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Turchia. Lo sciopero della fame dei prigionieri contro l’isolamento di Öcalan

Lo sciopero della fame a rotazione, lanciato il 27 novembre 2020 nelle prigioni turche contro l’isolamento del leader curdo Abdullah Öcalan, detenuto da 21 anni nell’isola-carcere di Imrali, continua ed è arrivato al suo 276° giorno.

I prigionieri del PKK e del PJAK, che hanno aumentato il turno di giorni da 5 a 15 giorni dal 14 luglio, intendono proseguire la loro lotta senza alcun segno di resa a tempo indeterminato.

Lo sciopero della fame ad oltranza è ormai una pratica consolidata, nel tempo e nella sostanza, dai prigionieri politici in Turchia. Nel 2012 era durato 68 giorni e fu interrotto su richiesta dello stesso Öcalan; nel 2016, la protesta terminò all’ottavo giorno, dopo un incontro con il leader curdo.

Nel 2018, i prigionieri hanno condotto un nuovo sciopero della fame per 200 giorni, con l’azione lanciata sotto la guida di Leyla Güven, co-presidentessa del Congresso della Società Democratica (DTK), per poi diffondersi a livello internazionale raccogliendo una forte solidarietà in numerosi paesi europei.

L’attuale protesta è sostenuta anche dalle donne del campo profughi di Maxmur, città del Kurdistan iracheno, le quali si sono organizzate attraverso all’Associazione delle famiglie dei martiri di Maxmur e sono arrivate al 255° giorno di sciopero della fame, iniziato lo scorso 18 dicembre.

Anche nel campo profughi autogestito da esuli curdi di Lavrio, in Grecia, lo sciopero della fame contro l’isolamento di Öcalan è arrivato al 238° giorno, grazie all’organizzazione del Movimento giovanile rivoluzionario (TCŞ-Tevgera Ciwanên Şoreşger), del Movimento delle donne curde in Europa (Tevgera Jinên Kurdistan a Ewropa) e del Centro culturale curdo (Navenda Çanda Kurdistan).

Melek Başkale, che per sette anni ha incontrato sua sorella Esma detenuta nella prigione femminile di Bakirköy a Istanbul, è stata arrestata venerdì a Urfa con l’accusa di una sua presunta appartenenza al PKK. Melek è incriminata di aver contattato i parenti di altre detenute e di aver organizzato lo sciopero della fame mentre visitava sua sorella in prigione.

Ahmet Timurtaş, padre di Süleyman, uno dei prigionieri attualmente in sciopero della fame, non ha potuto fare visita al figlio detenuto per due anni e mezzo e accusa lo Stato turco e i suoi complici internazionali di aver trasformato le prigioni in “centri di illegalità”.

Ahmet afferma che “prima del coronavirus, c’era già pressione su di loro, libri e giornali non venivano consegnati; ma con la pandemia, le autorità hanno vietato quasi tutto, i prigionieri sono rimasti senza diritti”, aggiungendo che “non sono state prese misure contro il coronavirus, i materiali di pulizia sono stati venduti a prezzi alti, i prezzi della mensa sono stati triplicati“.

Le carceri turche sono tristemente note per la situazione dei prigionieri malati, le violazioni dei diritti, la tortura e i maltrattamenti. Timurtaş ha criticato il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) e la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDH) per ignorare le brutali condizioni detentive di Abdullah Öcalan e di decine di migliaia di prigionieri, una realtà che va ben oltre il solo isolamento.

In una recente intervista, Destina Yıldız, co-portavoce della Commissione penitenziaria della sezione di Istanbul dell’Associazione degli avvocati per la libertà (ÖHD), ha riferito dei gravi rischi per la salute dei prigionieri e ha criticato le pratiche delle amministrazioni carcerarie. Queste non si preoccupano dei problemi alla salute dovuti ad un digiuno così prolungato, ma aumentano ed inaspriscono le punizioni disciplinari.

In Turchia, le restrizioni imposte nelle prigioni dalle autorità governative durante l’epidemia di Covid-19 non sono ancora state revocate. I prigionieri politici non considerano la violazione dei diritti e le politiche di repressione condotte sotto la copertura della pandemia come indipendenti dalla politica di isolamento contro Abdullah Öcalan.

Il leader del popolo curdo è in una situazione di isolamento sempre più stretto e rafforzato, con le visite da parte di avvocati e parenti divenute praticamente impossibili, così come le lettere o le telefonate. L’ultima telefonata risale al 25 marzo, quando Öcalan ha potuto parlare con suo fratello Mehmet in una breve conversazione, avvenuta circa un anno dopo la precedente chiamata, il 27 aprile 2020.

Gli avvocati di Abdullah Öcalan hanno nuovamente richiesto all’ufficio del procuratore capo di Bursa di incontrare il loro assistito nella prigione dell’isola di Imrali, ma tutte le richieste di visita sono state finora respinte o sono rimaste senza risposta. L’ultima visita del team di avvocati risale al 7 agosto 2019.

Inoltre, dall’inizio del 2021 è stata ripresa l’indagine, avviata nel 2012, contro alcuni degli avvocati di Öcalan per “appartenenza a un’organizzazione terroristica” e dovrebbero comparire in tribunale a settembre. Gli elementi “criminali” citati nell’atto di accusa sarebbero proprio gli incontri con Öcalan e il rifiuto di accettare le accuse contro di loro.

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