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Boeing malese: i giudici olandesi eseguono lo spartito yankee

Le sentenze, che siano interne o internazionali, oltre a denotare quasi sempre una marcata connotazione politica, hanno spesso anche una tempistica a dir poco “curiosa”.

Pressoché in contemporanea con la notizia dell’assassinio a sangue freddo, da parte delle forze ucraine, di oltre dieci militari russi fatti prigionieri, e come a risarcire Kiev per la figuraccia con le urla sul “missile russo” caduto in Polonia, zittite immediatamente dagli stessi padrini della junta nazigolpista, è arrivata puntuale la “sentenza” del tribunale olandese per l’abbattimento sopra il Donbass, nel luglio 2014, del Boeing malese, volo MH17, da Amsterdam a Kuala Lampur.

All’accusa, formulata oltre tre anni fa, è ora seguita la sentenza: dei tre cittadini russi e uno ucraino imputati per l’abbattimento del Boeing, in cui erano morte tutte le 298 persone a bordo, due russi e un ucraino – Igor Girkin “Strelkov”, Sergej Dubinskij e Leonid Kharčenko – sono ora stati condannati all’ergastolo in contumacia dal tribunale distrettuale de L’Aja.

Il quarto imputato, il russo Oleg Bulatov, è stato riconosciuto non colpevole, perché i giudici non sono stati in grado di stabilire se avesse avuto a che fare o meno col razzo “Buk” che avrebbe abbattuto l’areo di linea malese (il condizionale è opportuno, dal momento che tra le varie versioni, rafforzate da prove e testimonianze, c’era anche quella di un missile sparato da un caccia ucraino, il cui pilota era stato in seguito “suicidato”; Kiev aveva anche sostenuto che «il “Buk” russo è stato lanciato contro un aereo ucraino, colpendo per errore il Boeing»).

In ogni caso, va da sé che tutti e quattro gli accusati provengano dalla parte cattiva del fronte, secondo il copione scritto immediatamente dopo la tragedia di otto anni fa (e puntualmente rispecchiato nell’attuale sentenza), allorché la cosiddetta “commissione internazionale”, composta di tecnici olandesi, malesi, belgi, australiani e ucraini – quali parti in causa.

O per la nazionalità delle vittime, o perché Kiev, sul cui territorio era avvenuto il disastro, aveva delegato il caso all’Olanda – puntò il dito in prima battuta contro le milizie della DNR o, in alternativa, su un reparto missilistico russo sconfinato per la bisogna e immediatamente rientrato in Russia, escludendo categoricamente ogni responsabilità ucraina.

Nemmeno il rifiuto di Kiev di chiudere lo spazio aereo ucraino ai voli civili, quando l’aggressione al Donbass andava avanti già da alcuni mesi, è mai stata considerata una colpa della junta. E, però, nonostante gli “esperti” non abbiano mai preso in esame le indagini condotte dai tecnici della “Almaz-Antej”, produttrice del “Buk”, nemmeno nell’attuale verdetto ci sono riferimenti alla possibilità che il lancio del “Buk” riconduca in qualche modo alla Russia.

È stato un errore, si chiede Aleksej Zot’ev su News Front, l’aver consentito a esperti internazionali di accedere al luogo dell’incidente, «consegnando loro tutti i frammenti dell’aereo abbattuto, e privandoci così delle prove che confermassero la nostra estraneità?

Probabilmente no, dato che i parenti delle 298 vittime avevano il diritto di sapere come, perché e per colpa di chi fossero morti i loro cari. Allora, probabilmente ci rendevamo conto che tutto sarebbe stato rivolto contro di noi, ma, in quel momento, speravamo che la morte di così tante persone non sarebbe stata presa a pretesto per un così sporco gioco politico».

La Russia ha commesso un errore, scrive invece ColonelCassad, andando al guinzaglio dell’Occidente e consegnando le prove dalla scena del crimine, poi manipolate per accusare la Russia. Ma è un errore del tutto logico, legato ai tentativi di negoziare con l’Occidente a Minsk, quando invece non era già più possibile accordarsi. Purtroppo, a Mosca si è presa coscienza di tale impossibilità solo nell’autunno del 2014.

In sostanza, in tutti questi anni, ogni argomento avanzato da Mosca è stato deliberatamente ignorato per la faziosità del “tribunale”, riconosciuta anche, tra l’altro, dal Primo Ministro della Malesia come rappresentante della parte lesa.

Il vice direttore del Dipartimento stampa del Ministero degli esteri russo, Ivan Nečaev, ha dichiarato che Mosca commenterà il verdetto de L’Aja (la maggior parte dei passeggeri del Boeing erano olandesi) dopo averne esaminato dettagliatamente ogni sfumatura.

Il senatore russo Vladimir Džabarov ha dichiarato a tvzvezda.ru che il verdetto risponde alla volontà, espressa già otto anni fa, di incolpare la Russia, diffondendo le tesi di Kiev.

Il pilota militare russo, generale-maggiore Vladimir Popov, ha ricordato a Pravda.ru come la difesa aerea russa fosse stata in grado, già a sei mesi dall’incidente, di fornire materiali sull’utilizzo dello spazio aereo e del controllo del traffico aereo, mentre l’Ucraina non ha mai messo a disposizione informazioni speculari in tal senso.

Mosca aveva ricostruito, su modelli di velivoli simili al Boeing, varie possibili traiettorie di missili “Buk” e aveva messo a punto un quadro di calcolo pratico della dispersione dei frammenti dell’aereo; aveva fornito tutto il materiale alla commissione d’indagine, ma non aveva ricevuto risposta.

Popov ha lamentato che ai tecnici russi non sia mai stato permesso di opporre una propria versione a quelle occidentali e ha definito il verdetto de L’Aja una decisione «del tutto politicizzata, adottata su ordini dall’alto: comprendiamo che, detta in termini brutali, l’orchestra ha suonato sotto direzione americana».

Comunque sia, scrive Komsomol’skaja Pravda, la Russia non consegnerà i propri cittadini, dal momento che, dice il giurista Sergej Alekseev, il tribunale distrettuale de L’Aja non ha alcun rapporto con responsabilità penali di cittadini russi, che rispondono solo alla legge penale russa.

Se nelle loro azioni, afferma Alekseev, fosse stato riscontrato un corpo di reato, sarebbero stati giudicati secondo il codice penale russo in tribunali russi; questo non è avvenuto e quindi queste persone in Russia sono considerate innocenti e, in conformità al diritto internazionale, nessuno ha l’obbligo di consegnarle alla giustizia olandese.

Inoltre, le indagini sono state condotte secondo un unico scenario: quello più favorevole a Kiev, ammettendo al pool di indagine rappresentanti ucraini, ma non criminalisti russi.

Per quanto riguarda la formulazione “conflitto non internazionale”, contenuta nel testo della sentenza, questa «non ha nulla a che fare con la Russia, perché l’intero caso è stato esaminato senza la partecipazione dell’imputato. C’è stato un chiaro pregiudizio accusatorio: è stato violato infatti il diritto alla difesa, poiché nessuno degli imputati era presente».

Di più: il tribunale ha operato solo con copie delle registrazioni audio, video, foto presentate dai Servizi ucraini, ma nessuno ha mai visto gli originali.

Qualsiasi conclusione di questa “corte”, scrive ancora ColonelCassad, avrebbe dovuto essere riconosciuta da tempo come chiaramente nulla, dato che stiamo parlando di un tribunale in cui rappresentanti di paesi in guerra contro la Russia cercano di giudicare cittadini russi.

Con lo stesso successo, si possono riconoscere le decisioni della corte della Sharia del wilayat dell’ISIS in Africa occidentale, che condanna le azioni dell’esercito russo in Mali.

Si intende che Strelkov, Dubinskij, Pulatov e Kharčenko non hanno nulla a che fare con l’abbattimento del Boeing malese conclude ColonelCassad; potranno essere condannati solo se la Russia perderà la guerra, a Mosca andranno al potere dei collaborazionisti e li consegneranno, come furono consegnati i comandanti serbi dopo il rovesciamento di Miloševič.

A oggi, i giudici olandesi hanno diligentemente eseguito lo spartito composto là dove sono usi, come nel Deuteronomio, a ordinare tutte le cose che dovete fare.

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