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La sconfitta americana in Afghanistan: un confronto con l’esperienza sovietica

L’articolo che qui pubblichiamo è apparso per la prima volta il 13 maggio sulla Monthly Review Online, ed è stato riproposto dopo la caduta di Kabul sulla stessa rivista digitale.

In questo contributo vengono evidenziate la fallimentare strategia statunitense in Afghanistan ed in Iraq e mostrate le differenze tra ciò che la stampa mainstream mette sullo stesso piano: la presenza dell’Armata Rossa in Afghanistan dal 1979 – durata meno di un decennio – e la ventennale occupazione del Paese da parte delle truppe statunitensi e della NATO, tra cui l’Italia.

Dopo la caduta di Kabul, infatti, la formula dell’Afghanistan come “tomba degli imperi” è ripetuta incessantemente, mettendo nello stesso calderone l’imperialismo britannico, il sostegno dell’Unione Sovietica all’assetto politico sociale emerso con la Rivoluzione Saur nel 1978 (che aveva firmato un ventennale trattato d’amicizia) e la ventennale avventura militare dell’Alleanza Atlantica.

Pensiamo che uno degli elementi più importanti dell’articolo sia quello espresso in questo periodo:

i comunisti di tutto il mondo fallirono miseramente nel vedere il significato storico del conflitto afghano: non sapevano che la sconfitta del progetto progressista in Afghanistan avrebbe avuto gravi ripercussioni sul progresso nell’intera regione – se non nel mondo.

Non videro l’importanza di sconfiggere il progetto reazionario; si fossero organizzati come durante la Guerra Civile Spagnola, sarebbero stati capaci di preservare l’ordine progressista a Kabul. È stata un’occasione sprecata per il progresso globale.

L’Unione Sovietica non stava semplicemente difendendo un regime progressista in Afghanistan, ma stava combattendo per garantire il progresso nei paesi musulmani”.

Questo è il punto. L’Afghanistan è stato un tornante storico, e chi allora condannò l’intervento sovietico come fece la dirigenza del Partito Comunista Italiano sotto la segreteria di Berlinguer, o chi a maggior ragione si schierò con la cosìddetta resistenza afghana, aprì le porte non solo alla vittoria della contro-rivoluzione nel Paese Asiatico ma spianò la strada alla vittoria statunitense nella Guerra Fredda che per tanti popoli significò un evidente regresso.

Con la sconfitta afghana, che si compì dopo alcuni anni del ritiro dell’Armata Rossa e dell’aiuto dell’URSS a Najibullah, veniva ipotecato quel sogno bolscevico maturato sin dai tempi della Rivoluzione d’Ottobre di “incendiare l’Oriente”.

Bisogna ricordare infatti che l’Internazionale Comunista invitò a Baku, nel 1920, milleottocento delegati da venti nazioni provenienti dal Medio-Oriente all’Asia Centrale, per lanciare il proprio appello al combattimento specialmente contro l’imperialismo britannico.

Allora come alla fine degli Anni Settanta l’imperialismo non si fece problemi ad appoggiare gli elementi più retrivi per affermare i propri interessi e mantenere lo status quo contro l’ipotesi di sganciamento dal gioco coloniale, appoggiandosi a spietati condottieri che furono sconfitti uno dopo l’altro.

E questo non riguardava solo alla lotta incessante contro il bolscevismo – ben descritta da Peter Hopkirk in “Avanzando nell’Oriente in Fiamme” – ma contro I tentativi di riforma che stavano emergendo all’interno, anche tra le classi dirigenti autoctone.

Questo è il caso Amanullah Khan, sovrano afghano dal 1919 al 1929, che vincendo la terza guerra anglo-afghana liberò completamente il Paese dall’influenza diplomatica britannica ed avviò una politica riformatrice nel campo dell’istruzione e della parità di genere, cui diede un grande impulso la moglie Soraya Tarzi.

Naturalmente, questo riformismo modernizzatore non subordinato all’Occidente – come altri esempi – sono molto poco noti e servono per rinfocolare lo stereotipo di un popolo di selvaggi ancorato alle proprie arcaiche convinzioni, incapace di cambiare la propria condizione se non con un intervento esterno.

E tutta la stucchevole retorica sui “diritti umani violati” – che ancora oggi anche una parte della “sinistra radicale” decanta – rimane pura ipocrisia di fronte al fatto che, ai tempi, l’Occidente ha appoggiato dei fanatici terroristi che si scagliavano contro proprio contro questi diritti.

Buona Lettura

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La decisione del Presidente Joe Biden di ritirare “tutte le truppe statunitensi” dall’Afghanistan (non proprio tutte, ma sapete come gli imperi chiudono i propri presidi d’occupazione) è stata la decisione più importante nella storia contemporanea dell’impero americano dalla fine della Guerra Fredda.

La guerra statunitense in Afghanistan è durata più a lungo dell’intervento militare sovietico in Afghanistan. Nonostante ciò, i media occidentali non hanno mai considerato l’attacco americano per ciò che era: un tentativo di ridisegnare il Medio Oriente (e oltre) secondo i piani statunitensi. Tanti eventi riguardanti lo scenario dell’intervento americano non sono riusciti a sfondare nelle narrative mediatiche americane.

C’è una grossa differenza tra gli interventi americano e sovietico in Afghanistan. L’Unione Sovietica non si è mai inventata gruppi di esiliati che ha poi gettato sulla popolazione afghana e li ha fatti comandare su di essa.

Questo solo nominalmente, ovviamente, perché in verità sono state le forze armate e la burocrazia dei servizi segreti americani a governare il paese. Così come in Iraq, gli USA hanno sfruttato delle marionette con poca legittimazione popolare, in molti casi, per governare in suo nome.

Ahmed Chalabi era il principale favorito dell’amministrazione Bush, e l’uomo che avrebbe traghettato l’Iraq verso l’orbita americana e la pace con Israele. Ma nell’ultima elezione iraqena prima della sua morte si è dovuto allineare al predicatore shiita Muqtaba as-Sadr per garantirsi un seggio in Parlamento.

L’uomo che doveva essere la pedina dei servizi e dell’esercito americani (e che per anni ha ricevuto milioni di dollari dei contribuenti per condurre operazioni segrete per conto degli Stati Uniti) si è rivelato essere un alleato dell’Iran e dei suoi alleati.

I Sovietici, al contrario, si basavano su afgani locali molto popolari che avevano profondi radici nel proprio paese e che avevano già formato partiti progressisti popolari. Le foto in bianco e nero che mostrano quanto fosse laico l’Afghanistan non sono nient’altro che la testimonianza dell’impatto del governo di sinistra del paese.

Per quanto l’invasione sovietica avesse ricevuto copertura nei media mainstream americani all’epoca (ricordate il corrispondente della CBS Don Rather che indossa guardaroba afgano come se fossero vestiti da Hollywood e promuove gli zeloti mujaheddin?) e per quanto i governi occidentali e del Golfo esprimessero disgusto per i cosiddetti eccessi dell’esercito sovietico, l’occupazione americana in Afghanistan si è dimostrata ben più brutale e devastante, nonostante la poca attenzione dei media alle violazioni dei diritti umani da parte degli Stati Uniti.

Il numero di civili uccisi dagli americani o dai loro alleati a volte sono stati maggiori rispetto a quelli uccisi dai talebani ogni anno.

Per ogni invasione, gli Stati Uniti preparano un insieme di formule propagandistiche, e queste vengono ripetute nei media occidentali come se fossero fatti. Queste formule possono essere declinate a seconda della situazione.

L’America ha prima invaso l’Iraq per liberarlo dalle “armi di distruzione di massa”, poi quando queste armi non sono state trovate, ha ricorso ad un’altra narrativa: “esportare democrazia in Medio Oriente”.

E dopo aver combattuto ogni tentativo di democratizzare il paese, perfino tentando di rimpiazzare libere elezioni con dei “caucus”, se ne uscirono poi con il tentativo di stabilizzare il paese (“il paese deve essere ancora stabilizzato”).

Gli Stati Uniti hanno invaso l’Afghanistan per punire i talebani per gli attacchi dell’11 settembre anche se non ci sono ancora prove che i vertici dei talebani sapessero dei piani di Bin Laden.

Quando gli Stati Uniti chiesero, sulla scia dell’11 settembre, di consegnare Bin Laden, il governo talebano (che in quel momento era riconosciuto a livello diplomatico da soli tre paesi – Pakistan, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita – tutti e tre importanti alleati regionali degli Stati Uniti) considerò seriamente di consegnarlo e chiesero agli Stati Uniti prove delle colpe di Bin Laden.

Ma gli Stati Uniti si rifiutarono perché era loro intenzione invadere il paese per dare una lezione e “calciare qualche culo”. L’America voleva una guerra di vendetta e il 93% degli americani la supportarono al tempo (l’invasione dell’Iraq non fu tanto popolare, ma comunque la stragrande maggioranza della popolazione la supportò).

Il Presidente George W. Bush sfruttò l’occasione per asserire che gli Stati Uniti volessero superare la “Sindrome del Vietnam”, nonostante suo padre avesse detto nel 1991 che era stata sconfitta una volta per tutte.

Fu comunque tutto un mito in quanto gli Stati Uniti non smisero mai, dal Vietnam in poi, di intervenire militarmente negli affari di altri paesi, ma il Partito Repubblicano creò questo mito per razionalizzare più guerre ed invasioni.

Al tempo dell’invasione sovietica, l’Afghanistan era diviso tra forze reazionarie ed oscurantiste e una sinistra basata su programmi di emancipazione femminile, uno Stato laico e la giustizia sociale. Gli Stati Uniti ovviamente si allearono con le forze reazionarie, che si affrettò a finanziare ed armare sulla scia dell’entrata sovietica nel paese.

Bin Laden fu il prodotto diretto dell’intervento americano in Afghanistan in quanto gli Stati Uniti sono responsabili della creazione di una forza internazionalista di fanatici religiosi. I Sovietici si ritrovarono di fronte ad una vasta gamma di forze regionali e internazionali che gli Stati Uniti schierarono per fiaccare le operazioni di Mosca sul territorio afgano e un regime afgano progressista.

Con l’aiuto di Pakistan, Arabia Saudita e jihadisti della regione, negli anni 80 gli Stati Uniti hanno inflitto una guerra internazionale sull’intera regione da cui non si è più ripresa, nemmeno oggi.

I Sovietici organizzarono la propria guerra differentemente. Non organizzarono mai una forza internazionale per tenere in piedi il loro regime. In più, i comunisti di tutto il mondo fallirono miseramente nel vedere il significato storico del conflitto afgano: non sapevano che la sconfitta del progetto progressista in Afghanistan avrebbe avuto gravi ripercussioni sul progresso nell’intera regione – se non nel mondo.

Non videro l’importanza di sconfiggere il progetto reazionario; si fossero organizzati come durante la Guerra Civile Spagnola, sarebbero stati capaci di preservare l’ordine progressista a Kabul. È stata un’occasione sprecata per il progresso globale.

L’Unione Sovietica non stava semplicemente difendendo un regime progressista in Afghanistan, ma stava combattendo per garantire il progresso nei paesi musulmani.

Al contrario, gli Stati Uniti e le potenze occidentali supportavano forze reazionarie nel mondo islamico. E queste andavano di pari passo col regime reazionario dell’Arabia Saudita, che ha colto subito l’attimo per combattere le forze progressiste arabe e musulmane con gli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti non hanno dovuto affrontare l’insieme di forze internazionali che dovette affrontare l’Unione Sovietica. Washington formò una coalizione internazionale di vari governi (i quali stranamente consideravano l’occupazione americana dell’Afghanistan come una campagna brutale già affinata in Vietnam) come una giusta risposta o una vendetta all’11 settembre.

Gli Stati Uniti sono stati sconfitti oggi in Afghanistan non da una superpotenza ma da un’armata brancaleone di fanatici locali che hanno perfezionato il loro fondamentalismo sotto al patronato americano, pakistano e saudita per combattere i sovietici negli anni 80.

L’America lascia un Afghanistan sconfitto incolpando un mucchio di forze che non hanno nulla a che vedere con le azioni compiute dagli americani nel paese. Quel che lascia l’America è la distruzione della vita nei villaggi, il numero sempre più alto di morti tra i civili e l’appropriazione indebita del governo da parte di codardi, usurpatori, parassiti, funzionari della Banca Mondiale e una dose salutare di criminali di guerra che avevano in precedenza collaborato con l’Alleanza Atlantica e i suoi alleati nella guerra ai Talebani.

Così come espatriati iraqeni (come Chalabi o Kanaan Makiyya) avevano rassicurato George W Bush che gli iraqeni locali avrebbero accolto a braccia aperte l’invasione americana, un gruppo selezionato di espatriati afgani rassicurò Bush che gli afgani avrebbero sostenuto l’occupazione americana per sempre. Ma gli americani non si capacitarono del perché alcuni locali stavano resistendo al comando coloniale statunitense.

I media occidentali, come il Washington Post o il New York Times, sono rimasti shockati dal perché l’amministrazione Biden abbandonava l’Afghanistan dopo “solo” 20 anni di occupazione.

Hanno chiesto del destino dei buoni afgani, ovvero coloro i quali hanno collaborato, tradotto, spiato per gli americani. Vari titolo si sono lamentati delle condizioni femminili dopo la partenza americana: cosa farebbero le donne senza le truppe statunitense?

Ma l’esercito americano non ha potuto sostenere l’occupazione per sempre e la speranza per una pacificazione stabile si è così dissolta.

Ora che le sue forze se ne vanno, siamo certi di dire che gli Stati Uniti, che non hanno mai capito il paese, lasciano l’Afghanistan in uno stato peggiore rispetto a quando sono arrivati 40 anni fa.

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