Lei è nata il giorno di Natale del secolo scorso in Costa d’Avorio. Per qualche imbroglio del destino o per evitare di cadere nella banalità, l’hanno chiamata Pascaline.
Nata nella stessa regione dell’allora presidente Laurent Gbagbo è stata costretta a fuggire dal Paese perché perseguitata per causa di appartenenza etnica. L’avevano minacciata di morte e poi incendiato la casa.
Scappata con un bimbo e una bimba non suoi e di padri differenti, ha raggiunto il confinante Ghana. Di confine in confine è arrivata in Togo, Paese francofono, l’anno seguente. Qui ha ottenuto la protezione umanitaria in un grande campo di rifugiati, con altre migliaia di suoi compatrioti, per una durata di undici anni.
In Costa d’Avorio, prima della guerra, aveva conosciuto il padre del figlio che ha portato in esilio e che lei non ha generato. Lui già abitava e lavorava in Italia e le aveva giurato di condurla nel Belpaese al suo ritorno.
Un giorno è partito in viaggio e le ha lasciato suo figlio come garanzia di un ritorno finora mai avvenuto. Quanto alla bimba che ha condotto in Togo, è la figlia di una nipote rimasta orfana allo scoppio della guerra civile in Costa d’Avorio.
Pascaline era ammalata e aveva l’impressione che, nel campo dei rifugiati ivoriani nel quale era ospite, la sua malattia non venisse presa sul serio e curata. Affida allora le due creature, ormai cresciute, ad una lontana parente e parte, con la tessera di rifugiata e un paio di borse a Niamey, la capitale del Niger, con lo scopo di curarsi.
L’Alto Commissariato per i Rifugiati non ritiene di poter intervenire e Pascaline, dopo qualche mese di ospitalità presso l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, ha chiesto e ottenuto il rimpatrio al suo Paese.
La figlia di sua nipote, diciassettenne di nome Mireille, durante il soggiorno nel campo, ha dato vita ad una bimba della quale il padre, anche in questo caso, si è dileguato lasciandola sola con lei. La ragazza, lei stessa senza padre, si è trovata con una figlia di padre assente e l’ha chiamata Giada, nome di una pietra preziosa dell’Oriente.
Pascaline è partita martedì di mattina con un volo diretto ad Abidjan, la capitale economica della Costa d’Avorio. Torna undici anni dopo averla lasciata per fondate minacce alla sua vita e né lei né il Paese sono più gli stessi. I tre rimasti rifugiati in Togo arriveranno presto.
Il giorno prima del viaggio passa con un sorriso per ringraziare e salutare. Dice che da qualche tempo non vede bene ma che, durante il soggiorno presso l’OIM, hanno preso cura di lei. Solo ha difficoltà a leggere la sua vita e quello che le aspetta di ritorno nel Paese nel quale è nata, il giorno di Natale dello scorso millennio.
Sceglie con pazienza un paio di occhiali smessi e più che alle lenti, fà attenzione all’eleganza della montatura. Chiede e ottiene l’indirizzo di una posta elettronica che mai userà e promette di telefonare, una volta sistemata nel Paese che ha lasciato da undici anni. Non si lamenta di nulla, neppure dei padri assenti alla quale sembra aver fatto da tempo l’abitudine.
D’altra parte, non da oggi, anche gli altri padri sembrano essere scomparsi. Quelli della Costituzione, della democrazia, dell’indipendenza, della nazione e delle esplorazioni di sagge utopie per il futuro. Padri scomparsi o assenti per abitudine, incuria, insipienza o semplice viltà, da ciò che dà senso e direzione alla storia contemporanea.
Lei, chiamata Pascaline e nata il giorno di Natale, sorride e sceglie, prima di partire, un paio di occhiali di scarto.
Niamey, 12 dicembre 2021
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