Intervista allo storico cileno Sergio Graz realizzata da Dimitris Givisis e pubblicata sul giornale greco EPOHI.
Che significheranno le elezioni del 21 di novembre per il futuro del Cile? Cosa c’è in gioco in questa elezione? Nei sondaggi vediamo che Gabriel Boric è in vantaggio, come interpreti questo? Quali sono le aspettative della gente che lo appoggia? Inoltre, quali credi che siano i limiti di un governo di sinistra in Cile oggi?
Queste elezioni rivestono un’importanza particolare, in quanto si svolgeranno in un contesto molto diverso da tutte le precedenti tenutesi dall’inizio del periodo post-dittatura (1990).
Da un lato perché dall’ottobre 2019 -inizio della ribellione popolare, battezzata dalla casta politica e dai media come “esplosione sociale”- ha finito di rompersi il consenso egemonico che aveva assicurato la governabilità e la perpetuazione del modello neoliberista impiantato dalla dittatura di Pinochet, dall’altro, perché è in corso un processo costituente come risultato ibrido di questa ribellione e della manovra della casta parlamentare per impedire un’Assemblea Costituente libera e sovrana.
Sebbene questi elementi non siano stati in grado di invertire radicalmente alcuni fattori, come l’apatia di molti cittadini nei confronti delle elezioni (nel plebiscito di ottobre del 2020 relativo al processo costituente ha votato appena poco più della metà dell’elettorato e nell’elezione dei convenzionali costituenti di maggio 2021 ha votato solo il 41,5%), si è creato un clima politico di speranza per un profondo cambiamento in una parte significativa della popolazione.
Tuttavia, queste speranze non si riflettono sistematicamente a livello elettorale, poiché ampi strati del mondo popolare rimangono scettici sulle reali possibilità di cambiamenti che li favoriscano mediante le vie di partecipazione che fin’ora il sistema offre loro: elezioni e partiti politici.
La sollevazione popolare del 18 di ottobre del 2019 è stata proprio un’espressione di questo scetticismo e astio popolare.
Tuttavia, come spesso accade, una percentuale significativa della popolazione nutre speranze che questa volta le sue richieste saranno soddisfatte, che si comincerà a superare il neoliberismo e lo Stato ausiliario mediante l’adozione di una nuova Costituzione garante di diritti sociali che fornirà anche una serie di garanzie e meccanismi democratici che fin’ora sono stati sistematicamente negati.
Una parte di queste speranze si canalizza nelle preferenze elettorali per le elezioni presidenziali e parlamentari del 21 novembre. E questo si vede riflesso nei sondaggi elettorali che, nel loro complesso, danno una vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali a Gabriel Boric, candidato dell’alleanza Apruebo Dignidad, composta dal Frente Amplio e dal Partito Comunista, relegando al secondo posto Juan Antonio Kast, sostenuto dall’estrema destra pinochetista e, lasciando più indietro in disputa per il terzo posto Yasna Provoste, democristiana appoggiata da quasi tutta la vecchia Concertación dei Partidos Por la Democracia e Sebastián Sichel, transfuga democristiano, ex ministro del secondo governo di Piñera, appoggiato dalla destra classica, e poi altri candidati che non hanno possibilità di arrivare al secondo turno (ballottaggio) di queste elezioni.
Anche se la candidatura di Boric (militante di uno dei partiti del Frente Amplio e firmatario dell’Accordo del 15 novembre del 2019 che salvò Piñera da una caduta che sembrava imminente e ha reso possibile un processo costituente normato dal Parlamento, evitando così una Assemblea Costituente libera e sovrana) si presenta come un’alternativa destinata a superare il neoliberismo, tanto il programma quanto gli interventi del candidato fanno mostra di grande moderazione al fine di dimostrare che non è un pericolo per la grande imprenditoria, l’investimento straniero, gli “equilibri macroeconomici” e la stabilità del sistema in generale.
La sua reiterata adesione all’“autonomia della Banca Centrale”, dogma intoccabile nel Cile neoliberista, è uno dei tanti esempi delle autolimitazioni di questa candidatura che permettono di presagire che, nel caso arrivasse alla Presidenza della Repubblica, al di là di alcune misure redistributive, non si realizzeranno grandi trasformazioni strutturali.
E questo senza considerare che il suo programma non considera questioni tanto importanti in Cile come una nuova nazionalizzazione del rame (denazionalizzato in percentuale maggioritaria dai governi post dittatura) né la nazionalizzazione del litio.
Nonostante questi evidenti limiti, la strategia degli imprenditori, della destra della vecchia Concertación raggruppata dietro la candidatura di Provoste, consiste nel fare pressione su Boric e il suo conglomerato affinché, in caso fosse eletto nel secondo turno di queste elezioni, moderi ulteriormente il suo programma e isoli il Partito Comunista che appare come l’ala sinistra della sua coalizione.
Il margine di manovra di un governo riformista di questo tipo sarebbe certamente ben stretto, a causa di molteplici fattori come la profondità della crisi economica, la pressione dei “poteri forti” (gli imprenditori e le Forze Armate) e l’insufficiente organizzazione e mobilitazione popolare, specialmente della classe lavoratrice, seriamente limitata dalle caratteristiche del modello neoliberista imperante in Cile dalla metà degli anni ‘70.
Come proseguono i lavori della Convenzione Costituzionale e come prevedi che si concluda?
La Convenzione Costituzionale non è un’Assemblea Costituente poiché non è libera né sovrana. Non lo è perché la riforma costituzionale che l’ha resa possibile alla fine del 2019 le ha fissato limiti molto stretti, praticamente insormontabili se si vogliono fare trasformazioni di fondo: tutti i suoi accordi devono essere adottati dai 2/3 dei suoi componenti e non può alterare i trattati internazionali firmati dal Cile.
Questo vuol dire che senza il permesso delle forze politiche che dal 1990 gestiscono questo modello – destra classica e Concertación – non si può approvare alcuna norma costituzionale.
Nella Convenzione Costituzionale c’è una chiara egemonia di centro, rappresentata dall’alleanza di fatto tra i rappresentanti del Frente Amplio e del Colectivo Socialista (nome adottato dal Partito Socialista e dintorni), intorno ai quali orbitano altri gruppi di centro, di orientamento chiaramente liberale come Independientes no neutrales e il Colectivo del Apruebo.
Questa maggioranza ha potuto contare in occasioni chiave, come nel caso della ratifica del quorum dei 2/3, sui voti della destra, e questo permette di presagire un futuro poco incoraggiante. Per tre mesi e mezzo, la Convenzione si è dedicata a discutere e approvare le proprie norme di funzionamento e solo recentemente in questi giorni sta iniziando la discussione di fondo.
Anche se è difficile fare un pronostico esatto, la mia impressione è che ci sarà una nuova Costituzione che proclamerà un gran numero di diritti sociali che saranno meramente nominali poiché non si potrà contare sul finanziamento necessario visto che il blocco egemone della Convenzione non sembra disposto ad adottare misure che garantiscano in maniera effettiva un ruolo preminente dello Stato in certe aree dell’economia.
Bisogna anche aggiungere che finora non si conoscono proposte di questo settore che permettano di rendere esigibili da parte della cittadinanza i diritti sociali che si proclamino nella nuova Costituzione.
In questo modo, salvo che non ci siano grandi mobilitazioni sociali, il processo costituente può terminare con una legittimazione gattopardesca dell’attuale modello con riforme e ritocchi che lo rendano più presentabile per un certo tempo. Malgrado ciò, ancora non è scritta l’ultima parola di questa storia.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa