dalla Commissione, ossia dal governo) lo ha evidenziato con molta chiarezza. Dunque, anche la clausola della “temporaneità” – tre anni di validità della legge – appare solo come un tentativo di minimizzare l’enormità dello strappo culturale e politico inferto alla legislazione continentale.
Come ben sappiamo in Italia, non c’è nulla di più stabile del provvisorio…. Se non interverrà la Corte europea dei diritti dell’uomo (usa ed abusa a compromessi lessicali ridicoli), quella legge potrà essere prorogata a volontà.
Il problema è in fondo semplice, ma su scala enorme. L’establishment europeo – la borghesia continentale e le istituzioni che controlla – sa di essere altamente impopolare, nonostante gli articoli di Repubblica e Corriere.
E corre ai ripari imbastendo un immenso database contenente le comunicazioni personali di tutti i cittadini del Vecchio Continente, a prescindere dagli Stati di appartenenza. Controrivoluzione preventiva, si chiama questo modo di fare.
C’entra molto con la guerra di classe, nulla con la libertà. Se non quella di impresa, naturalmente…
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Una deroga ai principi generali. Di fatto uno “strappo” che nega quei principi generali. Regalando un’altra legge a chi sogna un controllo di massa più invasivo, ancora più invasivo.
Accade in Europa, che pure fino a ieri era considerata la parte più avanzata del mondo in materia di tutela della privacy. Invece martedì 6 luglio – con una votazione passata un po’ sotto silenzio – il parlamento di Bruxelles ha varato, a stragrande maggioranza, una controversa normativa che permetterà ai provider di setacciare ogni mail, ogni commento, ogni messaggio scritto. In deroga, appunto, all’avanzatissimo (non più?) Gdpr, il regolamento europeo per la protezione dei dati.
Il pretesto? Sempre lo stesso, sempre quello che anche al di là dell’Oceano giustifica le norme che violano la privacy: la lotta alla pedofilia.
La “deroga” – cioè la validità di questa legge – durerà tre anni. Nel senso che i 537 eurodeputati che hanno votato sì (appena 133, invece, quelli contro: la sinistra, i verdi e pochissimi obiettori fra le fila dei socialdemocratici) sanno benissimo che la norma – proprio perché in contrasto col Gdpr – quasi sicuramente non passerà l’esame di un tribunale, sanno benissimo che i ricorsi avranno molte possibilità di essere accolti.
Anzi, il deputato tedesco dei pirati (nel gruppo dei verdi) Patrick Breyer, ha già lanciato una campagna in rete per presentare dieci, cento, mille esposti all’Alta Corte europea.
Quei tre anni di sospensione, la deroga temporanea delle misure a tutela della privacy dovrebbero servire, quindi, nelle intenzioni dei promotori ad evitare la bocciatura. Come se si trattasse di una misura straordinaria, eccezionale e quindi non sanzionabile.
Ma non ci credono tanto neanche loro. Al punto che Sophie in ‘t Veld, eurodeputata liberale olandese – nome che dovrebbe essere conosciuto anche in Italia, visto che dieci anni fa lei, moderata e conservatrice, divenne quasi un’icona solo perché aveva denunciato il linguaggio antifemminile di Berlusconi – Sophie in ‘t Veld, si diceva, votando a favore ha aggiunto: “Signor Presidente, diciamoci la verità: sia io che lei sappiamo bene che le normative europee ci impedirebbero di approvare questa legge”.
Sophie in ‘t Veld e la stragrande maggioranza degli eurodeputati, invece, l’hanno fatta passare. Con una fretta che davvero non ha precedenti nelle vicende legislative del vecchio continente, noto per iter che in genere durano anni e anni.
Stavolta, invece, la Commissione ha presentato la sua proposta a settembre. Davanti al coro di no della società civile, non si sono fermati. E sono cominciate le pressioni, le forti pressioni sul Parlamento per approvarla rapidamente. Pressioni – racconta il solitamente bene informato politico.eu – che sarebbero arrivate addirittura dall’America, probabilmente per dare un po’ di dignità politica alle loro norme, molto simili.
Pressioni, anche qui, ammesse tranquillamente dalla relatrice, la socialdemocratica Birgit Sippel: “Sì, ne abbiamo ricevute molte. Per fare presto”. Unica concessione fatta dai promotori, l’unica modifica al testo iniziale, è che dal filtraggio saranno esentati i messaggi audio. Tutto qui.
Così in attesa di un giudice a Strasburgo, la norma entrerà in vigore. E così i provider potranno scansionare, visionare e controllare tutti i messaggi, tutte le immagini sui siti, sui social, addirittura nelle email alla ricerca di testi e foto “sospette”.
Il tutto affidato all’intelligenza artificiale: se l’algoritmo “leggerà” un contenuto come pericoloso, trasmetterà la segnalazione, senza verifica umana, a un centro che poi la girerà alle polizie competenti. Senza che gli indagati siano avvisati di questa strana e improbabile inchiesta virtuale.
Magari non è molto pertinente, ma forse vale la pena ricordare che le denunce alla polizia degli utenti verso altri utenti sospettati di pedofilia – denunce che probabilmente servono ad istruire le intelligenze artificiali – nel 95 per cento dei casi si sono rivelate inaffidabili.
Non è ancora tutto. Perché ci sarà anche un follow-up, un seguito alla votazione di martedì scorso.
Di fronte alle proteste di tutte le associazioni per i diritti digitali – ma proprio tutte-tutte, a cominciare dall’Edri, la istituzionalissima European Digital Rights – i promotori hanno sostenuto che fra poco un pool di esperti scriverà un documento per indicare nel dettaglio gli strumenti tecnici per realizzare questo screening di massa “in equilibrio con la tutela dei diritti”.
Ossimoro a parte, il seguito della legge dovrebbe preoccupare ancora di più. Perché stando al dibattito che l’ha accompagnata, l’Europa vorrebbe obbligare anche i social che offrono servizi di messaggi crittografati – WhatsApp e Signal, per capire – ad adattarsi ai controlli.
Quindi, di fatto, introducendo una backdoor, una porticina che renderebbe violabili gli scambi “end to end”. E non esisterebbe più la crittografia.
Qualcuno, nel brevissimo dibattito, ha ricordato, ovviamente, che tutto ciò non ha nulla a che vedere con la lotta alla pedofilia. Visto che chi prova ad abusare dei minorenni non si propone certo su FaceBook o sui social tradizionali.
Magari andrebbe potenziata la capacità di infiltrarsi degli agenti nei gruppi di pedofili, magari andrebbe aumentato il numero di persone che si occupano di queste inchieste, visto che – sempre per fare il caso della Germania -, mancando personale, sono ancora da “visionare” centinaia di hard disk sequestrati agli arrestati.
Forse andrebbe accresciuto il coordinamento fra gli investigatori. Di più, come ha detto uno psicologo a Bruxelles: “Tutto ciò sarà dannoso soprattutto per le vittime degli abusi. Chi è colpito da questa violenza ha un bisogno sopra agli altri: comunicare in modo sicuro e confidenziale con terapisti, con avvocati, con personale specializzato. Ha bisogno soprattutto di stanze protette. La possibilità che un’intelligenza artificiale e poi altri possano leggere quel che scrivono potrebbe impedire alle vittime la ricerca di aiuto e sostegno”.
Sembrano, sembravano discorsi ragionevoli. Invece è passata la «deroga». Una «sorveglianza di massa» che ha altri obiettivi, per usare ancora le parole di Patrick Breyer.
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