Due fatti nuovi, conseguenti al conflitto ucraino, stanno provocando un’escalation militare in Siria, destinata ad aggravarsi: il deterioramento delle relazioni fra Israele e la Russia e la trattativa per entrare nella NATO intrapresa da Finlandia e Svezia; lo stato sionista e la Turchia che stanno cercando di avvantaggiarsi dell’intensivo impegno militare russo e americano in Ucraina.
Per quanto riguarda Tel Aviv, si sono intensificati, durante il mese di maggio, i raid aerei in territorio siriano che hanno preso di mira postazioni delle milizie filo-iraniane e presunti carichi di armi destinati ad Hezbollah.
L’intensificazione dei bombardamenti in Siria viene a seguito delle dure schermaglie diplomatiche con Mosca, presente, si ricorda, dal 2015 in Siria, su invito del governo siriano, con un proprio contingente di terra, la propria aviazione e la propria batteria anti-aerea.
Il pezzo più pregiato della contraerea, ovvero il sistema S-300, non era mai stato utilizzato contro le incursioni dei velivoli di Israele proprio in ossequio ai buoni rapporti fra i paesi.
Tuttavia, dopo un’iniziale tentativo di accreditarsi come mediatore terzo fra Russia e Ucraina, il Governo Bennet si è allineato a Washington e ha cominciato a rifornire l’esercito ucraino di armi difensive, provocando dure reazioni diplomatiche da parte di Mosca.
Ad esempio, durante le aggressioni ai danni dei fedeli musulmani alla Spianate delle Moschee da parte dell’esercito sionista, la Russia è giunta a richiamare l’ambasciatore israeliano a Mosca per consultazioni e, nelle dichiarazioni ufficiali, si è riscoperta “grande sostenitrice della causa palestinese”.
Tali schermaglie sono culminate, secondo fonti israeliane, con l’utilizzo per la prima volta del sistema S-300 contro un raid israeliano in Siria il 17 maggio. Nessuna dichiarazione ufficiale è stata rilasciata a riguardo.
In seguito, Israele ha insistito con un nuovo raid il 22 maggio nei confronti del quale non si sa di che qualità sia stata la risposta anti-aerea. Ha, tuttavia, procurato 5 vittime, fra cui un civile.
La fine dell’impunità israeliana nel colpire l’esercito siriano e le milizie filo-iraniane in Siria, tuttavia, potrebbe costituire un’importante novità. Un’indiretta conferma di tale risvolto è costituito dall’intensificarsi di viaggi aerei di velivoli cargo iraniani verso Russia nelle ultime settimane.
Secondo i servizi segreti occidentali, essi sarebbero indice di una collaborazione militare fra le parti, in forza della quale l’Iran fornirebbe alla controparte materiale bellico elettronico e droni, tecnologie in cui Teheran primeggia, mentre si stanno rivelando un punto debole dell’esercito russo in Ucraina; in cambio, ovviamente, la Russia dovrebbe fornire maggiore protezione in Siria.
L’altro fronte rilevante è quello che potrebbe aprire la Turchia, per l’ennesima volta, nel nord della Siria: parlando al Consiglio dei Ministri, infatti, il Presidente Erdogan ha dichiarato:”Presto intraprenderemo nuovi passi per quanto riguarda le parti incomplete del progetto che abbiamo avviato riguardo la zona sicura profonda 30 km da stabilire lungo il nostro confine meridionale”.
Si tratterebbe, in buona sostanza, di ricongiungere le aree in mano ai propri proxy salafiti nel nord-est e nel nord-ovest della Siria, sottratte attraverso diverse operazioni militari diverse alle milizie curde Ypd-Ypj, allora appoggiate dagli USA.
Una simile operazione militare coinvolgerebbe anche l’esercito siriano, presente in alcuni territori di confine unitamente alle Ypg, secondo gli accordi scaturiti dalla precedente invasione turca dell’ottobre 2019, oltre alle truppe russe, impegnate in pattugliamenti congiunti proprio con l’esercito turco, e alle stesse truppe americane, le quali hanno stabilito diverse basi militari nelle aree in mano curda.
Anche in questo caso, dopo un iniziale tentativo di accreditarsi come mediatore terzo fra Russia ed Ucraina, la Turchia sta cercando di lucrare sui risvolti derivanti dal conflitto in est-Europa, mettendo sul tavolo delle trattative per dare il proprio assenso all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO, proprio l’appoggio (per lo più strumentale, ma comunque reale) che alcuni paesi dell’Alleanza Atlantica e i due nuovi candidati danno alle milizie curde sullo scenario siriano o nel proprio territorio, dove offrono ospitalità ad alcuni esuli.
Ovviamente, in una fase in cui gli USA stanno cercando di ricompattare la NATO in funzione anti-russa e di utilizzare la stessa alleanza atlantica per alimentare il proprio progetto di minare l’autonomia strategica dell’Unione Europea, a Washington potrebbero esservi orecchie attente rispetto alle proposte di turche di abbandonare le milizie curde.
I precedenti costituiti dalle invasioni turche prima nell’area di Afrin e poi nei pressi di Kobane, in cui gli USA non svolsero alcun ruolo di deterrenze né diplomatica, né militare, vanno in tale direzione.
Allo stesso modo, anche la Finlandia e la Svezia potrebbero ritenere prioritaria la necessità di entrare nella NATO rispetto a continuare a proteggere alcuni esponenti della comunità curda.
Naturalmente, in caso di operazione militare turca, il grande coinvolgimento nel conflitto ucraino con tutta probabilità limiterebbe di molto anche l’attivismo russo nel cercare di contenere la Turchia o limitarne il raggio d’azione delle operazioni militari, come accaduto precedentemente.
Si tratta, dunque, di un’ennesima congiuntura politico-diplomatica favorevole in cui potrebbe inserirsi Ankara per alimentare le proprie ambizioni geopolitiche.
A fronte di ciò, da parte curda, apparentemente, ancora non è stato elaborato un piano, né sono state tessute relazioni politico/diplomatiche per preparare una via di uscita rispetto alla necessità di mantenere una stretta relazione con gli USA e, dopo aver perso l’area di Afrin nel 2018 e la striscia fra Tel Abyad e Ras al-Ayn nel 2019, perdere altri insediamenti importanti come Manjij e Kobane potrebbe costituire un colpo definitivo per il progetto politico del Rojava.
Oltre che per le popolazioni locali, che andrebbero a subire le politiche colonizzazione e sostituzione etnica a favore delle popolazioni arabo-sunnite perseguite dalla Turchia.
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