Sono andate in archivio il 15 maggio scorso le elezioni politiche in Libano, le prime dopo l’oceanico movimento di protesta di fine 2019, dopo la terribile esplosione al porto di Beirut di agosto 2020 e dopo il precipitare della crisi economica scaturita dal deprezzamento della valuta locale e dalle sanzioni alla Siria.
Tale turbinio di eventi ha avuto un suo effetto tangibile nelle urne elettorali: crolla la coalizione “8 marzo” a guida Hezbollah, che perde la maggioranza assoluta, passando da oltre 70 seggi (su 128) a 58, mentre la coalizione filo saudita e filo-occidentale passa da 48 a 41 seggi.
I restanti 29 seggi sono ripartiti fra una miriade di liste delle più svariate tendenze politiche, molte delle quali completamente nuove, scaturite dalle proteste della cosiddetta “rivoluzione del 17 ottobre 2019.” L’affluenza ha, d’altra parte, raggiunto il record negativo del 41%.
Se per la componente filo-occidentale il risultato non può essere disprezzato, tenendo conto del fatto che il maggiore dei partiti sunniti e fondatore della coalizione, il Movimento al Futuro, non si presentava per iniziativa del leader Saad Hariri, ben più rovinosa, agli occhi degli osservatori internazionali, appare la caduta della coalizione filo-siriana e filo-iraniana, che ci si aspettava lucrasse sull’assenza della formazione sunnita.
A tal proposito, bisogna rimarcare che, mentre Hezbollah tiene con i suoi 13 seggi e l’altro partito sciita Amal ne perde solo 2, attestandosi sui 15, è il partito cristiano della coalizione (si ricorda che le compagini elettorali, per puntare a vincere, devono per forza essere composte da partiti di tutte le estrazioni religiose, visto che i seggi sono assegnati su base confessionale), il “Movimento Patriottico Libero” del Presidente della Repubblica Aoun, a subire un tracollo senza precedenti, passando da 29 a 17 seggi.
A lucrare su tale crollo sono le “Forza Libanesi”, partito cristiano di estrema destra guidata da Samir Geagea, già in carcere per 11 anni per crimini durante la guerra civile e collaborazionista con l’invasione sionista: con 19 seggi, ora questo partito diventa quello di maggioranza relativa.
La coalizione “8 marzo” ha persi altri seggi a beneficio delle nuove liste. Ad esempio, nel collegio elettorale greco-ortodosso di Assaad Hardan, nel sud del paese, nel pieno della roccaforte di Hezbollah e Amal, il candidato della coalizione ha perso a sorpresa contro Elias Jradi, della lista “Insieme per il Cambiamento”, appoggiata dal Partito Comunista Libanese, al termine di una durissima campagna elettorale, basata – a detta dei comunisti – sull’accusa di “tradire la Resistenza” da parte degli avversari.
Sul fronte sunnita, nell’area di Beirut ha inciso molto l’appello al boicottaggio delle urne formulato dagli esponenti del Movimento al Futuro, in quanto nelle roccaforti tradizionali del partito di Saad Hariri le urne sono rimaste di fatto deserte. Per il resto, vi è stata una tale dispersione del voto che sicuramente preoccuperà l’establishement religioso, che rischia di uscirne marginalizzato.
In un discorso televisivo post-elettorale, il Segretario Generale di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, ha proclamato ugualmente la vittoria della Resistenza, auspicando, tuttavia – in un passaggio significativo – che la legge elettorale in futuro cambi, facendo di tutto il paese un solo collegio elettorale proporzionale e abolendo, così, il sistema di ripartizione settaria attuale.
Tale legge, infatti, secondo le parole del leader sciita, porta gruppi minoritari ad avere una rappresentanza sproporzionata rispetto ai propri elettori. Qui è chiaro il riferimento alle Forze Libanesi, in quanto la ripartizione dei seggi al 50% fra cristiani e musulmani non riflette la situazione demografica reale, bensì premia le compagini cristiane.
Infine, Nasrallah ha chiesto ai propri sostenitori di mantenere la calma e non dare vita a sfilate con armi in pugno, implicito invito a non rispondere alle provocazioni delle Forze Libanesi, che già stanno dichiarando ai quattro venti il loro obiettivo primario di disarmare Hezbollah e sono scesi in strada a scandire slogan di questo tipo.
Tornando sulla richiesta di modifica del sistema elettorale, un tale provvedimento, oltre che un indubitabile progresso per tutto il paese, reclamato a gran voce dai moti del 2019, sarebbe anche la maniera più indolore, per il partito sciita, di smarcarsi eventualmente da un sistema di alleanze con altre formazioni politiche parecchio screditate (il Movimento Patriottico Libero, in primis), che sta diventando una camicia di forza e fonte di discredito anche per sé stesso. Tuttavia, le resistenze rispetto ad un cambiamento del genere sono da sempre fortissime e trasversali.
In definitiva, va sicuramente sottolineato che il Libano ha bisogno di una scossa pesante nel suo sistema politico istituzionale, che lo ha condotto in uno stato di depressione senza precedenti almeno dalla fine della guerra civile.
Da questo punto di vista, i movimenti iniziati il 17 ottobre 2019 hanno rappresentato una speranza, anche se troppo breve, ed il fatto che abbiano avuto una loro influenza su queste elezioni è comunque positivo.
D’altra parte, siccome la Resistenza capeggiata da Hezbollah resta l’unico baluardo rispetto alle aggressioni sioniste sempre in agguato, al momento è un grande punto interrogativo l’atteggiamento che i nuovi parlamentari avranno rispetto ad essa.
Sicuramente, la nuova camera libanese è ancora più balcanizzata delle precedenti, in cui la predominanza di sole due coalizioni provocava comunque lunghi periodi di stallo e vuoti di potere.
Ora, la presenza massiccia di molti nuovi eletti le cui tendenze politiche, a parte l’avversione all’establishement settario, sono varie e spesso non ben definite, rischia di portare ad una situazione di paralisi ancora maggiore, considerato che oltre all’elezione del Presidente del Parlamento e alla formazione del nuovo esecutivo, ci si avvicina alla scadenza del mandato, a ottobre, dell’ottuagenario Presidente della Repubblica Aoun; senz’altro un sollievo per la grande maggioranza della popolazione, ma andrà comunque sostituito.
Sullo sfondo, si fa per dire, rimangono la crisi economica nera e l’accordo insolitamente benevolo strappato dal governo uscente al Fondo Monetario Internazionale: è da capire se reggerà, o partiranno ricatti più stringenti, oppure, molto plausibilmente, sarà agitato come un ricatto nei confronti dei nuovi parlamentari affinché si allineano ai tentativi di Francia, USA e Arabia Saudita di marginalizzare Hezbollah.
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