Nel vertice del Consiglio Europeo si è riproposta con forza la “rogna polacca” dopo il duro botta e risposta che in sede di Parlamento europeo ha visto fronteggiarsi Varsavia e la Commissione Europea, con la presidente Von der Leyen che è arrivata a minacciare la Polonia qualora avesse dato corso alla sentenza della propria Corte Costituzionale sulla prevalenza rispetto ai Trattati europei.
Il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, è entrato nella disputa in apertura dl vertice dichiarando che “l’Unione non è mai stata messa in discussione in modo così radicale”. Non solo. Il 20 ottobre scorso lo stesso Parlamento ha annunciato che ricorrerà alla Corte di giustizia Ue contro la Commissione Europea per non aver attuato ancora il regolamento sulla condizionalità dei fondi Ue.
La Polonia è il paese della Ue che nel 2020 ha ricevuto più soldi da Bruxelles, oltre 18 miliardi di euro. Un importo pari al 3,6 per cento del suo Pil nazionale. Sul Recovery Plan la Polonia risulta come quarto paese beneficiario (dopo Italia, Francia, Spagna) con 23,6 miliardi di sovvenzioni e 12,9 di prestiti. Bruxelles ha già dato il via libera ai piani nazionali di 18 paesi, ma non si è ancora pronunciata su quelli di Polonia e Ungheria.
A favore di sanzioni alla Polonia, si sono posizionati i premier del Benelux e dell’Irlanda assieme ai leader socialisti di Spagna, Portogallo, Malta, Danimarca, Finlandia e Svezia. Quello svedese Stefan Lofven è stato tra i più zelanti: “Ciò che sta accadendo in Polonia non è tollerabile. Se vogliamo avere un bilancio comune, deve esserci anche l’opportunità di trattenere tali fondi per i Paesi che non rispettano le regole”. Il “falco” olandese Mark Rutte ha sostenuto che “bisogna essere duri” contro la Polonia procedendo con l’attivazione dell’articolo 7, e bloccando i fondi del Recovery Plan per Varsavia fino a quando non sarà tornata sui suoi passi.
Anche Draghi – come prevedibile – si è unito al coro contro la Polonia usando parole dure nei confronti di Varsavia: “Uno non sta in Europa solo perché ha bisogno dell’Europa, ma anche perché condivide gli ideali che sono alla base della costruzione europea”. “C’è un problema di primazia della Corte di giustizia europea rispetto alle Corti costituzionali nazionali”.
Non si è fatta attendere la replica del premier polacco Mateusz Morawiecki e del suo alleato, il leader ungherese Viktor Orban, che insieme ad alcuni paesi baltici, sembrano essere gli unici a sostenere la dissonanza polacca dal concerto europeo.
Toni più concilianti ma di circostanza ci sono stati da parte del premier spagnolo Pedro Sanchez e del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.
Secondo Limes siamo ancora lontani dalla rottura. La Von der Leyen non ha annunciato contromisure, limitandosi a elencare opzioni, senza attivarle: da quello portare il governo polacco davanti alla Corte europea di giustizia (la stessa di cui Varsavia rifiuta la superiorità) fino al congelamento del Recovery Fund. Ma non lo ha ancora fatto.
“Non lo ha fatto” – commenta Limes – “perché non ne ha l’autorità, perché è intervenuta la Germania. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha condannato la richiesta del Parlamento, ha invitato ad attendere il responso in merito della Corte di giustizia, ha suggerito di negoziare un compromesso”.
Infatti, nello scontro in corso ed anche se ormai è a fine corsa, è intervenuta anche la cancelliera tedesca Angela Merkel schierandosi contro l’ipotesi di un “diluvio di cause” fra Bruxelles e Varsavia. Rimane da vedere se il nuovo governo tedesco – senza la Merkel e senza il partito della Merkel – fiuterà l’odore del sangue che circola in Europa o rinnoverà la linea del compromesso possibile.
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