Mentre la Carovana Antifascista stava concludendo il suo programma di incontri con le autorità e le popolazioni del Donbass alcune agenzie di stampa diffondevano la notizia che il regime ucraino aveva chiesto l’arresto e l’estradizione a Kiev (!) di tutti i componenti della delegazione in visita nelle Repubbliche Popolari di Lugansk e Donetsk.
A detta del governo ucraino – e per l’Unione Europea e gli Usa che lo sostengono e lo armano – le regioni orientali dell’Ucraina che nel 2014 si sollevarono contro il golpe banderista avvenuto a Kiev sarebbero ‘occupate’ e quindi coloro che hanno partecipato alla Carovana Antifascista, dalla Banda Bassotti ai dirigenti dell’Usb, dalla delegazione della Rete dei Comunisti a quelle di Eurostop e di Rifondazione Comunista, oltre agli attivisti spagnoli, catalani, greci, britannici e tedeschi, avrebbero violato le leggi ucraine commettendo il reato di ‘ingresso illegale’ o addirittura quello di ‘sostegno al terrorismo’.
Peccato che quelle regioni siano ‘occupate’ solo dalle proprie popolazioni – delle decine di migliaia di militari e tank russi invasori di cui insistentemente parlano i media ucraini e quelli occidentali nessuno ha visto traccia – e che i circa 50 componenti della missione internazionalista siano entrati nelle due repubbliche passando attraverso un confine sul quale le autorità di Kiev non esercitano alcuna sovranità ormai da ben tre anni.
Per quanto la richiesta del regime di Kiev (sempre che i lanci di agenzia vengano confermati) possa apparire grottesca – e lo è sicuramente – il messaggio inviato ai governi italiano e all’Unione Europea tutta dai nazionalisti che spadroneggiano in Ucraina non va affatto sottovalutato. Al di là del fatto che i governi europei possano o meno intraprendere azioni legali per conto del regime banderista contro gli attivisti politici e i dirigenti sindacali internazionalisti (e l’aria che tira, dalle nostre parti, è davvero pesante), la vicenda fa emergere prepotentemente il rapporto privilegiato tra la diplomazia europea e gli esponenti di una classe politica ucraina composta da oligarchi, fascisti e veri e propri banditi.
D’altronde se tre anni fa il golpe delle opposizioni di destra e filoccidentali è andato in porto è stato grazie all’attivo sostegno non solo degli Stati Uniti e della Nato, ma anche dell’Unione Europea, tanto interessata ad allargare i suoi confini fino alle porte della Federazione Russa da sdoganare e sostenere bande paramilitari di estrema destra che si sono fortemente radicate nel nuovo regime, fino ad esprimere alcuni ministri e alcuni leader delle forze armate, nonostante la loro scarsa consistenza elettorale.
Se la sollevazione inizialmente pacifica delle popolazioni russofone del Donbass – prese immediatamente di mira dal nuovo regime razzista – è stata da subito repressa con le armi dalle forze armate ucraine e dai feroci battaglioni punitivi neonazisti, portando alla costituzione delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, è stato grazie al sostegno concesso dalle diplomazie europee agli oligarchi e ai signori della guerra ucraini.
Il popolo ucraino ha pagato e sta pagando assai caro il sostegno occidentale: in cambio degli aiuti finanziari intascati in buona parte dai nuovi governanti o investiti in una guerra condotta contro le popolazioni del Donbass bombardate quotidianamente da ormai tre anni, il regime ucraino è stato costretto dall’Ue e dal Fondo Monetario Internazionale ad avviare una serie di ‘riforme’ che hanno rapidamente portato ad un aumento esponenziale della povertà e costretto centinaia di migliaia di lavoratori all’emigrazione: privatizzazioni, licenziamenti, aumenti delle tariffe e dei prezzi dei servizi basici, tagli all’assistenza sociale.
Oggi l’Ucraina è governata da un regime fascistoide e repressivo, con una economia alla bancarotta e controllata da poteri stranieri voraci, mentre da tre anni migliaia di persone continuano a morire o a perdere tutto a causa di una guerra innescata dalla destabilizzazione degli Stati Uniti che miravano a includere l’Ucraina nella Nato e dall’Unione Europea che mirava ad assorbire Kiev nella propria sfera politica ed economica. Un passo falso che ha obbligato la Russia a reagire per evitare che l’accerchiamento lanciato anni prima – do you remember la guerra per procura della Georgia contro Mosca del 2008? – diventasse definitivo, un nuovo step all’interno di una tendenza alla guerra che sembra connaturata al nuovo assetto delle relazioni internazionali.
In questi ultimi tre anni spesso, a sinistra, si è sottovalutato il ruolo dell’Unione Europea, e in particolare della locomotiva franco-tedesca, nella crisi sfociata in una guerra che ha mietuto finora decine di migliaia di vittime e che ha risvegliato il mostro del fascismo.
Quella stessa classe dirigente che oggi chiede a gran voce ai francesi di votare l’ultraliberista ed europeista Macron pur di “sbarrare la strada al fascismo” non ha esitato a utilizzare ed armare i fascisti e i nazisti di Kiev scatenati contro le popolazioni russofone, i comunisti, i dissidenti di sinistra e tutte le minoranze etniche e culturali del paese che la rediviva ideologia banderista considera corpi estranei da annichilire.
Quegli stessi ambienti che si vantano di aver garantito ai popoli europei “settanta anni di pace” non hanno esitato a spingere gli oligarchi di Kiev a scatenare un sanguinoso conflitto contro le popolazioni del Donbass, pur di imporre i propri interessi. L’Ucraina, e il Donbass, sono Europa quanto l’Italia o la Germania, così come lo era la ex Jugoslavia massacrata dalle mire espansionistiche di Bruxelles e Washington.
L’Unione Europea è complice della guerra e del fascismo, è bene dirlo forte e chiaro nell’anniversario della sconfitta del fascismo e del nazismo al termine di una guerra che costò la vita a decine di milioni di uomini e di donne in tutto il mondo.
* Rete dei Comunisti, di ritorno dal Donbass
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Emanuela Caldera
Articolo perfetto.