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Produrre armi significa distruggere popoli. Questa guerra il mondo unipolare non può vincerla

L’escalation militare della guerra in Ucraina rappresenta il momento più drammatico e conclusivo della parabola del sistema imperialistico.

Oggi siamo in piena decadenza della guida unipolare del mondo e quando dico unipolare non intendo solo gli Stati Uniti, intendo il nord centrismo cioè diciamo l’area imperialista. E’ entrato in una crisi irreversibile l’imperialismo degli Stati Uniti (che reagisce in maniera rabbiosa come un animale ferito a morte).

Un destino che coinvolge in forma differente l’area dell’Unione Europea: è la crisi irreversibile di cui parliamo da moltissimi anni, una crisi non tanto e non solo dell’area del dollaro e dell’euro o di Stati Uniti e Unione Europea, me la crisi del modo di produzione capitalistico.

L’abbiamo chiamata in tempi non sospetti ‘crisi sistemica’ perché non è la classica crisi ciclica: non riescono a trovare vie d’uscita in una forma di investimento adeguato, il problema è il maledetto sviluppo quantitativo.

Maledetto perché è dietro quello che sta succedendo, dietro le mille forme della guerra. E noi europei ci accorgiamo della guerra solo adesso, perché tra Russia e Ucraina c’è questo fronte di guerra, ma abbiamo poco considerato finora i tanti fronti di guerra in Africa, nello Yemen, in Siria, in Libia, dappertutto.

Per cercare di uscire da questa crisi di nuovo gli imperi reagiscono con quello che noi economisti chiamiamo ‘economia di guerra’: produrre merci, in questo caso armi, che significa distruggere interi popoli.

C’è quindi capitale in eccesso e purtroppo, lo dico con sofferenza, uomini considerati in eccesso. E si risolve con la guerra, è per poter rinunciare a finanziare le bolle speculative che scoppiano le guerre commerciali, il protezionismo economico: penso al bloqueo, il blocco economico contro quelli che loro in maniera infamante e indegna chiamano ‘stati canaglia’ solo perché non sono allineati con loro.

Ed ecco le sanzioni contro il Venezuela, contro Cuba, contro la Palestina, contro lo stesso Iran, contro la Siria: contro tutti coloro che non si schierano con la Nato.

In questo senso il problema di fondo non è la localizzazione del conflitto nel cuore dell’Europa. Della guerra tra Russia e Ucraina mi interessa poco il luogo, mi interessano ovviamente i morti, perché quando muore gente, da qualsiasi parte, un comunista piange, la nostra ideologia non è un’ideologia violenta, anche se la storia purtroppo ci ha chiamato, a volte, come nel caso dei partigiani, anche a reagire in quella maniera.

Siamo persone che cercano di capire il mondo per cambiarlo, è quello che sta venendo è molto chiaro: è uno scontro fra la guida unipolare del mondo e un’area multipolare, dove il multipolarismo non è il vecchio blocco sovietico né tutti i paesi socialisti: ci sono paesi socialisti in maniera differente, come Cuba e Venezuela, c’è la Cina, ci sono paesi che non accettano assolutamente il dominio Nord-centrico e Nato-centrico, ovvero questo sviluppo insensato e questa espansione vergognosa della NATO.

Parlo della Russia parlo della Turchia, parlo dell’Iran e parlo dell’India, ma anche di tanti altri paesi, e dello stesso Brasile. Infatti, ci sono anche paesi a guida di destra però nazionalisti, che si vogliono sottrarre a questa dimensione.

Ovviamente io mi auguro che questa guerra tra Ucraina e Russia si concluda, ma non si concluderà purtroppo lo strumento della guerra. Non si concluderà perché le guerre economiche, commerciali, le guerre militari hanno come solo fine quello di poter sopravvivere a questa fase di crisi e rilanciarsi. Purtroppo questa non è una guerra del popolo, non è una delle guerre dei lavoratori che devono difendere i loro interessi.

Questa guerra è solo morte e distruzione. Ovviamente oltre allo scempio che dicevo prima c’è una crisi ambientale senza precedenti, e c’è l’altra guerra: la guerra comunicazionale, informativa. Si accredita un’informazione deviata: hanno nelle mani uno strumento talmente di convinzione, di coercizione di massa, che se decidono di far dire al mondo che questa camicia grigia è rossa ci riescono.

Questo è far morire ogni spirito critico, ogni capacità di giudicare, come ha spiegato nei suoi articoli il giirnalista di Le Monde Diplomatque Ignacio Ramonet, che parlava dei rischi del pensiero unico.

Oggi è proprio il pensiero imperialista che passa e che sconvolge e purtroppo è un lavoro duro quello che dobbiamo fare. Oggi, da Repubblica al Corriere della Sera, danno tutti la stessa versione per la quale c’è una “nuova resistenza” che dobbiamo aiutare mandando armi.

Cose dell’altro mondo che non hanno assolutamente senso. Loro giocano una carta pesante, quella della propaganda, quella dell’informazione, meglio della disinformazione, che si fa cultura infame della controrivoluzione, cioè della repressione delle menti.

Come si reagisce? Si reagisce piano piano, con calma, anche se è difficile per la sproporzione dei mezzi. Anche se è vero che c’è una maggioranza contraria all’escalation in corso. E’ quella che una volta si definiva per altri motivi una maggioranza silenziosa, che non si esprime, che non esprime la sua capacità conflittuale.

Ma il nostro compito non è stare lì sul sul lato del fiume ad aspettare, sarebbe una cretinata, noi dobbiamo lavorare come fanno le talpe sotto terra, per far emergere quella capacità critica che la violenza di queste istituzioni fanno immergere, per cui non sono né ottimista né pessimista, sono realista: camminiamo e lavoriamo per cambiare le cose.

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1 Commento


  • Sergio

    Telegraficamente: liberarsi dalla dipendenza russa, e da quella di tutti i governi “non democratici’ prima che un’idiozia è un sogno: usa e UE (le ‘democrazie’) non hanno le materie prime indispensabili e infatti le rapinano agli Stati di Africa, Asia, Sud America…ieri colonialismo sfacciato oggi…; oggi non siamo ancora in guerra ma stiamo marciando verso la guerra; il pericolo nucleare non viene dalla Russia ma dagli usa; il nostro compito è non solo di rifiutare di arruolarci negli eserciti della guerra ma di dire chiaramente che, in caso di guerra aperta e diffusa, nel caso non riuscissimo a fermarla, sappiamo bene in quale parte schierarci, non contro la Russia, che non ci ha fatto niente né ci minaccia, mai con i padroni (sfruttatori) di questo mondo ingiusto che condanna alla fame milioni di persone; non in nome di Stati, nazioni, patriottismo ecc. ma contro chi ci taglia i salari, ci condanna alla disoccupazione, alla precarietà, aumenta i prezzi ecc Sergio

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