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Riconciliazione tra le organizzazione palestinesi. La “Dichiarazione di Algeri” tra ottimismo e pessimismo

Sin dal 2007, dalla presa armata di Hamas del potere nella Striscia di Gaza, l’auspicio dei palestinesi si è concentrato sulla riconciliazione e la fine della divisione tra Gaza e la Cisgiordania.  Diversi sono stati i tentativi, nel corso di questi 15 anni, finiti nell’oblio.

Vanno ricordati gli accordi: Giadda 2007, il Cairo 2011, Al-Shati-Gaza nel 2014, senza dimenticare l’accordo più importante della concordia nazionale, con il documento congiunto redatto dai prigionieri di tutte le organizzazioni.

Il tentativo dell’iniziativa del presidente algerino e del presidente palestinese già annunciata a giugno di quest’anno, avviene dopo un lungo silenzio sull’unità dei palestinesi, ed è particolarmente importante che l’Algeria ospiterà il vertice dei capi di stato arabi nei primi giorni del prossimo novembre.

Vertice arabo, dove l’Algeria vorrebbe riprendere una solidarietà di azioni araba che possa fermare l’emorragia della normalizzazione dei rapporti di certi stati arabi con Israele, quindi ha bisogno dell’unità dei palestinesi, anche per togliere il pretesto di qualche paese arabo sulla divisione palestinese.

Ad Algeri, si sono riunite 14 organizzazioni palestinesi. Sembrava una riunione di famiglia dopo anni di assenza, e alla quale nessuno poteva dire no all’invito di un paese come l’Algeria, il paese che da sempre sta a fianco del popolo palestinese e che considera centrale la causa palestinese per tutta la nazione araba.

Quindi, andare in Algeria, e da tutte le parti è un atto morale, che non si discosta dall’iniziativa e dal rispetto per l’Algeria che sta con “la Palestina sia quando ha ragione sia nel torto” (parole pronunciate dal x presidente algerino Houari Boumédiène).

Il 13 ottobre, è stato siglato da 14 organizzazioni un accordo, la “dichiarazione di Algeri” per la riunificazione palestinese e la fine della divisione, composto da 9 punti. (Allegato).

L’accordo, a quanto pare, non ha aggiunto niente di nuovo, anzi, forse ha fatto un passo indietro, rispetto all’accordo voluto dai prigionieri palestinesi, poi adottato come l’accordo della Concordia nazionale palestinese, con modalità pratiche di attuazione.

In quanto la dichiarazione di Algeri ha omesso le modalità di attuazione e, forse per arrivare all’accordo, è stato cancellato un punto, che per alcuni era importante: la formazione di un governo di unità nazionale, ivi compresi Hamas e Jhad islamico. Un punto che mostra le vere divergenze sul piano politico nell’arcipelago palestinese.

Cioè fra due progetti, uno laico patriottico, e uno religioso, la cui matrice rimanda ai fratelli musulmani. Inoltre, il Jhad islamico non ha mai espresso il desiderio ho la volontà di fare parte di un governo.

Sul piano politico la dichiarazione di Algeri ha esaltato il ruolo e l’importanza dell’Olp, come unico legittimo rappresentante del popolo palestinese, e questo non era scontato, almeno per Hamas che ha tentato invano di essere l’alternativa all’Olp. 

Un’altra questione, che non è stata accennata nella dichiarazione, è su come attuare le risoluzioni del Consiglio  Centrale e del Consiglio Nazionale palestinese, che riguardano le relazioni con la potenza occupante, gli accordi di sicurezza e quelli economici dell’“accordo di Parigi”.

L’Australian Center for Strategic Studies afferma, citando i think tank israeliani, che Hamas è stato “lucidato” per diventare un partner. D’altra parte, i rapporti indicano anche che ciò che è richiesto da Usa e Israele all’Autorità Palestinese è di proteggere solo la sicurezza degli occupanti, in modo che le due parti (Autorità e Hamas) finiscono per servire l’occupazione.

Hamas rifuta che le venga imputato di servire l’occupazione, ma anche se impedisce le operazioni militari e controlla i confini di Gaza con il ferro e il fuoco, non va oltre, così come l’ordine da parte dell’Autorità Palestinese di contrastare l’occupante con un coordinamento autoritario e di parte, infine si risolve in termini di autorità contro il partito. (Volente o nolente è soggetto al fatto)

I due partiti esulano dall’ambito dell’idea di “resistenza e opposizione armata”. Che si trasforma in amuleto attaccato al collo e viene convocato solo in certe occasioni, forse per soddisfare questa o quella parte regionale che cerca i propri interessi di egemonia.

La recente operazione di “Jihad islamica”, “l’unità delle piazze”, che è di fatto la frammentazione delle piazze nel 2022, è arrivata da Gaza a conferma del “perfezionamento” del secondo partner, Hamas, che ha non ha risposto agli attacchi israeliani lasciando il Jihad islamico da solo.

La firma dell’importante dichiarazione di Algeri, non ha suscitato alcuna attenzione particolare nelle strade palestinesi, su cui gravano preoccupazioni quotidiane, dagli attacchi terroristici dei colonizzatori / coloni e dalle violazioni del suo esercito terroristico a Gerusalemme, in tutta la Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Il corso della vita quotidiana in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza è un percorso innaturale poiché viene rosicchiato dall’assedio o dagli attacchi terroristici razzisti programmati senza sosta, quindi cosa faranno lì in Algeria? Domanda la gente.

L’amico pessimista Dr. Abdel Majid Swailem ha scritto sotto il titolo “la dichiarazione di Algeri non promette nulla di buono di alcun tipo” e dice: “lasciate che le organizzazioni mettano fine alla loro divisione nel modo che ritengono opportuno, perché il popolo non è affatto diviso, e non ha bisogno di porre fine alla divisione tra le fazioni.

Ciò di cui ha bisogno il popolo è svegliarsi, come è successo nella prima Intifada, e in molte altre fasi, come si è unito lo scorso maggio, e come sta cercando di ripetere l’esperienza di Sheikh Jarrah, oggi, a Shuafat.” E aggiungo, come a Nablus e a Jenin, Al Khalil e tante altri città, villaggi e campi profughi.

Spero di non essere pessimista, ma pessiottimista, come diceva un grande scrittore palestinese, Emile Habibi.

 

Dichiarazione di Algeri 13/10/2022

  • Confermando l’importanza dell’unità nazionale, come base per la fermezza e resilienza nel fronteggiare e resistere all’occupazione e realizzare gli obbiettivi legittimi del popolo palestinese, e l’adozione del dialogo e la consultazione per risolvere le divergenze inter palestinese, per l’adesione di tutti i patrioti all’Organizzazione per la Liberazione palestinese (OLP) unico legittimo rappresentate del popolo palestinese.
  • Stabilire il principio del partenariato politico tra le varie forze nazionali palestinesi, anche attraverso le elezioni, in modo da consentire un’ampia partecipazione alle imminenti sfide nazionali in patria e nella diaspora.
  • Adottare misure pratiche per raggiungere la riconciliazione nazionale ponendo fine alla divisione.
  • Rafforzare e sviluppare il ruolo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e attivarne le istituzioni con la partecipazione di tutte le fazioni palestinesi, in quanto è l’unico legittimo rappresentante del popolo palestinese con tutte le sue componenti e non ci sono alternative ad essa (l’OLP).
  • Il Consiglio nazionale palestinese sarà eletto in patria e all’estero, ove possibile, da un sistema di piena rappresentanza proporzionale secondo la formula concordata e le leggi approvate con la partecipazione di tutte le forze palestinesi entro un periodo massimo di un anno dalla data di firmare questa dichiarazione.

 L’Algeria esprime la propria disponibilità ad ospitare il nuovo Consiglio nazionale palestinese, che ha ricevuto il ringraziamento e l’apprezzamento di tutte le fazioni partecipanti alla conferenza.

  • Accelerare lo svolgimento delle elezioni presidenziali e legislative generali nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, compresa la città di Gerusalemme, capitale dello Stato palestinese, secondo le leggi approvate, entro un periodo massimo di un anno dalla data di firma.
  • Unificare le istituzioni nazionali palestinesi e mobilitare le energie e le risorse disponibili necessarie per attuare progetti di ricostruzione e sostenere le infrastrutture sociale per il popolo palestinese in modo da sostenere la loro fermezza di fronte all’occupazione israeliana.
  • Attivare un meccanismo per i segretari generali delle organizzazioni palestinesi, proseguendo la fine della divisione e realizzando l’unità nazionale e il partenariato politico nazionale.
  • Un gruppo di lavoro arabo-algerino supervisionerà e seguirà l’attuazione delle disposizioni di questo accordo in collaborazione con la parte palestinese, e l’Algeria gestirà il lavoro della squadra.

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1 Commento


  • Gianni Sartori

    25 OTTOBRE 2022: UN GIORNO QUALSIASI, COME TANTI, IN PALESTINA…

    Gianni Sartori

    Premessa. A volte sembra che le ben note – e altre meno note – traversie subite dal popolo palestinese lo abbiano collocato (anche se non c’è mai niente di definitivo) in un campo se non opposto perlomeno diverso da quello in cui versa il popolo curdo. Per fare due esempi evidenti, Turchia e Iran appoggiano (più o meno in buona fede, più o meno strumentalmente) i palestinesi mentre reprimono duramente i curdi. Così, sempre provvisoriamente , i curdi in qualche modo, talvolta sembrano schierati con alcune potenze imperialiste occidentali (USA, Francia…).

    E tuttavia, a mio modesto avviso, al di là di queste contingenze storiche, entrambi erano e sono prima di tutto popoli oppressi, martoriati, talora quasi sterminati.

    Quale che sia il boia di turno.

    Come mi spiegava una militante del MOVE (Ramona Africa) “quando ti trovi davanti a un’ingiustizia, l’importante non è la vittima (intendendo forse che non tutte e non sempre le vittime sono “perfette” in quel ruolo nda), ma l’ingiustizia”.

    A cui in qualche modo bisogna opporsi, perlomeno denunciandola. Schierarsi insomma. Sia con i curdi che con i palestinesi.

    Il 25 ottobre in Palestina è stato un giorno di ordinaria amministrazione, forse soltanto con qualche morto in più, oltre la media. Sei palestinesi sono rimasti uccisi e una ventina feriti a causa dei raid dei soldati israeliani in Cisgiordania, la maggior parte a Nablus.

    In un primo tempo il Ministero palestinese della Sanità aveva parlato di “tre morti e 19 feriti, di cui tre gravemente”.

    A questi si erano poi aggiunti altri tre, di cui uno sempre a Nablus, un altro a Ramallah e l’ultimo nel villaggio di Nabi Saleh.

    Al momento l’esercito israeliano non ha né confermato né smentito il tragico bilancio (solo l’uccisione di un esponente palestinese, Wadih Al Houh, sarebbe stata riportata dal Primo ministro Yaïr Lapid) confermando comunque di aver condotto una vasta operazione in collaborazione con la polizia. Stando a quanto dichiarato “contro alcuni laboratori in cui venivano fabbricate armi”. Laboratori gestiti, pare, da una organizzazione palestinese finora sconosciuta: Areen al-Oussoud (“La fossa dei leoni”), in memoria di un giovane militante palestinese, Ibrahim al-Nabulsi, soprannominato il “Leone diNablus” e ucciso dagli israeliani in agosto.

    Nel mese di ottobre gli scontri (i “disordini”) erano andati intensificandosi sia a Nablus che a Jénin e un po’ in tutta la Cisgiordania e in questo periodo – secondo l’Autorità Palestinese – una trentina di palestinesi e due soldati israeliani sono stati uccisi.

    Niente di particolarmente inedito comunque se si considera che quest’anno, da marzo, i raid israeliani avrebbero già causato un centinaio di morti. Stando a fonti onusiane, il bilancio più pesante da sette anni a questa parte.

    Va anche ricordato che proprio da Nablus in queste ultime settimane si erano registrati diversi attacchi anti-israeliani.

    I responsabili sarebbero alcuni raggruppamenti di giovani palestinesi solo in parte legati ai gruppi storici (Fatah, Hamas, FPLP,Jihad islamique…). In particolare la nuova organizzazione Areen al-Oussoud aveva rivendicato quindici giorni fa l’uccisione di un militare israeliano in Cisgiordania.

    Da parte del presidente palestinese, Mahmoud Abbas, è partita la richiesta di contatti urgenti con la controparte per “porre fine a questa aggressione”.

    Invece in un comunicato del 25 ottobre la Jihad islamica informava che violenti combattimenti si stavano svolgendo a Nablus tra suoi militanti e i soldati israeliani minacciando Israele di “rappresaglie contro questi crimini”.

    Al momento Nablus sarebbe interamente sotto controllo (anche con i droni) da parte delle forze israeliane che controllano e identificano chiunque esca dalla città e il coprifuoco è in vigore dall’11 ottobre.

    Sempre il 25 ottobre Amnesty International ha rivolto un appello alla CPI (Corte penale internazionale) affinché avvi un’inchiesta su possibili “crimini di guerra” commessi sia da Israele che dai combattenti palestinesi nella Striscia di Gaza nei mesi scorsi.

    In particolare tra il 5 e il 7 agosto quando, negli scontri tra esercito israeliano e Jihad che si erano svolti nell’enclave, almeno una cinquantina di palestinesi avevano perso la vita. E – come avviene sempre più spesso – non solo combattenti, ma anche civili tra cui alcuni bambini.

    Gianni Sartori

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