Menu

Senza gli Stati Uniti, un mondo Pacifico

Il mondo evolve continuamente, si dice. Ma se non si entra mai nel merito delle mutazioni si capisce poco e ci si accorge dei cambiamenti solo dopo che si sono verificati.

In tutta Europa l’attenzione mediatica – principale ambito di formazione delle “opinioni pubbliche” – è dirottata in modo permanente sulle “speciali relazioni euro-atlantiche”, ovvero sulla asserita “positività” del processo di costruzione dell’Unione Europea e sulla “storica alleanza” con gli Stati Uniti, incarnata dalla Nato.

I più sottili osservatori cominciano solo ora a notare qualche discrepanza di interessi geostrategici tra le due sponde dell’Atlantico, esplicitati ormai anche in documenti europei ufficiali (la costruzione di un esercito continentale è uno degli obiettivi più chiari, in questo senso).

Ma quasi nessuno segnala o registra quanto accade sulle sponde dell’altro oceano, che va ora assumendo la centralità fin qui detenuta dall’Atlantico.

E dire che sta accadendo qualcosa di davvero importante, che getta le basi di una ben diversa distribuzione dei poteri e della forza economica tra le varie macroaree economiche del pianeta.

L’editoriale di Guido Salerno Aletta, su TeleBorsa, ricorda ai distratti che tra appena cinquanta giorni entrerà “in vigore il Rcep RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) che mette insieme le economie di 15 Paesi dell’area del Pacifico, che rappresentano 3 miliardi di abitanti: sono un terzo sia della popolazione che del PIL mondiale”.

Un terzo del mondo, oltretutto la parte più dinamica anche per quanto riguarda la crescita economica, è sicuramente “tanta roba”.

Ma non è neanche questo il punto decisivo. Si tratta del primo trattato globale da cui sono esclusi gli Stati Uniti. Non sembra un piccolo dettaglio…

E ne fanno invece parte “storici alleati” di Washington, come Australia, Giappone, Filippine, Nuova Zelanda. Interessi che vanno divaricandosi e sganciandosi dal rapporto privilegiato con gli Usa, che porta da sempre con sé squilibri (a favore degli Stati Uniti, sempre), ingerenze più o meno pesanti, condizionamenti geopolitici spesso contrari agli interessi nazionali o di diversi paesi (le sanzioni contro la Russia, per esempio, sono un danno per tutti i paesi europei, comunque motivate).

Troppo presto per dire quale sarà l’impatto del Rcep sugli equilibri globali, ma di certo non saranno di poco conto. Anche perché segnalano che “senza gli Stati Uniti, un mondo Pacifico” è proprio possibile…

*****

RCEP, un mondo Pacifico

Guido Salerno Aletta – TeleBorsa

Il prossimo 1° gennaio entra in vigore RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership) che mette insieme le economie di 15 Paesi dell’area del Pacifico, che rappresentano 3 miliardi di abitanti: sono un terzo sia della popolazione che del PIL mondiale.

E’ il primo trattato multilaterale di liberalizzazione degli scambi a cui gli Usa non partecipano, ma di cui fa parte la Cina che invece era esclusa dalla proposta alternativa (TPP) che era stata sostenuta dagli USA.

Come se non bastasse, questo trattato si interseca con la recente azione angloamericana volta a mettere sotto pressione la Cina con l’alleanza militare denominata Aukus (Australia, UK, USA): al RCEP, infatti, ha aderito in extremis anche l’Australia, nonostante nei suoi confronti la Cina abbia messo in atto una sorta di boicottaggio delle esportazioni di carbone.

Canberra non vuole tirarsi fuori dalle più strette relazioni che si realizzeranno tra i Paesi dell’area, come invece ha fatto l’India che si era già ritirata da tempo dalle trattative.

Hanno aderito all’accordo altri paesi strategicamente rilevanti: Giappone, Nuova Zelanda, Filippine e Birmania.

Nello scorso decennio, nel campo della liberalizzazione degli scambi commerciali, si sono confrontate strategie assai diverse, se non completamente opposte.

Da una parte, soprattutto per l’impulso della Presidenza di Barack Obama, gli Usa avevano lanciato due proposte sostanzialmente simmetriche.

Con la TPP (Trans Pacific Partnership) intendevano rafforzare le relazioni tra una serie di Paesi sul versante dell’Oceano Pacifico, fino a coinvolgerne ben 12 (Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malaysia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti, Vietnam).

Fu subito notata la mancanza della Cina: la si interpretò come una maniera con cui l’America cercava di isolarla rispetto a tutti gli altri Paesi dell’area, visto che aderendo a quel Trattato avrebbe perso i benefici che le spettano sulla base del Trattato WTO in quanto è ancora classificata come un Paese in via di sviluppo.

Il TTP fu firmato nel 2016 ma non entrò mai in vigore, perché il 20 gennaio 2017 il Presidente Donald Trump, appena insediatosi, decise di revocare l’adesione.

Con il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) si operava sul versante Atlantico, con una trattativa bilaterale tra USA ed UE. Il testo concordato nel 2014 con la Commissione europea subì critiche assai dure sia dalla Germania che dalla Francia, che lo definirono sbilanciato a favore degli Usa.

Parallelamente, si sono sviluppate due iniziative, di cui una (RCEP) ha avuto successo, e l’altra (Unione Euromediterranea) è stata immediatamente fatta affondare.

Sul versante orientale, parallelamente alle trattative per il TPP, si è andata via via formalizzando a partire dal 2012 l’intesa che ha portato nel 2020 alla firma del Trattato RCEP.

Sul versante occidentale, la strategia volta a creare l’Unione Euromediterranea era stata inaugurata nell’estate del 2008, ed anche il Trattato di particolare amicizia tra Libia ed Italia firmato in agosto ne faceva parte.

In prospettiva, si sarebbe allargato al Mediterraneo quel sogno di prosperità e di pace che aveva ispirato la creazione in Europa della CEE, abbracciando un’area vastissima, un bacino unico nella storia dell’umanità, in cui vivono centinaia di milioni di persone e soprattutto moltissimi giovani, ricchissima di risorse energetiche ma priva di prospettive di sviluppo.

Prima il ciclone della crisi finanziaria americana del settembre 2008 ha sconvolto il mondo, poi le Primavere arabe hanno destabilizzato Tunisia, Egitto, Libia e Siria, assestando il colpo di grazia a questa iniziativa che era nata sotto l’egida franco-egiziana e che non era stata mai vista con favore né dalla UE né dalla Germania.

Tutta l’attenzione si è spostata verso la crisi in Ucraina, la guerra in Siria, la stabilizzazione della Libia. Per un intero decennio, l’Unione Europea si è dovuta arrabattare per difendere l’euro dal collasso ed ha visto l’uscita dalla Gran Bretagna.

Dentro la Cina, fuori gli USA e niente Europa.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

2 Commenti


  • E Sem

    Il riposizionamento strategico necessario momentaneo statunitense, dovuto piu’ ad una lotta interna tra i galletti del pollaio che a reali debolezze in campo internazionale potrebbe essere letto in un modo pericolosamente forviante. Risolto, secondo loro il problema plurisecolare del competitore storico anglosassone (con due guerre mondiali e un suicidio assistito) sono rimaste due priorita’ : vincere la “cocciutaggine” russa (che non consente ai stella e strisce di avere il pieno controlla delle vitali materie prime siberiane ed artiche, senza dimenticare l’ ineditata rotta navale artica) e la forza del capitalismo misto burocratico ed elitario cinese. Forse stiamo assistendo solo a una piccola ritirata per “prendere fiato”. Postura europea: L’ autolesionismo snob storico europeo ci ha trasformati nella barzelletta del mondo ” e pippo pippo non lo sa che ……” di conseguenza siamo ormai lo stuoino globale, per ora possiamo solo peggiorare la nostra posizione.


  • marco

    “la forza del capitalismo misto burocratico ed elitario cinese”
    madò che espressioni vecchili!
    sembra di leggere un documento trotzkista.
    Corrente di pensiero che dal 2001 purtroppo è stata egemone nell’agone del marxismo italiano portandoci alla poco allegra situazione sotto gli occhi di tutti.
    Io direi che è venuta l’ora di guardare al marxismo cinese con un occhio, magari critico, ma più realista, al fine di intavolare una discussione più seria e scevra da pregiudizi su quali debbano essere i possibili interlocutori per i comunisti in italia.
    Discussione che i compagni di contropiano, con cui ho spesso differenze di vedute sulla politica interna, hanno encomiabilmente iniziato a fare in modo coraggioso e scientifico abbandonando le frasi ad effetto di cui sopra e finalmente cominciando a separare il bambino dall’acqua sporca.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *