Dopo il puntuale e articolato editoriale di Sergio Cararo, del 18 febbraio, crediamo non ci sia bisogno di stare a inseguire questo o quell’altro servizio (al servizio di chi?) dei giornalacci nostrani, che fanno a gara a chi balza più in fretta giù dalla branda, al primo urlo del sergente di giornata Joe. Marmittoni sono e come tali si comportano.
Ora, il sergente ha annunciato i turni: chi di gamella, chi di guardia a poppa, chi di diana. E loro son lì che si preparano, perché, ha detto il graduato del Potomac, «abbiamo ragione di ritenere che le forze russe pianifichino di attaccare l’Ucraina nella settimana entrante. Riteniamo che pianifichino di attaccare la capitale Kiev, in cui vivono 2,8 milioni di persone innocenti».
Allora, ecco che va bene anche la parola dell’intelligence estone, notoriamente filo-russa (?!): l’attacco verrà portato dalla Bielorussia; così che ci si precipita in loco. A distanza di sicurezza, però; di qua dal confine della «innocente» Ucraina e che diamine!
Uno schifo, insomma.
Non sia mai, per carità, che si faccia cenno all’intelligence delle milizie della Repubblica popolare di Donetsk (là non ci vivono mica «persone innocenti»!) che pubblicano il piano d’attacco ucraino contro il Donbass, per «ripulire» in cinque giorni il territorio dalla popolazione russa e russofona.
Il piano prevederebbe tre direttrici d’attacco: colpo principale su Kramatork-Debal’tsevo, con obiettivo Alčevsk-Enakievo e, quindi, il confine russo. Altri obiettivi: Širokino-Starognatovka, Komsomol’skoe, in direzione Ilovajsk-Ul’janovskoe. Il battaglione “Ajdar” ha il compito di eliminare i disertori: tanta è la voglia di combattere dei comuni soldati ucraini…
Obiettivo principale delle operazioni è l’accerchiamento dei centri più grossi: Donetsk, Lugansk, Gorlovka, Alčevsk. I nazisti di “Pravyj sektor” si occuperanno di coprire le azioni diversive dei reparti “dormienti” dei sabotatori ucraini già presenti e nascosti in Donbass.
In questa situazione, e continuando i bombardamenti e gli atti diversivi ucraini su pressoché tutti centri più grossi, o strategicamente significativi, del Donbass (ma non solo: ieri un colpo di artiglieria è caduto anche in territorio russo, nelle immediate vicinanze del confine con l’Ucraina) i leader di DNR e LNR, Denis Pušilin e Leonid Pasečnik hanno firmato i decreti di mobilitazione generale, dopo che venerdì scorso era stato avviato lo sfollamento di bambini, donne e anziani verso la vicina regione russa di Rostov sul Don.
Secondo la Tass, alle prime ore di sabato, circa 25.000 abitanti della LNR avevano già lasciato la Repubblica in maniera autonoma, mentre altri diecimila verranno evacuate con gli autobus organizzati dall’amministrazione repubblicana. Per i media di scolta nostrani, si tratta a priori di «una fuga» dal Donbass.
Nel frattempo, continuano le esplosioni nei centri delle Repubbliche popolari. La notte tra venerdì e sabato, Lugansk è rimasta senza elettricità, per un atto diversivo ai danni della centrale del gas; il giorno precedente, la vettura del capo delle milizie della DNR era saltata in aria (senza provocare vittime) a Donetsk.
Ovviamente, Vladimir Zelenskij giura (!) dalla tribuna di Monaco, che Kiev non ha proprio nulla a che fare, né con il proiettile finito in territorio russo, né con le esplosioni in Donbass: ancora una volta, sono i russi e le milizie che sparano contro se stessi.
Dunque: niente colloqui diretti con le Repubbliche popolari (uno dei punti chiave previsti dagli accordi di Minsk del 2015), dichiara Zelenskij: «non ci andremo. Non ha senso. Semplicemente, essi non decidono nulla. A che scopo perderci tempo?», ha dichiarato il marò che impartisce ordini ai tenenti di vascello di Washington e Bruxelles!
Intanto, venerdì scorso Der Spiegel ha “rivelato” che, in effetti, le famose “assicurazioni” date nel 1991 a Gorbačëv, secondo cui, in cambio del disco verde sovietico all’annessione della DDR da parte della RFT, la NATO non si sarebbe allargata “di un pollice verso est”, erano state davvero date, nonostante ci sia ancora chi ne nega l’esistenza.
Le avrebbe scoperte un politologo americano, rovistando negli archivi britannici e il documento riguarderebbe un incontro tra rappresentanti dei Ministeri degli esteri di USA, Gran Bretagna, Francia e Germania, svoltosi a Bonn il 6 marzo 1991. Il rappresentante tedesco avrebbe dichiarato che ai negoziati nel formato “quattro più due” (RFT, Francia, Gran Bretagna, USA, più DDR e URSS) «facemmo allora capire che non avremmo allargato la NATO oltre l’Elba. Così che, non possiamo proporre alla Polonia e ad altri l’adesione alla NATO».
Ecco così sbugiardato, anche da fonte occidentale, il novello banchiere Jens Stoltenberg, il quale giura che tali “assicurazioni” non siano mai state date: quando si dice, la buona fede!
Il fatto è che le nuove rivelazioni non fanno che confermare quanto saputo già da diversi anni. Nessuno dubitava che la “promessa” di non allargare di un pollice la NATO verso est, all’epoca fosse stata davvero fatta a Gorbačëv. Così come nessuno dubitava che l’attuale segretario della NATO, Stoltenberg, negando l’autenticità di tale “promessa”, dicesse consapevolmente il falso, contraddicendo quanto all’epoca spiattellato dal suo stesso predecessore Manfred Wörner.
La questione, semmai, pare un’altra: forse Vladimir Putin avrebbe potuto scegliere espressioni più confacenti, che non il «ci hanno fregato», in riferimento a quella “promessa”.
Vero è che il “fregato”, formalmente, è da trent’anni in pensione. Ma affermare che la leadership “sovietica” della perestrojka sarebbe stata “fregata”, perché credeva davvero alle “assicurazioni” dei vari Baker, Genscher, McNamara & Co, significa dire che alla testa dell’URSS, in quegli anni, e poi anche nel primo dopo-URSS, ci fossero dei perfetti idioti, che credevano davvero alle parole dell’imperialismo yankee e si fidavano dei “partner” dell’Europa occidentale.
Ci sembra lecito supporre che il «ci hanno fregato» di Vladimir Vladimirovič sia inteso come affermazione di continuità tra la Russia eltsiniano-putiniana e l’ultima epoca sovietica. Prima degli anni ’80, pur con tutte le critiche legittime al brežnevismo, difficilmente si sarebbero «fatti fregare».
E, comunque, ormai coi capelli (quei pochissimi rimasti) bianchi, siamo abituati a escludere, a prescindere, ogni forma di idiozia nelle leadership politiche a certi livelli e malignamente tendiamo invece a supporre, nel caso specifico, una ben concordata regia di tutta l’operazione, risoltasi in definitiva con la svendita a tavolino dell’Unione Sovietica.
Con tutto quello che hanno sofferto (e continuano a soffrire) i popoli dell’ex Unione Sovietica; con quello che da otto anni si trova ad affrontare il popolo del Donbass (il cui genocidio da parte nei nazi-golpisti di Kiev è negato, a Berlino come a Washington) e che anche in occidente, in termini sociali, ci ritroviamo ad affrontare.
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