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Quanti buchi nella narrazione occidentale antirussa

Dal 24 febbraio scorso il circo mediatico mainstream non fa altro che ripetere un ossessivo mantra: Putin è un dittatore, Putin è un pazzo, Putin è un criminale. Ma si sta soltanto, per contingenti ragioni di propaganda bellica, nascondendo una inconfessabie verità: Putin siamo noi, la sua Russia è, a suo modo, parte del mondo capitalistico globalizzato venuto fuori dopo la caduta del muro di Berlino e dopo la fine della contrapposizione tra due blocchi che rappresentavano due sistemi economico-sociali molto differenti ed in competizione fra loro.

I paesi occidentali, avevano fatto la stessa campagna di mostrificazione del nemico anche contro gli altri dittatori, o presunti tali, allorquando l’occidente e la sua organizzazione politico-militare aggressiva, controllata e diretta dagli USA, decisero di scatenare una delle tante guerre preventive”,”umanitarie” o di instaurare un regime change.

In entrambi i casi, soltanto ed unicamente, perché il “dittatore” di turno non era più funzionale agli interessi economici e geopolitici dei paesi occidentali.

Ma Putin chi è e cosa è stato davvero?

Tralasciando la nota questione del gas, del petrolio, dei tanti scambi commerciali e d’affari che intercorrono tra paesi come il nostro, la Germania ed altri con la Russia, l’opera di sistematica mostrificazione del personaggio e del sistema politico russo, alla luce di una rapida disamina storica dei rapporti tra quel paese e quelli del campo NATO, risulta essere poco credibile, tardiva, ipocrita, strumentale e completamente priva di un qualche valore etico.

Il tema della “superiorità morale dell’occidente” è una immensa supercazzola innanzitutto perché, come sappiamo, gli USA e la NATO hanno alle spalle una innumerevole serie di crimini contro l’umanità e di guerre che hanno causato strage di milioni di civili innocenti in tutto il mondo.

E questa presunta “distanza” che si cerca di stabilire oggi rispetto all’autocrate russo fa a pugni anche con la storia recente e meno recente dei rapporti tra la Russia di Putin ed i paesi occidentali.

Non solo Berlusconi e i suoi noti rapporti con Putin che, tuttavia, non erano che l’altra faccia di solide relazioni commerciali, come rivelato dalle informative divulgate da WikiLeaks. Manager di Stato, imprenditori, diplomatici hanno spianato la strada a Putin in Italia.

Gli affari dell’Eni ai tempi di Scaroni hanno consolidato la nostra dipendenza energetica dalla Russia, mentre grandi banche come Intesa e Unicredit incassavano profitti enormi grazie ai rapporti con le aziende controllate dal Cremlino.

Ma basterebbe semplicemente ricordare, ad esempio, che, mentre Putin faceva stragi di civili in Cecenia, il governo D’Alema stipulava importanti accordi di cooperazione militare. Con lui l’Italia ratificò, nel 1996, due accordi di cooperazione.

Tra la fine di marzo ed i primi di aprile del 2000 Mary Robinson, Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, visitò l’Inguscezia, il Daghestan e la Cecenia. Al termine della sua visita, la Robinson presentò un rapporto dettagliato alla commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, in cui venivano riportate testimonianze oculari di esecuzioni di massa, bombardamenti di colonne di profughi e altre palesi violazioni dei diritti umani compiute dalle truppe della Federazione Russa.

Nel rapporto vennero segnalate anche le gravissime violazioni dei diritti umani compiute dalle milizie cecene ai danni della popolazione civile durante l’invasione del Daghestan.

E, tuttavia, nei primi anni del 2000, la Russia di Putin era diventata il nuovo grande amore degli USA di George Bush Jr. e della NATO per l’appoggio alla “War on Terror” di Bush e la collaborazione diretta ad “Enduring Freedom” in Afghanistan.

E, infatti, nel 2001, quando era ancora nel gruppo dei paesi del G8 (quelli di Genova 2001, per intenderci), Putin chiese di incassare quale premio – per l’appoggio a quelle due “guerre giuste” – l’ingresso nella NATO, che però gli venne rifiutato a causa della netta opposizione degli USA. Quel rifiuto non era di certo basato su dubbi etici e/o democratici.

E qui si fa riferimento all’altro tema su cui, ora, batte a ripetizione la grancassa della propaganda bellica, ovvero, quello della dicotomia democrazia-auroritarismo, che viene declinata nelle sue molteplici varianti per poi arrivare a dire direttamente, presi dalla foga bellica, che la Russia è una “dittatura”.

Tecnicamente, la Russia attuale è quel che oggi si comunemente si definisce una “democratura”, ovvero, un sistema politico autoritario in cui si tengono delle più o meno regolari elezioni ed in cui il partito di maggioranza instaura un forte e pervasivo sistema di potere che interferisce pesantemente sulla magistratura, sulla stampa e sulle altre sfere della società civile.

Si tratta, in tutta evidenza, di un sistema analogo a quello che vige nella Polonia e nell’Ungheria attuali. Ma non troppo dissimile da quello in auge in buona parte dei paesi occidentali, con qualche differenza nei “metodi di persuasione”.

I “dubbi” che impedirono l’ingresso della Russia nella NATO, ad esempio, non hanno mai sfiorato l’alleanza atlantica a proposito della presenza turca, anche quando si stava rendendo sempre più evidente e concreta l’intenzione di Erdogan di instaurare, in quel paese, un suo regime personale e fortemente autrocratico.

Dubbi che non hanno scalfito la presenza della Turchia nella NATO nemmeno in seguito ai continui e terrificanti bombardamenti dei suoi caccia sui civili che vivono nei territori occupati dalle popolazioni curde e che continuano ancora oggi.

Durante il 2021, la Turchia ha continuato a bombardare il Kurdistan iracheno nel silenzio globale nonostante le accuse di crimini di guerra, compreso l’utilizzo di armi chimiche.

Anche qui il doppio standard è evidente, anche se non vediamo scene di queste carneficine sui nostri circuiti mediatici, ma sappiamo che i profughi curdi vengono respinti sistematicamente alle frontiere europee e sulla rotta balcanica ed, in alcuni casi, vengono sottoposti a violenze inaudite oppure uccisi a bastonate nei boschi.

Men che meno, l’appartenenza turca all’alleanza atlantica è mai stata messa minimamente in discussione dopo l’intervento militare diretto in Libia o per i suoi rapporti organici con quelli dell’ISIS, peraltro annientati proprio dalle forze armate di Putin (e dai curdi).

Invece di essere accolta nella NATO, la Russia venne poi buttata fuori anche dal G8. E la ragione è semplice. Dopo la caduta del Muro, la Russia – a causa di una classe dirigente totalmente incapace, corrotta e succube degli interessi stranieri – era precipitata velocemente in una situazione da “paria” internazionale.

Dopo lo smacco e la delusione per il mancato riconoscimento del ruolo internazionale del suo paese, Putin è riuscito a rinsaldare lo spirito di appartenenza nazionale rilanciandone l’antica vocazione imperiale, dopo la lunga parentesi internazionalista del periodo dell’Unione Sovietica.

Di più, avendo ereditato dall’URSS un complesso militare-industriale enorme che ne fa, ancora, la seconda potenza militare al mondo, ed avendo alle spalle un impero tenuto insieme a fatica per mezzo di una forte retorica nazionalista, sarebbe presto diventato un inquilino molto scomodo per gli USA che basano il loro predominio nel mondo sulla preponderanza del proprio potenziale bellico e militare.

Da lì inizia un frattura cui la NATO, sotto dettatura statunitense, risponderà con la ripresa massiccia dell’espansione verso est delle proprie basi militari dotate di missili a testata atomica,  circondando sempre più l'”orso russo” fino ad impossessarsi dell’Ucraina con un golpe organizzato e finanziato direttamente dagli USA.

Ossia il vero fattore scatenante dall’escalation che ha portato al conflitto russo-ucraino, che andava avanti già da otto anni e che è, infine, sfociato all’invasione dell’Ucraina da parte russa del 24 febbraio scorso.

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