Si è verificato un disastro aereo? Guardate bene e vedrete che sotto sotto c’è la mano dei comunisti. I pioppi hanno rilasciato una quantità indicibile di polline? Ma è chiaro: erano stati i comunisti a piantare i pioppi. Si è arrivati allo scontro fisico alla riunione di condominio? Per forza: l’amministratore è un comunista.
Cambiano le circostanze, ma il rituale si ripete. Israele richiama a tempo indefinito il proprio incaricato d’affari in Polonia, dopo che il presidente polacco Andrzej Duda ha firmato la legge che «limita la possibilità di richieste di restituzione per le proprietà rubate agli ebrei dai nazisti durante la seconda guerra mondiale»? È chiaro: si tratta di proprietà «nazionalizzate dal regime comunista nel dopoguerra», scrive haaretz.com.
Non è da meno huffingtonpost.it, che scrive dei beni che «dopo il 1945 divennero proprietà della dittatura comunista» e sentenzia che la «Polonia è sulla strada per diventare un Paese sempre meno libero, democratico e occidentale e questo sotto gli occhi, stupiti e inermi, di Stati Uniti, Israele e Unione Europea».
Difficile dire chi vada a scuola da chi, tra il Ministro degli esteri israeliano Yair Lapid, costernato di fronte a una Polonia che «è diventata un paese antidemocratico e illiberale che non onora la più grande tragedia della storia umana», e i giornalisti di huffingtonpost, che intravedono una «Polonia sempre meno europea. Sempre più fuori dall’Occidente».
Perdio, ora sì che è illiberale e anti-occidentale! Mica quando getta in galera chi agita una bandiera rossa, chi chiede l’uscita dalla NATO, o chi si azzarda a mettere in dubbio il dogma del passato «criminale regime comunista»: allora sì che è «democratica e occidentale» e non contraddice, come ha detto il Segretario di Stato USA Antony Blinken, «i valori fondamentali dell’Occidente e della comunità transatlantica».
E com’è “democratica e occidentale”, ogni volta che, in compagnia di tutti paesi “europeisti”, Italia compresa, si astiene all’ONU sulle risoluzioni contro la eroicizzazione del nazismo; com’è “sempre più dentro all’Occidente” ogni volta che vota compattamente le risoluzioni europeiste su nazismo e comunismo; com’è “occidentale” quando sponsorizza l’opposizione bielorussa che sventola le bandiere degli ex collaborazionisti nazisti; com’è “liberale” mentre sostiene i nazi-golpisti ucraini!
È invece «sempre meno europea», ora che, oltre gli ebrei israeliani, sfida persino gli yankee nella loro “libertà d’impresa”, con una legge (“Lex TVN”) che impone che «i media polacchi siano controllati da proprietari nazionali e di fatto limita profondamente la libertà dei media indipendenti in Polonia»: cioè la libertà del gruppo yankee Discovery, che dovrà «vendere la sua quota di maggioranza nella rete televisiva privata TVN».
.Ecco allora le lacrime del presidente del Parlamento europeo, David Sassoli – «Non ci può essere libertà senza media liberi» – e i singhiozzi del Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni – «legge tv che vieta a Discovery di essere azionista dell’unica rete non filogovernativa. In Europa democrazia è libertà».
Poco importa che il disegno di legge parli del divieto di possedere canali televisivi polacchi, da parte non di “stranieri” in generale, ma di “società straniere situate al di fuori dello Spazio economico europeo”.
Ora, su questo giornale si è più volte scritto dello spirito che anima gli attuali gruppi dirigenti della Polonia reazionaria e sanfedista e di come, ad esempio, gli interessi degli eredi della vecchia szlachta polacca su quei territori ucraini e bielorussi rimasti sotto occupazione polacca dal 1920 al 1939, mettano in competizione Varsavia addirittura coi suoi complici nazigolpisti ucraini, nonostante la comune fede anti-russa e soprattutto anti-comunista.
Lasciamo a huffingtonpost e simili l’onore di tifare per l’uno o l’altro dei contendenti nella gara tra Washington e Varsavia su chi, secondo Blinken, renda «l’Alleanza transatlantica più resiliente».
Ci sembra che la sostanza di questa disputa estiva tra paladini delle «democrazie più forti», stia in altro e riguardi, prima di tutto il ruolo che ognuno dei singoli “alleati” NATO in Europa intende ritagliarsi per proprio conto, anche a spese di altri “alleati” degli USA.
In secondo luogo, e di conseguenza, all’interno dei singoli paesi (in questo caso la Polonia) il ruolo delle varie sfaccettature di un’unica destra oscurantista che, pur alleate di governo, ambiscono a scavalcarsi nelle genuflessioni all’altare yankee e, quindi, sostengono o meno la legge sui media osteggiata da Washington.
Come nota il polonista russo Stanislav Stremidlovskij, il «controllo su TVN24 è necessario al partito di governo “Diritto e Giustizia” per mantenere la posizione di leader e conservare la maggioranza al Sejm, in vista delle elezioni parlamentari del 2023». Dunque, Discovery o meno, Shoah o meno, difficile credere che in ballo ci sia la “libertà dei media liberi”, e non piuttosto quello che i vecchi toscani chiamavano il vile interesso.
Nemmeno a farlo apposta, ora il giornalista polacco Dawid Berezycki, su IA Rex, ricorda come l’ex presidente della Knesset ed ex ambasciatore in Polonia Sheva Weiss, lo scorso 9 agosto, in un’intervista a Rzeczpospolita, avesse detto che «dobbiamo tornare al tavolo dei negoziati» (per le riparazioni) e che «gli USA lotteranno contro la Polonia» (per il canale TVN).
Dunque, scrive Berezycki, per comprendere la connessione tra i due temi, sembra sufficiente ricordare che «David Zaslav, presidente di Discovery Inc., la corporation USA che controlla il canale di informazione TVN24, è anche membro del comitato esecutivo della USC Shoah Foundation, che collabora con il World Jewish Congress, la maggiore lobby polacca per i risarcimenti».
Questo, per un verso. Per un altro, è possibile che ora Washington, in risposta alle due leggi polacche, riveda ancora una volta la gerarchia dei propri partner europei.
Non solo. Il portale Wirtualna Polska azzarda finanche (ma sembra prematuro) che Washington, in risposta al rifiuto di Varsavia di seguire le istruzioni yankee favorevoli a Israele, possa traferire le truppe USA dalla Polonia alla Romania, il che inciderebbe negativamente sullo status di Varsavia nel “fianco orientale NATO”.
La Casa Bianca potrebbe anche sospendere le forniture di armi (aerei F-35 o missili Patriot) percependo Varsavia come una seconda Turchia: collaborazione nella NATO, ma esclusione dai programmi d’arma.
Voci a parte, Blinken ha detto chiaro e tondo che i «massicci investimenti commerciali americani in Polonia uniscono la nostra prosperità e rafforzano la nostra sicurezza collettiva. Questo disegno di legge minaccia la libertà dei media e potrebbe minare il clima degli investimenti in Polonia».
E nella stessa Polonia circolano anche voci del tipo: gli attuali avvenimenti «mostrano l’ingenuità di coloro che credevano nell’alleanza polacco-americana. …Se qualcuno pensasse che per l’establishment di Washington il peso di Israele e della diaspora sia paragonabile al peso della Polonia, allora dovrebbe abbandonare per sempre gli affari internazionali».
Ora, dunque, in pericolo ci sono anche le ambizioni polacche a rinverdire il mito Międzymorze di Józef Piłsudski, di una Polonia dal Baltico al mar Nero e le speranze di sostituire la Germania nel ruolo di principale avamposto USA in Europa.
Lo scorso luglio, per dire, alla vigilia della visita del Ministro degli esteri tedesco Heiko Maas, l’omologo polacco Zbigniew Rau aveva scritto sulla tedesca Frankfurter Allgemeine Zeitung, che Berlino sembra esser caduta nella trappola tesa da Putin: il nodo è, manco a dirlo, il “North stream 2” che, a detta di Rau «creerà un enorme deficit di sicurezza su tutto il fianco orientale della Nato» e per l’Ucraina.
Per questo, Rau invitava Berlino a rafforzare il «potenziale deterrente sia del fianco orientale della NATO che dell’Ucraina, che, in quanto vittima dell’aggressione russa, dovrebbe ricevere un risarcimento sufficientemente elevato sotto forma di sostegno politico e aumento della sua difesa capacità».
Intervistato dalla polacca Rzeczpospolita, Maas aveva risposto che limitare «la nostra cooperazione all’interno di UE e NATO al solo “North stream 2” sarebbe molto ingiusto, date le strette relazioni bilaterali tra Germania e Polonia».
Ora, osserva Stanislav Stremidlovskij, formalmente, Polonia e Germania sono unite da stretti legami economici; il commercio è fiorente e il capitale tedesco in Polonia è dato da investimenti diretti esteri. Tuttavia, la maggior parte delle «esportazioni polacche in Germania, sono opera di filiali di società tedesche in Polonia. Questo ricorda il rapporto tra Washington e Pechino sviluppatosi alla fine del secolo scorso e… di solito, tale cooperazione economica non si trasforma in un’analoga cooperazione politica».
È chiaro, dice Stremidlovskij, che dietro a ciò si cela un percorso per contenere le ambizioni politiche di Varsavia, col suo zigzagare verso Turchia e Cina: questo porta Berlino a riflettere su cosa fare con la Polonia.
In questo contesto, esplosive per l’opinione pubblica polacca sono state le parole dell’editorialista di Die Welt, Philip Fritz, secondo cui «la Germania ha inserito la Polonia, come partner europeo, nella colonna delle perdite».
Già un paio di mesi fa, a proposito delle priorità sul “fianco orientale” NATO, Stremidlovskij aveva accennato alla possibile sostituzione di Varsavia con Vilnius. Dopo il vertice di Bruxelles, in cui Biden aveva chiamato a raccolta gli europei in vista del summit con Putin e, soprattutto, aveva incitato a unirsi all’attacco alla Cina, Angela Merkel aveva ricordato che Pechino «è rivale su molte questioni», ma è anche «partner su molte questioni».
E se già da molti mesi Varsavia ha intensificato i rapporti con Pechino, ecco che Vilnius si fa avanti e comincia a perseguire una politica apertamente anti-cinese.
Al Sejm lituano, ad esempio, è stato votato il ritiro dal formato “17 + 1”, che unisce i paesi dell’Europa centro-orientale e dei Balcani con la Cina. L’ostentazione filo-yankee lituana mette in discussione lo status della Polonia che, a partire dal vertice NATO del 2016 a Varsavia, e fino a oggi, era considerata “leader del fianco orientale dell’Alleanza Atlantica”.
Se Washington, scriveva Stremidlovskij, ha ora deciso di «riformare il cosiddetto fianco orientale della Nato, concentrando l’attenzione sulla “minaccia cinese”, significa che la Polonia sta diventando una provincia profonda, che non interessa agli americani».
Se le prospettive sono queste, ecco che Varsavia tenta di rattoppare le falle e il vice Ministro della difesa, Marcin Ociepa, si sbraccia ad assicurare Blinken che c’è la possibilità di aggirare la “Lex TVN” e concludere un «accordo bilaterale con gli americani», che consentirebbe loro «in via d’eccezione» di essere presenti sul mercato polacco dei media; questo perché, ha detto, «gli americani sono i benvenuti in Polonia».
Ma non sembra che tutto sia così liscio, tant’è che, come ha dichiarato a Wirtualna Polska l’ex ambasciatore USA in Polonia, Daniel Fried, «siamo in una realtà in cui, da un lato, c’è una logica militare-difensiva, e dall’altro, ce n’è un’altra politico-affaristica».
Ora, scrive ancora Stanislav Strmidlovskij, Varsavia non ha piena fiducia nella NATO e ha quindi deciso di puntare su accordi bilaterali con gli Stati Uniti; aveva ottenuto il dispiegamento di un contingente militare USA in Polonia, sperando di assicurarne la presenza permanenza e realizzare una base, “Fort Trump”, simile alla tedesca Ramstein.
In realtà, dice il polonista russo, Washington non ha mai avuto fretta di «aiutare Varsavia a guadagnare prestigio nell’arena internazionale. I polacchi sono stati usati come carne da cannone in Iraq e Afghanistan… Negli anni 2000, Varsavia permise alla CIA di attrezzare una prigione segreta a Stare Kiejkuty», con l’unico risultato che nel 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo condannò la Polonia a risarcire al-Nashremi (100.000 euro) e Abu Zubaydahovi (130.000 euro) torturati in quella prigione.
Poi, con Trump, «il partito di governo polacco è stato utilizzato nei giochi USA contro la Germania e l’Iran». Ma, ogni volta, il partito di governo “Diritto e giustizia” non ne ha ricavato nulla.
Quello stesso partito, osserva Stremidlovskij, che mentre adotta leggi che provocano le reazioni critiche di Washington, cerca però di assicurare i polacchi che Varsavia è tuttora il partner principale degli Stati Uniti e che «nulla è cambiato con l’amministrazione Biden. Sarebbe tempo, invece, che la Polonia impari a vivere senza gli Stati Uniti, sviluppando un nuovo concetto di politica estera e analizzando quali siano le reali minacce da affrontare. Varsavia potrebbe scoprire di essere in grado di vivere senza un “rapporto speciale” con Washington, per il quale deve pagare un caro prezzo».
Con le forze comuniste e di sinistra messe praticamente fuori legge, per “sempre più dentro all’Occidente”, è davvero difficile che i clerico-conservatori di Varsavia vadano in quella direzione.
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