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Cile. A due anni dal 18 ottobre 

A due anni dalla rivolta cittadina iniziata quel venerdì 18 ottobre 2019, vale la pena porsi alcune domande che possono orientarci su dove siamo e dove stiamo andando come Paese. Ad esempio: quando è finita l’esplosione sociale? L’esplosione sociale è finita?

Tutto indica che l’esplosione cilena è un processo storico, in incubazione da anni e che è ancora in corso. In tal senso, la parola “esplosione” – che si è imposta nella stampa, anche in Interferencia, e tra la maggioranza dei cittadini – probabilmente non è quella adeguata. Un’esplosione ricorda qualcosa di concreto nel tempo e nello spazio, l’esplosione di un petardo, l’urlo del goal nello stadio, la rabbia passeggera: è qualcosa di effimero.

Con ogni evidenza, ciò che sta accadendo nel Paese non è qualcosa di effimero. C’è la Convenzione Costituente che si riunisce ogni giorno per ricordarcelo.

Quindi, il 18 ottobre è stato il punto che segna l’inizio di un profondo processo di cambiamento – il nostro assalto alla Bastiglia, una rivoluzione – o un semplice “raptus” sociale – uno scoppio – dovuto alle iniquità del modello cileno, un clamore per fare delle correzioni? La seconda, sicuramente, è l’interpretazione che predomina nell’élite trasversale.

Questo lo sapremo solo col tempo.

Tutti abbiamo assistito e partecipato all’esplosione sociale – in un modo o nell’altro – e ognuno di noi custodisce il ricordo di ciò che ha vissuto. Tuttavia, quella storia vissuta può svanire, i ricordi si deformano, la memoria viene a mancare e, il più delle volte, la storia viene poi raccontata come una “verità ufficiale”, raccontata dalla prospettiva faziosa di chi si è dichiarato vincitore dei processi storici.

Così, quasi senza accorgersene, si è andata tessendo una cronaca quasi ufficiale di quanto accaduto.

Nella stampa tradizionale, nei detti della classe politica, nell’atteggiamento dei grandi imprenditori, ma anche tra tanti cittadini, ha cominciato a prendere piede un’idea potente (che come tutte le storie potenti ha aspetti veritieri): in un momento storico, in concreto il 15 novembre 2019, la classe politica ha ascoltato il clamore delle piazze e in un grande accordo trasversale ha dato vita a un processo costituente. A partire da quel momento, gli animi si sono, più o meno, calmati e le cose sono entrate in un nuovo corso.

Un vecchio detto sostiene che la storia la scrivono i vincitori. Basta ricordare tentativi simili negli ultimi 50 anni. A partire dal settembre del 1973, la dittatura installò con successo – supportata da fucili e da una macchina di propaganda – l’idea che il Cile chiedesse a gran voce di rovesciare il governo di Allende.

Ci sono voluti anni alle nuove generazioni per scoprire che questo resoconto ufficiale era la storia dei vincitori. La recente trasmissione pubblica su La Red del documentario ‘La Batalla de Chile‘ (mai andato in onda prima in open tv) ha avuto un profondo impatto su decine di migliaia di telespettatori che, forse per la prima volta, hanno visto il lato della storia che era stato completamente cancellato.

Un altro resoconto ufficiale più recente nella nostra storia, o mito se si vuole, è che il Cile ha recuperato la democrazia con carta e matita. Insisto, come ogni verità ufficiale, è ancorata ad aspetti reali, in questo caso nel plebiscito del 1988. Ma il resoconto fondante della transizione e dei governi di Concertación negli anni ’90 ometteva completamente due cose fondamentali.

La prima, le immense mobilitazioni sociali degli anni ’80 che hanno costretto la dittatura civile-militare ad aprirsi a una transizione. La seconda, che questo plebiscito segnò il trionfo istituzionale e costituzionale del regime autoritario, poiché le sue regole del gioco sarebbero state accettate. Beh, in effetti, viviamo ancora sotto molte di queste.

Con la canonizzazione dell’accordo del 15 novembre, oggi si ripete il copione per installare una mezza verità, ma funzionale alle classi dirigenti.

Ricordiamo brevemente il contesto più immediato di tale accordo. In centinaia di quartieri in tutto il paese, decine di migliaia di persone si erano autoconvocate in cabildos [assemblee] cittadini. L’Associazione dei Comuni aveva indetto plebisciti comunali per chiedere il parere della gente su una nuova Costituzione e varie rivendicazioni sociali.

Con una potenziale partecipazione di 15 milioni di persone, le consultazioni erano previste per dicembre. Alcuni, pochi, dirigenti politici hanno chiesto elezioni anticipate. La Moneda aveva perso il controllo delle strade e i Carabineros hanno addirittura fatto al governo la cosiddetta “vuelta larga”, una sorta di sciopero bianco, che martedì 12 novembre ha portato a massicci eccessi e saccheggi.

Quattro organizzazioni internazionali per i diritti umani erano arrivate nel Paese per monitorare la brutale repressione delle manifestazioni. I rapporti e le immagini di giovani con gli occhi esplosi a causa di pallini e pallottole hanno indignato la popolazione e hanno raggiunto il culmine lunedì 11 novembre, quando si è appreso che lo studente Gustavo Gatica sarebbe diventato cieco.

A questo bisogna aggiungere che da molto tempo, ma soprattutto negli ultimi giorni, i sondaggi hanno mostrato che l’Esecutivo e il Congresso erano – insieme ai partiti politici – le istituzioni in cui la popolazione aveva meno fiducia.

Col senno di poi, non sarebbe azzardato aggiungere un elemento chiave alla ‘storia ufficiale’: quella mattina del 15 novembre la classe politica fu presa dal panico e l’accordo fu motivato anche dalla necessità di salvare la propria pelle e per inciso quella del presidente Piñera, le cui dimissioni erano richieste a gran voce nelle strade.

Quel salvataggio di loro stessi ci ha portato oggi a una strana situazione in cui entrambi i mondi – quello che inizia a finire e quello che inizia a nascere il 18 di ottobre – coesistono e si combattono. Basta vedere l’enorme campagna diffamatoria contro la Convenzione Costituente, soprattutto da parte delle istituzioni e degli attori dell’ancien régime.

Così, oggi ci troviamo nella caverna di Platone cercando di interpretare le ombre, sia dei morti che dei vivi.

L’autore, Víctor Herrero, è giornalista e Master in International Public Affairs U. of Columbia (New York). È Fondatore e Direttore di Interferencia

https://piensachile.com/2021/10/07/a-dos-anos-del-18-de-octubre/

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