La questione palestinese sta attraversando una forte svolta storica, che fa presagire una serie di sorprese e cambiamenti che potrebbero indurre a rivedere tutte le strategie per affrontarla, dalle varie posizioni arabe a quelle internazionali sulla questione palestinese.
La doppia destra sionista al governo, infatti, è determinata ad annettere gli insediamenti, le terre della Valle del Giordano e del Mar Morto settentrionale, senza considerare tutte le posizioni arabe e internazionali che respingono, condannano e denunciano tali misure da parte della colonia israeliana, che considera le terre palestinesi come fossero terra di Israele, e sostenendo che tutte le sue guerre erano per la propria liberazione, non riconosce quindi in alcun modo di essere uno Stato occupante, che occupa le terre degli altri o le terre dei palestinesi.
Piuttosto, si vede come un “liberatore” di queste terre, e quindi con il diritto di espandersi e costruirci liberamente, così come avrebbe il diritto di annetterle in tutto o in parte, a suo piacimento.
Questa turbolenta politica coloniale, la connotazione psicologica e la visione che l’entità sionista ha di se stessa e dei suoi atti aggressivi, razzisti ed espansionisti di insediamento e annessione delle terre degli altri, così come pure l’intendimento e il comportamento dei suoi leader e sostenitori in questo campo, pongono fine a ogni speranza di raggiungere soluzioni di compromesso che portino a un accordo che garantisca sicurezza, dignità e pace ad entrambe le parti.
Le Nazioni Unite, nell’anno 1947/48 del secolo scorso, hanno fallito nel tentativo di attuare la risoluzione di spartizione n. 181 che prevede l’istituzione di due Stati confinanti, sul territorio della Palestina, uno palestinese e uno ebreo, poiché le bande sioniste non hanno rispettato quanto specificato nella risoluzione di spartizione.
Hanno ampliato [il territorio a loro destinato] a scapito della parte dedicata alla costituzione dello Stato palestinese, e hanno anche rifiutato di attuare la risoluzione 194 sul ritorno dei profughi, perché non credono che i palestinesi abbiano diritto a vivere nella (Terra d’Israele).
Agli occhi dell’entità sionista e dei suoi leader, l’usurpazione della Palestina significa solo che il resto della terra di Israele è stato liberato nell’aggressione del 1967. Questa entità non si vede come un occupante delle terre degli altri.
Non accetta e rifiuta di consentire l’attuazione della “soluzione dei due Stati” basata sulla legittimità internazionale e le sue risoluzioni, che pure, fin dall’origine, rappresentano un’ingiustizia storica nei confronti della Palestina e del suo popolo.
Qui sorge la domanda: che fare?
Di fronte all’applicazione e all’attuazione di questa visione sionista e razzista che distrugge tutti gli sforzi basati sul compromesso e sul partenariato nel territorio della Palestina, che porta alla creazione di due stati vicini, che vivono in sicurezza e pace (Palestina/Israele), l’entità sionista opera invece con vari mezzi e metodi per imporre la sua visione ed il suo essere come fosse l’unica entità sulla terra di Palestina, negando e contestando qualsiasi partenariato con un altro popolo, nonostante tutte le risoluzioni e le posizioni internazionali che respingono la sua visione e le sue politiche.
L’attuazione, da parte del governo coloniale, dell’annessione e dell’espansione nelle terre palestinesi, impedisce il sogno dei palestinesi di creare uno Stato indipendente e in grado di vivere accanto all’altro.
Queste misure legittimano l’istituzione di un unico Stato ebraico razzista sull’intero territorio della Palestina. Tale Stato sarà peggiore e più brutale del precedente regime razzista in Sud Africa.
La risposta a queste politiche e misure israeliane, richiede a palestinesi, arabi e comunità internazionale, di sbarazzarsi del sogno della “soluzione dei due Stati”. Perché queste misure, se vengono attuate, uccidono la soluzione dei due Stati. È l’inizio della lotta (per lo Stato unico, non razzista).
Un unico Stato democratico, dove tutti vivono sulla base dell’uguaglianza, senza alcuna discriminazione di religione, colore o genere, e in cui il rapporto tra l’individuo e lo Stato è basato solo sulla cittadinanza, e permette a tutti i profughi che furono sfollati durante le guerre degli anni 1947/1948 e 1967 di tornare alle loro case, poiché questo è il tipo di Stato che stabilisce una riconciliazione storica, che garantisce a tutti una vita in pace e sicurezza.
La soluzione sta nel ritorno alle origini! In origine, la Palestina faceva parte dei territori dall’Impero Ottomano, separati dopo la sua sconfitta nella prima guerra mondiale nel 1918, ed era soggetta al mandato britannico per portarla all’indipendenza, come altri territori soggetti al mandato.
I primi ebrei immigrati in Palestina acquisirono la cittadinanza sotto il mandato britannico. Il nome Israele, è solo nella mente dei colonizzatori e dei sionisti, ma sul terreno c’era solo Palestina nel territorio della Palestina.
E la realtà ha dimostrato che sulla terra della Palestina ci può essere solo uno Stato, che è lo Stato democratico della Palestina, e in esso può essere ripristinata la realtà storica, giuridica, politica e sociale del territorio della Palestina.
Lì si realizza una vita sicura e comune per tutti, indipendentemente dalle proprie convinzioni, senza discriminazioni per tutti coloro che desiderano viverci, tutti cittadini uguali davanti alla legge, che governa tutti.
Questo è ciò che il movimento nazionale palestinese, rappresentato da tutte le organizzazione nell’OLP, ha cercato e ricerca, nel passato e nel presente. I fatti sul campo dimostrano che le soluzioni provvisorie basate sulla realizzazione del principio dei due Stati sono diventate impossibili.
Sul territorio della Palestina può essere costruito, solo uno Stato democratico, che garantisce a tutti la pace e la sicurezza in Palestina e nella regione e ponga fine allo stato di tensione, violenza e instabilità prevalente.
Perché i palestinesi, insieme ai loro fratelli arabi, non accetteranno il perpetuarsi di uno stato razzista, religioso-ebraico sul territorio della Palestina. Inoltre, gli stessi paesi europei, che hanno creato la colonia sionista, non potranno più difendere uno stato così razzista e continuare a giustificarne le politiche.
Così come in precedenza avevano abbandonato l’entità del regime razzista nel Sud Africa, devono anche smettere con il loro sostegno allo stato ebraico razzista in Palestina che rappresenta una minaccia alla pace e alla sicurezza, ed è in contraddizione con i valori della civiltà umana e col concetto di Stato moderno, che si fonda sulla base dell’uguaglianza, della giustizia e della libertà.
Il legame tra lo Stato, l’individuo e i residenti di ogni Stato è il legame della cittadinanza e niente altro. Non c’è futuro per altra soluzione al conflitto in Palestina se non quella del ritorno alle origini e dell’instaurazione di un unico Stato democratico di Palestina sull’intero territorio palestinese, in cui tutti vivano uguali davanti alla legge senza discriminazioni di genere, razza o religione.
* Membro del CNP (Consiglio Nazionale Palestinese).
(Traduzione di Bassam Saleh)
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Bernardino+Marconi
Anche se difficile da realizzare ma un unico stato laico di Palestina dove possono vivere confessioni diverse, e non solo arabe e ebree, è auspicabile. L’occidente soprattutto, ma anche la parte araba, devono favorire questo percorso per la pace e per una democrazia alla quale dicono di far riferimento.