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I Twitter Files svelano nuovi scheletri nell’armadio del “social preferito dai politici”

Ci sono nuove rivelazioni del “New York Times” sui cosiddetti Twitter Files. In un articolo il giornale riprende le denunce di Bari Weiss, ex editorialista del giornale fino al marzo del 2021, quando si dimise in polemica con la “virata illiberale della sinistra che spinge all’autocensura“.

La Weiss svela l’esistenza di un team di dipendenti di Twitter il cui scopo era “costruire liste nere, impedire ai tweet sfavorevoli di diventare di tendenza e limitare la visibilità di interi account o addirittura di argomenti di tendenza”.

Il nuovo padrone di Twitter, Elon Musk, sta letteralmente sguazzando in questo verminaio che svela diversi scheletri nell’armadio della precedente proprietà del social network.

Lo stesso Musk nei giorni scorsi ha licenziato il responsabile legale di Twitter ed ex responsabile legale del Federal Bureau of Investigation (Fbi), James Baker, accusandolo di aver censurato di propria iniziativa parte dei documenti, per celare il ruolo diretto dell’agenzia federale nell’insabbiamento dello scandalo riguardante il computer portatile del figlio del presidente Usa, Hunter Biden.

A riferirne in Italia è l’Agenzia Nova, secondo cui tra gli utenti finiti nella blacklist di Twitter era finito il professore dell’università di Stanford Jay Bhattachary, il quale sosteneva che i lockdown messi in atto per contenere la diffusione del Covid avrebbe potuto danneggiare i bambini (e per questo finito nella “trend blacklist” che impediva appunto ai suoi tweet di diventare virali). Oppure l’account di Dan Bongino, presentatore di un talk show finito nella blacklist perché dichiaratamente di destra.

Nel mirino dei censori di Twitter era finito anche l’attivista conservatore Charlie Kirk (esplicativa la nota interna “Da non amplificare” allegata al suo profilo). Un sistema organizzato e strutturato, insomma, tutt’altro che qualche caso sporadico legato alle intemperanze dei singoli account.

Secondo la giornalista del New York Times i vertici di Twitter definiscono questa policy come “Visibility Filtering” (più o meno “filtraggio di visibilità”) o VF.

Altro caso è stato quello della pagina “Libs of TikTok” (1,6 milioni di follower) sospeso sei volte ufficialmente per incitazione all’odio nonostante un documento interno dimostri che i gestori della pagina non abbiano mai violato il regolamento interno di Twitter.

Nella foto postata dalla giornalista americana si vede che proprio nella scheda di tale utente capeggiava in bella mostra il messaggio, in rosso, con scritto “Non prendere iniziative sull’utente senza consultare il Sip-Pes”, ovvero il “Site Integrity Policy, Policy Escalation Support,” il braccio operativo di questo tipo di operazioni.

Lo scandalo dei Twitter Files non sembra quindi limitarsi alla censura sulle notizie  relative agli affari del figlio di Biden in Ucraina. La vicenda si sta allargando a macchia d’olio e la stessa giornalista promette nuovi aggiornamenti a breve, anche grazie alla collaborazione offerta da altri colleghi e altre testate.

Sarebbe sbagliato rallegrarsi del fatto che la black list di Twitter colpisca personaggi noti della destra statunitense. Innanzitutto non sono i soli, basta pensare alle censure su ciò che riguarda la questione palestinese. In secondo luogo perché il sistema dei blocchi nella circolazione e delle black list sui social da tempo sta danneggiando seriamente la diffusione di informazioni e di molte testate, per esempio la nostra.

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1 Commento


  • Giovanni

    Siamo al controllo totale integrato, cosi’ come anticipato da G. Debord ( La societa’ dello spettacolo), il suo nome e’ “democratura”

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