Sono terminate ufficialmente nel mar Nero il 10 luglio le manovre “Sea Breeze 2021”, le più estese nella storia di tali manovre, cui hanno preso parte vascelli da 32 paesi, anche non membri dell’Alleanza atlantica, 40 aerei, 5.000 uomini e 18 gruppi di forze speciali d’attacco.
Erano state anticipate dalla vera e propria provocazione portata il 23 giugno dal cacciatorpediniere britannico “Defender” di fronte a Capo Fiolent, in Crimea.
Le “Sea Breeze” si sono concluse; ma la NATO non ha alcuna intenzione di lasciare le acque del mar Nero.
Già il 1 luglio, intervenendo sul Primo canale georgiano, il rappresentante speciale del Segretario generale per Caucaso e Asia centrale, James Appathurai, aveva dichiarato che l’Alleanza manterrà la presenza nel bacino «per il sostegno agli alleati e ai partner della NATO», aggiungendo che questa «sta esaminando la questione di una maggiore cooperazione tra Georgia e NATO».
Tanto più che, sempre secondo Appathurai, la NATO non considera il mar Nero un mare russo e anzi ha intenzione di allargarvi la propria presenza: si tratta di «nostri distaccamenti di forze navali». Ma ciò viene fatto anche da «membri individuali della NATO; tuttavia tali azioni non sono coordinate. Vedete forze britanniche, velivoli francesi, gli USA che introducono regolarmente vascelli. Ai russi tutto questo non piace, ma noi lo facciamo lo stesso».
Come mai? Sono dei ragazzi dispettosi, alla NATO? Semplice, dice il fiero Appathurai: «Quando si parla della Crimea, la NATO ha una posizione ferma. La Crimea è Ucraina e non Russia. Nel corso dell’incidente con il “Defender” è stata per l’appunto dimostrata la fermezza dell’Alleanza nella difesa dei principi di libera navigazione. In fin dei conti, la Russia deve capire che gli alleati NATO non indietreggiano su tale questione. E per appoggiare i nostri alleati, manterremo la nostra presenza nel mar Nero».
La Tass ricordava giorni fa come la Georgia cooperi con la NATO sin dalla fine degli anni ’90 e come, nel 2002, l’allora Presidente Eduard Ševardnadze, il famigerato ex Ministro degli esteri della perestrojka, avesse espresso il desiderio di entrare a far parte dell’Alleanza.
Un’aspirazione ovviamente più che condivisa dal suo successore, Mikhail Saakašvili; mentre i governi georgiani posteriori al 2012, pur continuando sulla strada dell’integrazione nella NATO, hanno tra i propri obiettivi ufficiali quelli di una “graduale normalizzazione dei rapporti con la Russia, non a danno dell’integrità territoriale della Georgia”, con esplicito riferimento alla questione dell’Abkhazija e, soprattutto, dell’Ossetija meridionale, attaccando la quale, nell’agosto 2008, il “prode” Saakašvili riuscì a perdere in cinque giorni la guerra con la Russia.
Tra l’altro, proprio nel corso di quel conflitto, la marina di Mosca mise fuori combattimento praticamente l’intera flotta georgiana nella base di Poti, tanto che oggi Tbilisi dispone in pratica solo di motovedette della Guardia costiera e, anche queste, grazie alla “generosità” di Turchia e USA.
Non è che se la passi tanto meglio nemmeno l’Ucraina golpista che, dal 2014, ha perso quasi l’80% del proprio naviglio, è riuscita a distruggere i migliori cantieri navali del paese e oggi dispone di pochissime grandi navi e alcune motovedette.
In compenso, sembra che gli aiuti euro-atlantici arrivino qui in misura maggiore che in Georgia. Londra e Kiev avrebbero sottoscritto un memorandum, in base al quale la marina britannica dovrebbe realizzare due basi, una sulle coste del mar Nero e una su quelle del mar d’Azov, in cui vascelli NATO potrebbero stazionare aggirando la Convenzione di Montreux.
Ad ogni modo, le dichiarazioni di Appathurai riportate sopra non sono rimaste isolate. Fanno loro buona compagnia le parole del Ministro degli esteri britannico, Dominic Raab, secondo cui vascelli inglesi «continueranno a solcare le acque territoriali ucraine», considerando la rotta seguita il 23 giugno dal “Defender” come «l’itinerario internazionale più breve da Odessa al porto georgiano di Batumi».
Tant’è che il giorno seguente, la fregata olandese “Evertsen” aveva cercato di uguagliare il “Defender”: mentre era in acque neutrali, aveva cambiato rotta e si era diretta verso lo stretto di Kerč; ma, prima che violasse le acque territoriali russe, caccia dell’aviazione russa l’avevano sorvolata per avvertimento.
È evidente, scriveva pochi giorni fa Nikolaj Protopopov su RIA Novosti, che la Russia deve attendersi ulteriori provocazioni da parte di forze navali NATO e, in ogni caso, il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov, in risposta alle parole di Raab, ha dichiarato che Mosca adotterà ogni misura necessaria in caso di transito non concordato attraverso i confini marittimi russi.
A tutto questo lavorio della NATO, Mosca oppone nel mar Nero qualcosa come 260 vascelli, tra incrociatori lanciamissili, cacciatorpediniere, fregate e un’altra settantina di navi di superficie, oltre a sommergibili, motovedette e battelli ausiliari.
A parere dell’Accademico militare Sergej Sudakov, al momento è importante per la NATO mantenere un’atmosfera conflittuale con Mosca e i casi di violazione delle acque potrebbero ripetersi non solo con singoli vascelli, ma con interi convogli.
Secondo l’esperto di diritto marittimo internazionale, Vladimir Kotljar, sentito da Pravda.ru, lo scopo di tali provocazioni è molto semplice: costringere la Russia a fare concessioni riguardo la Crimea.
In tale situazione, il pericolo che qualche provocazione architettata con vascelli NATO inneschi una reazione di portata, diciamo così, “imprevedibile”, non sembra piccolo.
Tuttavia, appare alquanto ottimista il Presidente russo Vladimir Putin. In riferimento agli incidenti con il “Defender” e la “Evertsen”, ha detto che l’obiettivo principale di tali provocazioni era, da un lato, quello di sondare le capacità russe di bloccare incursioni simili, ma, soprattutto, di ribadire che essi non riconoscono e non rispettano e la scelta dei crimeani di unirsi alla Russia.
Ma, in ogni caso, aveva detto Putin, anche se la Marina russa avesse sparato non colpi di avvertimento davanti alla prora del “Defender”, ma lo avesse affondato, non si sarebbe arrivati alla guerra, dato che, nemmeno dall’altra parte, aveva detto, ci sono degli stupidi.
Certo, se lo dice Putin, magari sarà vero. Ma a noi tornano comunque in mente le parole pronunciate a Mosca dal grande Mao nel 40° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, secondo cui «sollevare una pietra per poi lasciarsela ricadere sui piedi» è il tipico «modo di agire di certi stupidi. I reazionari di ogni paese appartengono a questa categoria di stupidi».
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