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Forze speciali Usa in Somalia. Ci si prepara alla “guerra d’Africa”

Gli Stati Uniti puntano a schierare centinaia di militari in Somalia invertendo la decisione presa dall’amministrazione Trump che aveva visto un parziale ritiro della gran parte delle forze armate Usa presenti nel Paese africano. A rivelare questo riposizionamento è stato il New York Times citando ben quattro fonti interne agli apparati statunitense.  Il presidente Biden ha firmato un ordine che autorizza il dispiegamento di militari americani in Somalia approvando la richiesta del Pentagono di poter riprendere i raid aerei contro i leader della milizia jihadista al-Shabaab, che controlla diverse aree del Paese.

Secondo alcune delle fonti anonime rilanciate dal quotidiano statunitense, il numero dei militari pronti a essere inviati in Somalia è di circa 450. “Oggi in Somalia operano solo istruttori militari statunitensi che addestrano le forze armate somale e dei contingenti africani inseriti nella missione dell’Unione Africana (AMISOM) di sostegno al governo di Mogadiscio” scrive il sito specializzato Analisi Difesa.

Il rafforzamento della presenza militare Usa in Somalia è stata confermata da Adrienne Watson, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, che ha definito la decisione una mossa per intraprendere “una lotta più efficace contro al-Shabaab anche nell’ottica di “massimizzare la sicurezza e l’efficacia delle nostre forze e consentire loro di fornire un supporto più efficiente ai nostri partner”.

Che l’Africa, soprattutto negli stati rivieraschi, sarà oggetto di una feroce competizione tra Usa, Cina e Ue, lo si capiva da tempo. Da un lato c’è la corsa all’accaparramento delle materie prime strategiche per le industrie tecnologiche (dalle batterie ai seminconduttori), dall’altro per gli Usa il controllo delle coste è sempre stata una priorità per una potenza dalla proiezione militare soprattutto marittima.

Nella disattenzione generale, va invece sottolineato come in Africa già da tempo le principali potenze hanno estese presenze militari: Francia (Mauritania, Senegal, Burkina Faso, Mali, Niger, Ciad, Costa d’Avorio, Camerun, Golfo di Guinea, Gabon e Gibuti); Stati Uniti (Senegal, Burkina Faso, Ghana, Gabon, Camerun, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Kenya, Somalia, Botswana, Seychelles e Gibuti).

Ma poi ci sono anche la Germania (Mali, Niger e Gibuti); la Russia (Repubblica Centrafricana, Mali); la Gran Bretagna (Mali); Italia (Libia, Gibuti e Niger); Turchia (Somalia, Libia); Cina (Gibuti); India (Madagascar e Seychelles), Emirati Arabi Uniti (Libia, Eritrea e Somaliland), Arabia Saudita (Gibuti), Belgio (Mali, Gibuti e Niger), e perfino il Giappone (Gibuti).

La Francia ha il numero maggiore di militari schierati (7.500) seguita dagli Stati Uniti (7000). Per la Francia è probabile che il numero diminuisca per via del ritiro dal Mali, a meno che non si tratti di una ridislocazione in Niger. Mentre gli Usa con il nuovo invio di militari in Somalia potrebbero superare la Francia.

Due anni fa il sito The Intercept ha pubblicato alcuni documenti dell’Africom (il Comando Usa per l’Africa), che documentavano la presenza militare statunitense in Africa. Nei documenti si scopre che le basi militari sono ben 27 distribuite in 15 Paesi. Molte di queste sono concentrati tra Africa Occidentale e Corno d’Africa.

Tra queste, 15 strutture sono definite “Enduring” in quanto forniscono “un accesso strategico per supportare gli interessi di sicurezza degli Stati Uniti.” Le seconde, denominate “Non Enduring” sono invece dei punti di appoggio per operazioni di contingenza o limitate. In questo caso non è stato possibile chiarire quanto siano attive dato che possono essere a loro volta classificate come semi permanenti.

Pubblicamente i portavoce del Pentagono affermano che l’impegno statunitense in Africa è molto limitato. Ma nelle audizioni alle commissioni Difesa di Camera e Senato ufficiali e comandanti dell’Africom continuano a sostenere la necessità di una presenza costante e strutturata.

A inizio maggio il magazine d’inchiesta sudafricano Mail & Guardian è entrato in possesso di alcuni files dell’Africom rivelando un piano strutturato per rinforzare l’attuale rete di basi militari, con strutture snelle e di basso profilo.

Occorre aggiungere che la Somalia, in questo caso, per gli Usa rappresenta una sindrome a metà tra il Vietnam e l’Afghanistan. Nel corso dell’operazione Restor Hope, l’abbattimento di due elicotteri Black Hawk a Mogadiscio nel 1993, vide l’uccisione di 18 soldati delle forze speciali Usa e il ferimento di altri 73, praticamente una disfatta che ancora pesa nella storia militare statunitense.

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