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I Talebani stanno per riprendersi l’Afghanistan: 20 anni, 200mila morti e 1000 miliardi di euro dopo

Se non fosse una tragedia potremmo parlare di una farsa, di una commedia dell’assurdo: ma la storia della guerra in Afghanistan è troppo intrisa del sangue di civili ed innocenti per fare dell’ ironia.

Parliamo ovviamente della guerra che gli Stati Uniti, e poi tutti i suoi alleati, hanno sferrato contro il regime dei talebani nel 2001. Erano da poco crollate le Torri Gemelle, Osama Bin Laden si diceva che fosse ospitato, sostenuto e protetto proprio in Afghanistan dal movimento degli “studenti coranici” e sopratutto a George Bush e soci serviva un nemico da gettare in pasto all’opinione pubblica statunitense. E dunque ci fu il via libera alla guerra: prima bombardamenti a tappeto, poi le truppe di terra.

Dopo venti anni, qualche mese fa, prima gli americani e poi tutti gli altri membri della coalizione hanno detto basta: troppi costi, la guerra in Afghanistan non è più così utile e strategica, abbiamo altre priorità.

Già da qualche anno i talebani, mai realmente sconfitti, si erano riorganizzati, ed avevano ripreso ad operare militarmente in alcune aree del paese. Dal momento del ritiro delle truppe occidentali, ovviamente hanno accelerato la loro espansione militare, mettendo sempre più in difficoltà l’esercito afghano, armato ed addestrato dai consiglieri militari occidentali, ma evidentemente non sufficientemente motivato nell’opporsi alla determinazione talebana.

L’ultima notizia, rimbalzata in tutto il mondo tra sabato e domenica, è che le forze islamiste hanno riconquistato Kunduz, la principale città della parte settentrionale del paese. E’ il secondo capoluogo di provincia ad essere riconquistato negli ultimi giorni: anche la città di Sar-e-Pul, nel nord-ovest del Paese, è caduta di nuovo sotto il controllo dei talebani.

Sembra un film già visto: avvenne anche in Iraq, dove nel giro di qualche mese Daesh, lo “Stato Islamico”, conquistò mezzo paese tra il 2014 ed il 2015. Anche in quel caso i jihadisti si erano organizzati nonostante –  e forse anche grazie – l’occupazione militare statunitense e degli alleati.

Si erano infiltrati in Siria, devastata dalla guerra civile innescata sempre dagli Usa e dai suoi alleati contro Assad ed avevano poi approfittato della smobilitazione delle truppe occidentali  dall’Iraq per rientrare ed attaccare ferocemente l’esercito di Baghdad, impreparato e poco propenso a combattere. Anche perchè molti combattenti di Daesh, a partire dai comandanti, erano ex militari dell’esercito di Saddam Hussein che avevano più in odio gli invasori occidentali ed il loro governo-fantoccio che, forse, gli islamisti stessi.

Un copione ormai consolidato, che ha delle caratteristiche ormai più che evidenti: costa un sacco, in soldi e sopratutto di vite umane, e fallisce sempre, almeno rispetto alle intenzioni iniziali.

E’ successo in Iraq, in Siria ed ora in Afghanistan: almeno duecentomila morti e circa mille miliardi di euro il costo complessivo di questi venti anni inutili. Tragicamente, drammaticamente inutili.

Ed è incredibile come siano in pochi ad urlarla, questa verità: che cosa siamo (o siete, dipende dal punto di vista) stati a fare per venti anni a combattere laggiù? Quali sono gli importanti risultati strategici, politici e militari raggiunti a fronte di un esborso così abnorme in danaro ed in vite umane? Quale è il vantaggio, il miglioramento esistenziale che è stato dato agli afghani, sopratutto alle nuove generazioni? Cosa hanno avuto di meglio rispetto a prima?

Ve lo diciamo noi: niente. Citiamo alcuni dati, diffusi dall’osservatorio Milex e dal giornale Domani (tra ii tanti) negli scorsi mesi, per essere più chiari: secondo alcuni dati, poi secretati, diffusi dall’ U.S. Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction, alla fine del 2018 il governo afghano controllava solo il 54 per cento dei distretti del paese, cioè il numero più basso mai registrato dall’inizio del monitoraggio nel novembre 2015.

Il 34 per cento dei rimanenti veniva considerato come “contestato” – e cioè al centro di conflitti armati per definirne il possesso strategico – e il 12 per cento sotto il controllo talebano.

Negli ultimi cinque anni il 40 per cento circa dei morti civili in Afghanistan sono stati bambini. La maggior parte di queste vittime, il 57 per cento, sono state causate dalle forze internazionali guidate dagli Stati Uniti.

Secondo altri dati, diffusi dal sito internet Action on Armed Violence (Aoav) nel biennio 2018-2019 l’esercito americano ha sganciato più bombe  sull’Afghanistan che rispetto alla fase più intensa dei bombardamenti nel 2011: più di 20 al giorno.

Potremmo andare avanti con altri dati, altri numeri, ma il concetto è chiaro. La missione militare in Afghanistan è stato un fallimento totale: strategico, militare, politico. Un fallimento che gronda sangue e che è costato una quantità di soldi che fa spavento.

Per quel che riguarda l’Italia parliamo di circa 8 miliardi di euro: quanti ospedali avremmo potuto tenere aperti? Quanti reparti di terapia intensiva? Domande a cui nessuno darà risposta, come sempre.

Il ritiro delle truppe italiane è scivolato ovviamente sotto silenzio, senza una riflessione, un commento, una battuta su tutti i rifinanziamenti approvati in questi venti anni anche da chi aveva costruito il proprio discorso politico anche sul tema del definanziamento delle missioni militari.

Parliamo del passato e del presente: d’altronde venti anni sono tanti, e anche se i Talebani stanno riprovando – e per ora sembra ci stiano riuscendo anche – a riportare l’orologio indietro al 2001, la memoria di quel che è avvenuto in Afghanistan anche con la complicità dell’Italia e con questi risultati, non riuscirà a cancellarla nessuno.

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