La lingua italiana è molto ricca (ma ogni persona, di qualsiasi nazionalità, potrà legittimamente dire la stessa cosa della propria lingua nazionale) di espressioni, aggettivi, circonlocuzioni e perifrasi, che sarebbero più che sufficienti per caratterizzare la reale natura “giornalistica” di chi – come, per esempio, il direttore de Linkiesta – intenderebbe presentare come dottrina della fede certi versetti catechistici su gli ucraini che «si sentono europei, occidentali e democratici» e per questo, quali profeti dei valori liberali, che «resistono come possono, anche con il nostro aiuto, al secolare genocidio orchestrato dai russi».
Si badi bene: «di tutti i russi», perché, nel vangelo secondo Christian (Rocca), tutti i «russi invadono, stuprano e cancellano la cultura, la lingua e il popolo ucraino da più di un secolo».
Ora, si diceva, basterebbero alcune espressioni della lingua italiana per collocare certi fioretti nel vaso loro più adatto; e non sarebbero necessari riferimenti storici e politici per mettere in dubbio la loro creazione divina, che sia l’Università del Sacro Cuore o il Partito Radicale.
Ancor più pragmaticamente – offrendo però il clima opportune speranze, ad oggi vacue – e come ben evidenziato da Ottolina TV, non guasterebbe il rimando all’art. 604 bis CP sulla propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico.
Insomma, Linkiesta, da “giornalistica”, si trasformerebbe in giudiziaria, anche indipendentemente dalle “responsabilità” che il sacro cuore radicale affibbia al «popolo russo», a «tutti i russi», ai «volenterosi carnefici di Putin, come lo storico Daniel Goldhagen ha definito il popolo tedesco rispetto a Hitler».
Siccome però alcuni responsa citati dal signor Rocca indicano – come nel Vangelo Giovanni (12-49) – che «io non ho parlato da me stesso, ma il Padre stesso mi ha mandato e mi ha comandato ciò che io devo dire ed annunziare», tocca tornare su alcuni argomenti già ripetutamente affrontati su questo giornale.
Ora, non essendo nostra materia, evitiamo di argomentare sul corretto ricorso al termine “genocidio”, troppo spesso – come nel caso specifico, per «il genocidio degli ucraini» – usato in contesti che a nostro parere poco hanno a che vedere con la “completa distruzione del patrimonio genetico di un gruppo etnico”, ad esempio, eliminandone fisicamente la totalità degli individui maschi, per arrivare alla definitiva scomparsa della data etnia.
Evitiamo anche di entrare nel merito della presunta assenza di qualsiasi «mobilitazione o protesta pacifista a Mosca» in risposta «ai crimini di guerra in Ucraina»: non ricordiamo di averne viste nemmeno a Kiev, in otto anni di sterminio terroristico della popolazione russofona del Donbass.
Non abbiamo notato e non notiamo alcuna radicale protesta nemmeno a Roma, per dire, in risposta al metodico, quasi quotidiano, assassinio di uomini e bambini palestinesi da parte delle forze terroristiche israeliane.
Intendiamo invece soffermarci su dei remake che ciclicamente vengono riproposti: ora dalla propaganda goebbelsiana, ora dal Foreign Office, ora dalla RAI, sin da quando disponeva di un solo canale, in bianco e nero; e, non sembri poi così strano, anche da una serie di trasmissioni televisive, edizioni “storiche” e manuali scolastici della Russia post sovietica.
Dunque, dato che «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Giovanni, 1-1), tra i fioretti del summenzionato foglio, non potevano mancare i classici de «la pianificazione della carestia dei contadini (1932-33), le Grandi Purghe (1936) e l’eliminazione fisica di un’intera generazione di intellettuali (1937-38)».
Intendendo con ciò, ovviamente, che tutto ciò mirasse in passato (e miri oggi) al «secolare genocidio» pianificato da Mosca per appropriarsi di «un paese dove scorre il latte e il miele» (Levitico, 20-24) facendo piazza pulita di tutti i suoi abitanti, gli ucraini.
Tant’è che la «storia ricorda che il Cremlino ha provato a cancellare Kyjiv con lo Zar, con l’Urss e ora con Putin». La “storia” che si ripete: «Porgete orecchio, o cieli, e io parlerò; e ascolti la terra le parole della mia bocca» (Deuteronomio, 32-1).
Quindi, si consiglia radicalmente ai lettori «un buon libro di storia… consiglio quelli di Anne Applebaum e di Timothy Snyder», scrive Rocca.
Ma tu guarda, proprio la Applebaum, moglie dell’ex ministro degli esteri polacco Radoslaw Sikorski, tornato alle cronache una decina di giorni fa, quando persino il Dipartimento di stato è stato costretto a ricordargli che stava facendo un cattivo servizio a Washington, con quel suo «Thank you USA» per l’attentato al Nord Stream.
Chi non avesse tempo per leggere, «Basta anche parlare con un ucraino qualsiasi, il quale potrà testimoniare di bisnonni morti per la fame pianificata da Stalin, di nonni finiti sotto le purghe sovietiche, di parenti umiliati come nemici del popolo, di conoscenti incarcerati perché scrivevano in lingua ucraina», ecc.
Ora, le cosiddette “grandi purghe”, che l’aspirante “storico” data al 1936, sono tutt’oggi ricordate in Russia, senza altre specificazioni con un semplice «il 1937». Ma non è questo il punto.
Il radicale giornalista accomuna tutte le date “cruciali” degli anni ’30 in un “unico piano funesto del Cremlino contro il popolo ucraino”. Per quanto ci riguarda, non ci attribuiamo la qualifica di “storici” e tantomeno quella di “giornalisti”.
Se però, un giornalista di mestiere si prendesse la briga di leggere non solo i vangeli emanati dal Dipartimento di Stato e messi in bella copia da compiacenti “storici” americano-polacchi, noterebbe come, per esempio, nel corso delle epurazioni tra il 1935 e il 1938 il numero di colpiti dalle misure giudiziarie nelle sole regioni (regioni!) di Mosca e Leningrado superasse quello dell’intera Ucraina.
E che quando si parla di «eliminazione fisica di un’intera generazione di intellettuali», sarebbe doveroso ricordare quantomeno tutte le nazionalità di quella «intera generazione», perché – come un giornalista di mestiere dovrebbe sapere – ogni nazionalista russo infamerà il partito dei bolscevichi di esser stato “una banda di ebrei” e ogni nazionalista ebreo dell’Unione Sovietica lamenterà la persecuzione russa ai danni della propria gente.
Così come farà ogni nazionalista bielorusso, kazakho, baškiro, tataro – e delle altre cento nazionalità che popolavano l’URSS – colpito dalle epurazioni (più corretto sarebbe dire: misure giudiziarie; le epurazioni riguardarono principalmente i livelli superiori di partito, apparato sovietico e esercito) non solo nel rispettivo strato intellettuale, ma anche nei lavoratori, nei kolkhoziani, negli impiegati che, per esempio, dopo un richiamo per la prima assenza dal lavoro, per un furto di materiali, per piccole speculazioni, al ripetersi della cosa venivano multati e poi, in caso di recidività, potevano essere arrestati.
Ma la questione, per l’appunto, riguardava ogni nazionalità dell’URSS e non solo gli «Ucraini colpevoli soltanto di essere ucraini», secondo il copione degli infoibati «sol perché italiani». Riguardava ogni singolo cittadino che brigasse contro il potere sovietico o contravvenisse alle leggi sovietiche, di qualunque nazionalità o etnia.
È così però anche nelle libere democrazie occidentali.
È al corrente, il “consigliatore” storico, delle varie fasi della cosiddetta ucrainizzazione (la sostituzione cioè, in Ucraina, di funzionari statali, di partito, insegnanti, ecc., di origine russa, con uomini e donne ucraini) condotta in diverse epoche sovietiche – e, purtroppo, con risultati opposti, a seconda dell’epoca – per eliminare la secolare oppressione zarista ai danni di tutte le nazionalità dell’impero russo diverse da quella “grande-russa” e, nello specifico dell’Ucraina, togliere il terreno di coltura, tra i contadini ricchi ucraini, alle “teorie” dei vari «nazional-sociali del tipo dei sigg. Jurkevič, Dontsov & Co» (Lenin) e poi ancora dei vari Bandera e Konovalets, che invocavano la distruzione “dell’impero moscal-asiatico”, quale obiettivo principale, prima ancora della creazione di uno stato ucraino?
Ne ha mai sentito parlare il radicale giornalista?
A proposito di “ucrainizzazione”: nel 1930, il 68,8% de i giornali sovietici in Ucraina erano pubblicati in lingua locale e nel 1932 erano l’87,5%. Nel 1925-’26, il 45,8% dei libri era in lingua ucraina; nel 1932 erano il 76,9%; se prima non c’erano praticamente pubblicazioni in lingua ucraina, nel 1933, erano 373 su 426.
E anche nel KP(b)U (proprio quello accusato del cosiddetto “Holodomor”) nel 1925 il rapporto tra ucraini e russi era di 36,9% contro 43,4%, ma nel 1930 era passato al 52,9% contro il 29,3% e, nel 1933, anno di punta del cosiddetto “Holodomor”, si era arrivati al 60% di ucraini contro il 23% di russi.
Ma lasciamo stare; suvvia, chi non sa che «Non si contano i colpi di Stato russi in Ucraina, le dichiarazioni di indipendenza domate nel sangue, i presidenti fantoccio del Cremlino che hanno sparato sulla folla per obbedire agli ukase di Mosca e allontanare Kyjiv dall’Europa».
Si intende forse parlare dei morti ammazzati a majdan Nazaležnosti dai cecchini lituani e georgiani (quelli ammessi ufficialmente; ma chissà chi altri ancora) che sparavano su polizia disarmata e manifestanti durante il golpe nazista del febbraio 2014?
Lasciamo alla radicale coscienza (?) di certi “giornalisti” gli altri fioretti su «le furie omicide dei conduttori televisivi di prima serata e le telefonate dei soldati russi incitati dai familiari a stuprare e a uccidere quanti più ucraini possibile».
E i russi «rimasti in patria stanno zitti, si voltano dall’altra parte… schiacciano bottoni che lanciano missili sugli ospedali, sulle fermate degli autobus, sui parchi-giochi, sulle scuole, sui centri commerciali, assicurandosi di farlo durante l’ora di punta oppure di notte se l’obiettivo invece sono le abitazioni private. Sono cittadini russi quelli che uccidono a sangue freddo nelle zone occupate, quelli che buttano i corpi nelle fosse comuni a Bucha e altrove, quelli che stuprano le ragazze e fanno razzia nelle case ucraine… I russi vogliono uccidere gli ucraini, cancellare la lingua ucraina, negare l’indipendenza ucraina».
Tutto vero, per carità; solo che gli autori di tali imprese stanno di casa più vicini a Kiev (ma anche a Washington, Helsinki, Londra, Toronto, Varsavia, ecc.) che a Mosca, come ormai non azzardano più a negare nemmeno i padrini di certe radicali pubblicazioni. Tra l’altro, avete notato come siano scomparsi dalle cronache termini quali “nazisti”, “azoviti”, ecc?
D’altronde, cosa pretendere da certi laudatori dei neo-nazisti che «si sentono europei, occidentali e democratici», se due giorni prima del Christian sacrocuorista, Giancarlo Bocchi, in un lungo pezzo agiografico e semi-storico che nulla ha da invidiare all’antibolscevismo e alla radicale russofobia di moda, scriveva su il manifesto che «Oggi nella democratica Ucraina»…
Dunque, antisovietici, xenofobi, atlantisti e liberali d’Occidente, ricordate che copie come quelle riciclate da Anne Applebaum sono per voi il «libro della legge» e che esso «non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo, giorno e notte; abbi cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto» (Giosuè, 1-8).
Lì dentro, trovate la “storia” di cui vi nutrite.
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Mauro
Alla fine si farà tutto un conto…