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Vecchie e nuove sfide per l’esquerra independentista e anticapitalista catalana /3

Dopo l’analisi di Endavant, si propone di seguito una riflessione prodotta nell’ambito dell’altra principale organizzazione dell’esquerra independentista e anticapitalista, Poble Lliure. Si tratta di un articolo redatto da Xavier Oca, tra i dirigenti del gruppo, risalente alle prime settimane di guerra ma non per questo meno significativo.

Al netto di alcune scelte terminologiche imprecise, che possono dar luogo a malintesi (come nel caso dell’uso del termine impero), si tratta di una interessante analisi sullo scenario internazionale e sull’autodeterminazione dei popoli.

In particolare è da sottolineare la riflessione sullo sviluppo del nazionalismo ucraino, la critica all’indipendentismo socialdemocratico di ERC, allineata col governo spagnolo sull’invio di armi all’Ucraina, e la convinzione conclusiva secondo la quale la lotta contro lo strapotere finanziario delle grandi multinazionali e quella per l’emancipazione nazionale di popoli come quello catalano siano due facce della stessa medaglia: la medaglia mortifera del modo di produzione capitalistico.

Contro le guerre, gli imperi e i fascisti

di Xavi Oca, in La Veu (23/04/2022)

Un’invasione tanto stupida quanto criminale

Alla fine di febbraio, dopo mesi di tensione, Vladimir Putin annunciava un’operazione che a suo parere aveva l’obbiettivo di “smilitarizzare e defascistizzare l’Ucraina”. Ebbene ha ottenuto tutto il contrario.

Non cadremo nella trappola del pensiero unico e dai gazzettini bellicisti imposti dai media occidentali, pieni di perle quali “non ci addentreremo nel dibattito sulle radici del conflitto perché questo significherebbe fare il gioco di Putin”1, e spiegheremo invece come il colpo di stato del 2014 suppose un avanzamento terribile del processo di fascistizzazione dell’Ucraina e del dispiegamento della politica espansionista e militarista degli Stati Uniti, con la creazione di un protettorato de facto.

Detto ciò, non possiamo ammettere né tollerare, o giustificare in nessun modo, l’azione criminale perpetrata da Putin contro la popolazione civile ucraina. Invece di limitarsi a un’azione puntuale e difensiva, o come dicono i propagandisti di guerra a un’operazione chirurgica, per esempio contro le installazioni militari potenzialmente pericolose per la Russia, o contro i battaglioni neonazisti operanti in Ucraina, Putin si è lanciato in una invasione criminale del paese vicino, provocando la distruzione e la morte di migliaia di vite umane.

Vittime civili che sono paradossalmente in maggioranza russofone, abitanti delle città dell’est e del sud dell’Ucraina, proprio le zone dove c’era ancora un forte sentimento filorusso e dove la versione fascista del nazionalismo ucraino era molto minoritaria.

Ricordiamo per esempio che Kharkiv, la città più castigata dalla guerra, dette vita a manifestazioni di decine di migliaia di persone contro il colpo di stato del 2014, terminate con un massacro: l’assassinio di 12 manifestanti antifascisti per mano dei neonazisti ucraini2. Allo stesso modo Odessa, la città più russofona, più antifascista3 e più cosmopolita che si possa trovare ad est di Berlino, vive assediata dalle truppe russe.

Putin ha messo fine al sentimento filorusso di buona parte della popolazione ucraina, forgiato da secoli di coesistenza e cooperazione contro i comuni nemici (gli invasori polacchi e lituani, le orde mongole, le razzie tartare, l’oppressione zarista e l’invasione nazista) e ha risveglisto il sentimento di appartenenza all’Ucraina, perfino nei milioni di ucraini russofoni, disprezzati e insultati dal nazionalismo fascista ucraino4.

È così che, in una Ucraina dove buona parte della popolazione viveva con preoccupazione l’ascesa del fascismo (la qual cosa spiega la vittoria elettorale di Zelensky, un ebreo inizialmente sostenitore del negoziato di pace con la Russia che si è visto schiacciato dalla pressione del fascismo installato nell’apparato statale da un lato, e dalle minacce degli USA di togliergli il sostegno economico se non aderiva alla NATO dall’altro) Putin è riuscito a far sembrare i lupi come degli agnelli e di conseguenza a risvegliare la coscienza nazionale ucraina, incluso tra coloro i quali non vedevano finora alcuna contraddizione tra parlare russo ed essere cittadino ucraino, o perfino tra coloro che si sentivano di nazionalità russa.

E per quel che riguarda la smilitarizzazione, il fiasco è ancora più evidente. La NATO ha raggiunto quello che fin dall’inizio era il suo obbiettivo: smaltire lo stock di armi degli USA e militarizzare tutta l’Europa dell’est. Se la Russia non voleva una Ucraina militarizzata, ora si può ritrovare accerchiata dalle armi e dalle basi della NATO, perfino nei paesi tradizionalmente neutrali come la Finlandia o la Moldavia, e con una estrema destra russofoba decisamente rafforzata in Polonia, Lituania e Georgia.

Pertanto arriviamo a due possibili conclusioni: o Putin è uno sprovveduto, o siamo di fronte invece a una lotta tra imperi decadenti, tra oligarchie corrotte e militarizzate che hanno bisogno della guerra per cercare di perpetuare il proprio potere. Certamente sia al regime autoritario e estrattivo di Putin che alla NATO non sono mai importati né i diritti umani né i diritti dei popoli, a cominciare da quelli che si trovano sotto le loro grinfie.

Non solo: l’Europa e gli USA hanno usato storicamente e in maniera cinica la scusa dei diritti umani per sviluppare le proprie politiche imperialiste e guerrafondaie in Africa e in Medio Oriente, appoggiandosi sempre proprio ai settori più barbari e depravati dei paesi aggrediti, che hanno finito per perpetrare genocidi, instaurare dittature militari o teocratiche, portando lo stato al fallimento e diffondendo la morte, la miseria e gli abusi sistematici contro la popolazione.

Oggi il popolo ucraino (come come quello kurdo, siriano, somalo, amazic, libico e saharawi tra gli altri) è vittima di una geo-strategia criminale, di un calcolo economico dei fabbricanti di armi, dei magnati degli idrocarburi, degli speculatori arricchitisi con la privatizzazione dei settori strategici dell’economia o con il grande affare della “ricostruzione” che segue ogni guerra. Putin ha cominciato ufficialmente la guerra e la NATO ha ottenuto quello che cercava: recuperarsi politicamente e beneficiarsi del grande affare degli armamenti. Intanto l’UE affonda moralmente, politicamente e economicamente a causa della propria sottomissione suicida ai dictat degli USA, alla tendenza alla guerra e al neoliberalismo.

Menzogne e vergogne della propaganda di guerra

Il primo inganno del discorso bellico, che è divenuto in questi giorni pensiero unico nei mezzi di comunicazione occidentali, consiste nel presentare questa guerra come una lotta tra la democrazia e la dittatura, o “tra due maniere di essere e di stare al mondo”, come diceva il presidente spagnolo recuperando la vecchia idea dell’amministrazione Bush sull’asse del male e lo scontro di civiltà.

Procediamo con ordine: qualificare il regime instauratosi in ucraina di democrazia è un insulto alla realtà, alla storia e all’intelligenza. Ed è specialmente preoccupante che perfino settori indipendentisti o della cosiddetta sinistra continuino a negare un dato di fatto criminale: l’accelerazione del processo di fascistizzazione dell’Ucraina a partire dal colpo di stato del 2014.

Un po’ di storia: la Russia di Kiev fu il primo stato slavo (anche se fondato da guerrieri vichinghi) che occupava parte di quello che ora sono la Russia e l’Ucraina. La maggior parte di questo territorio patí l’invasione mongola dell’Orda d’Oro e successivamente quella tartara (le tribú turche di Timur) nell’epoca della Grande Orda, ma la parte più occidentale rimase indipendente finché non venne conquistata dalla Polonia (e dalla Lituania) che l’amministrò per secoli finché venne annessa all’impero Austro-Ungarico.

Questa parte più occidentale è la Galizia, una zona in cui il popolo ha sempre parlato ucraino, fin da quando quest’ultimo si formò come lingua (anche se non lo parlavano le elites polacche o tedesche). All’est e al sud le cose sono più complicate. Durante secoli gli slavi di questa zona, indipendentemente dal fatto che la loro lingua evolvesse verso il russo o l’ucraino, lottarono contro i tentativi espansionisti dei polacchi e contro l’occupazione e le razzie tartare.

Il sud fertile dell’Ucraina e della Russia, praticamente disabitato, era la terra dei cosacchi (i fuorilegge) che sopravvivevano al margine delle norme imperanti, delle razzie schiaviste e delle persecuzioni religiose, tanto dei polacchi come dei tartari.

La situazione si capovolse quando i cosacchi si organizzarono militarmente e si allearono con il nuovo stato slavo della Russia, divenendone la forza d’urto. I Tartari vengono sconfitti e viene favorito il ripopolamento di tutto il territorio a nord del Mar Nero e del Mar d’Azov con slavi (ucraini e russofoni) e popoli tradizionalmente perseguiti dai turchi: ebrei, armeni e greci.

Caterina la grande incaricò al proprio amante, il generale Potemkin, e all’ingegnere catalano Josep de Ribas, la costruzione del porto di Odessa, dove il russo divenne la lingua franca delle differenti comunità, culminando così l’espansione territoriale ed economica dell’impero russo, praticamente fino ai confini dell’impero ottomano.

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si produce un risveglio della coscienza nazionale ucraina, però in due rami paralleli e spesso contrapposti. Intorno a Kiev, città dall’intensa vita culturale, il personaggio di punta del nazionalismo ucraino è Taras Shevchenko, poeta e linguista che dota di norme e di dignità l’ucraino, considerato fino allora dalle elites come una lingua volgare (il piccolo russo).

Shevchenko, una specie di sintesi tra Pompeu Fabra e Joan Maragall (figure fondamentali per la lingua e la letteratura catalane – NdT), condivise la prigione con i rivoluzionari anti-zaristi russi e organizzò attorno a sé un nazionalismo di stampo progressista, integratore e radicalmente democratico. Alcuni anni più tardi, con la creazione della Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina, Shevchenko viene promosso al rango di eroe nazionale.

Nel frattempo in Galizia, in quel momento sotto il giogo austriaco, i nuovi occupanti favorirono l’apparizione di un nazionalismo assai particolare: profondamente suprematista, russofobo, antipolacco e antisemita, inspirato dall’idea secondo la quale gli ucraini non avevano niente a che fare con i barbari slavi, bensì erano un avanzato popolo europeo. Vi ricorda qualcosa?

Il leader di questo movimento fu il criminale di guerra Stepan Bandera, ammiratore dichiarato di Mussolini, che consegnò alla storia una frase epica: “nella nostra Ucraina non c’è spazio né per i russi, né per gli ebrei, né per i comunisti”5.

E bisogna riconoscere che fu coerente, dato che non si limitò alla frase: le sue milizie collaborarono strettamente con i nazisti nello sterminio di più di un milione di ebrei solo in Ucraina. Ebbene l’attuale regime ucraino ha fatto di questo energumeno il proprio eroe nazionale, e del suo catechismo fascista la propria fonte d’ispirazione principale.

Come abbiamo scritto in un precedente articolo, dopo anni di finanziamento e di riarmo da parte della CIA6, nel 2014 il movimento neonazista ucraino (insieme ai mercenari francotiratori) si rivela la forza d’urto utilizzata per perpetrare il colpo di stato, schiacciare la dissidenza e convertire l’Ucraina in un protettorato degli Stati Uniti.

Il prezzo per i servizi resi è la messa fuori legge del Partito Comunista Ucraino7, l’unico che si era opposto alle privatizzazioni e alla presa del potere da parte degli oligarchi, alla persecuzione del sindacalismo, alla chiusura dei mezzi di comunicazione in lingua russa, alla persecuzione delle lingue minoritarie nella Transcarpazia, alla nomina dei dirigenti neonazisti alle alte cariche dell’apparato statale, alla privatizzazione dei servizi pubblici per mano di organizzazioni affini a Pravy Sector e Svoboda, alla totale impunità delle bande neofasciste, al revisionismo storico culminato nell’esaltazione di Stepan Bandera come eroe nazionale, alla parziale negazione dell’olocausto, al considerare l’armata rossa responssbile dello sterminio degli ebrei e alla incorporazione dei battaglioni nazisti Azov e Aydar, responsabili di numerosi crimini contro l’umanità, nell’esercito ucraino (sottoforma di reggimenti).

Dov’è dunque lo schieramento democratico? Risposta: non lo cercate perché non c’è. Come abbiamo già detto, questa è una guerra tra imperi per i quali la democrazia è un intralcio.

Il secondo inganno consiste nel presentare l’Europa come il baluardo della democrazia impegnato nel conflitto. Una democrazia che non dubita a ricorrere alla censura, alla criminalizzazione della dissidenza e all’instaurazione di una dittatura mediatica manichea che riduce il giornalismo alla pura e semplice propaganda di guerra.

Così si taglia in un momento l’accesso ai mezzi di comunicazione che potrebbero spiegare una versione differente dei fatti o che potrebbero occuparsi di tutto quello che la propaganda occidentale nasconde sistematicamente, come la detenzione e il sequestro dei politici ucraini sostenitori della negoziazione e contrari all’ingresso nella NATO, come le numerose violazioni dei diritti umani compiute dalle milizie neonaziste ucraine, o come i campi d’addestramento del fascismo internazionale organizzati da questi gruppi, ora con le armi inviate dalla UE e dalla NATO8.

La guerra in Ucraina sta rappresentando la scusa per la fine del giornalismo indipendente in Europa Occidentale; e in questo senso basta vedere come la maggior parte dei media filo-atlantici mantenga il silenzio sulla carcerazione del giornalista Pablo González ad opera del governo polacco d’estrema destra mentre allo stesso tempo si straccia le vesti per l’assenza della libertà di stampa in Russia.

Persino opinionisti non sospetti di simpatie filorusse e tradizionalmente allineati a difesa del punto di vista atlantico (ad esempio come Pilar Rahola), hanno denunciato il tradimento dei valori fondamentali dell’UE che suppone “servirsi della scusa della guerra per sbarazzarsi della carta dei diritti fondamentali dell’UE e di conseguenza del trattato europeo sulla protezione dei diritti unani e delle libertà fondamentali, alla base del Trattato di Lisbona e che danno un senso all’Unione Europea“.

La censura e l’utilizzo sistematico dei mezzi di comunicazione come strumenti atti a giustificare la corsa al riarmo, risponde a uno schema autoritario e bellicoso che non ha niente a che vedere con la democrazia e richiama invece l’imperialismo e la propaganda manichea precedente la prima guerra mondiale.

Con la complicità necessaria dei media, la guerra è servita a differenti stati, governi, politici mediocri e satrapi europei per mascherare le proprie mancanze, tradimenti, promesse incompiute, casi di corruzione9, ed ha rappresentato la scusa perfetta per giustificare l’ingiustificabile: la rottura dell’ampio consenso attorno al divieto di inviare armi in una zona di guerra, un atto assolutamente vergognoso.

Tutti gli stati europei avevano accordato ufficialmente10 che l’invio di armi in una zona di guerra non aveva altro effetto se non quello di allungare inutilmente il conflitto, provocando la crescita del numero delle vittime e delle loro sofferenze.

Dopo la seconda guerra mondiale e alcuni decenni di lotte pacifiste, si era affermato il principio (opposto al gettare benzina sul fuoco) secondo il quale è necessario concentrarsi sulla protezione della popolazione civile e sullo sviluppo dell’azione diplomatica, aprendo spazi per il negoziato e terminare il prima possibile lo scontro armato.

Ebbene il consenso su questi principi se ne è andato a gambe all’aria, con l’aggravante del cinico impiego del Fondo Europeo per la Pace per aizzare alla guerra.

Oltre a prolungare il dramma dei civili ucraini direttamente interessati dal conflitto, la militarizzazione comporterà una punizione ancora più dura per le classi popolari di un’Europa alle porte di una grave crisi economica, con l’aumento della spesa destinata alla difesa (e prevedibilmente agli apparati repressivi), come sempre a scapito delle politiche sociali.

Mentre l’industria militare nord-americana si frega le mani riattivando la NATO e facendo grandi affari, l’Europa si relega al ruolo subordinato di periferia dell’impero. Non solo. L’Europa invia armi offensive senza sapere (o peggio, sapendo ma non dicendo) chi le riceve e quale uso ne farà. Attualmente è già stato accertato che buona parte delle prime spedizioni sono finite in mano ai raggimenti neonazisti che hanno usato le armi per massacrare il “nemico interno”.

L’altra grande vergogna di questa Europa in piena regressione è la doppia morale (se non il cinismo più sfacciato) con la quale affronta questioni così sensibili come le aggressioni militari (condannate o no), il riconoscimento dell’indipendenza e in particolare i rifugiati.

Mentre decine di migliaia di rifugiati causati dalle guerre della NATO e dei suoi alleati islamo-fascisti in Siria, Irak, Libia, Yemen e Afghanistan continuano sopravvivendo nei campi di concentramento in Grecia e in Turchia, lontano dai propri paesi distrutti da lunghi anni di guerra; mentre la Guardia Civil malmena a Sabta le persone in fuga dalla miseria e dalla guerra imposte dall’imperialismo in Africa; mentre organizzazioni come Mare Nostrum continuano la loro eroica missione di salvataggio a rischio di essere spesso perseguite dagli stati europei; mentre si è arrivati a imprigionare attivisti che aiutavano i rifugiati siriani denunciandone la vergognosa situazione, ora l’Europa si riempie cinicamente la bocca di solidarietà con le vittime della guerra.

Persino il governo razzista della Polonia ha la faccia tosta di presentarsi davanti al mondo come un esempio di democrazia e accoglienza.

Mentre la guerra in Ucraina occupa tutte le prime pagine, Israele approfitta per bombardare Damasco, l’Arabia Saudita per proseguire il genocidio in Yemen, le dittature del golfo per patrocinare il terrorismo islamo-fascista a nord del Mozambico, della Nigeria e del Sahel, tutto nella più assoluta impunità. Mentre l’Europa ha permesso due anni fa l’aggressione e la pulizia etnica perpetrata dall’Azerbaigian ai danni dell’Armenia; mentre ha permesso e perfino promosso, tergiversato, giustificato e occultato, i crimini commessi dai fascisti in Ucraina a partire dal 2014, ora la stessa Europa pretende di erigersi a paladino degli oppressi.

E’ un fatto che in quanto catalani dovrebbe interessarci: mentre alcuni referendum e alcune dichiarazioni d’indipendenza sono riconosciute, altre sorte in contesti spesso meno garantisti, sono disprezzate e calunniate, con il risultato che il riconoscimento dell’indipendenza di nuovi stati è legato più ad interessi geo-strategici e a rapporti di forza che non all’applicazione di criteri oggettivi e al rispetto delle regole democratiche.

I grandi pericoli che ci minacciano

Oltre all’articolo di Jordi Mambrú pubblicato dal quotidiano Ara, che denunciava l’esistenza a partire dal 2014 di campi d’addestramento di gruppi neonazisti in Ucraina (con la partecipazione di fascisti catalani e spagnoli) il giornalista Jordi Borràs11, specializzato in gruppi d’estrema destra, avvertiva alcune settimane fa del pericolo imminente rappresentato da una Ucraina convertita in quello che dieci anni fa fu la Siria.

Così come le armi inviate ai mercenari e agli insorti islamo-fascisti siriani convertirono il paese in un feudo dell’Isis e nel campo d’addestramento del terrorismo wahabita a livello mondiale, oggi l’Ucraina si sta convertendo nel campo d’addestramento del movimento neonazista europeo, armato dalla stessa Europa.

E così come gli psicopati wahabiti che dieci anni fa andarono ad addestrarsi e a combattere in Siria e tornarono a seminare il terrorismo e la morte per mezza Europa, allo stesso modo i nazisti che oggi si addestrano e conbattono in Ucraina (tra cui attualmente anche un gruppo di spagnoli e catalani) torneranno ai loro rispettivi paesi per seminare il terrore tra i dissidenti, gli omosessuali, i militanti della sinistra e gli attivisti sociali.

Sarebbe bene che tutto l’indipendentismo si rendesse conto della trappola del nemico, del repressore che un giorno indossa i panni del giudice, un altro quelli del militare, del giornalista, del poliziotto e del neonazista. Bisogna cambiare direzione, esigere la distensione e la smilitarizzazione del conflitto prima che noi stessi finiamo per esserne vittime.

Un pericolo ancora peggiore è che la NATO intenda la guerra in Ucraina come un preambolo, una prova e forse persino il detonatore di qualcosa di molto peggio: una guerra aperta contro la Cina, inevitabilmente catastrofica per l’umanità.

Il vertice della NATO del prossimo giugno a Madrid si inquadrava in questi termini già prima della guerra in Ucraina: come indebolire la Cina militarizzando l’estremo oriente, riarmando il Giappone12 e generando una spirale di provocazioni e conflitti ogni volta a scala più grande (manovre militari e missili strategici vicino ai grandi centri industriali cinesi, scaramucce e ostacoli al traffico marittimo nel Mar della Cina e nello stretto di Malacca, finanziamento di gruppi d’insorti, ecc.).

Malgrado il ruolo estremamente prudente e cauto giocato dalla Repubblica Popolare Cinese nella crisi ucraina, malgrado aver più volte manifestato il rispetto dell’integrità territoriale dell’Ucraina e la propria disponibilità alla mediazione, malgrado il proprio bilancio militare sia una decima parte di quello della NATO e malgrado la Cina non sia mai intervenuta militarmente fuori dai propri confini, la macchina bellica della propaganda atlantica si è già messa in moto, e dopo alcune settimane monotematiche sulla Russia è tornato all’ordine del giorno dei notiziari il chinabashing13.

In Ucraina oggi si affrontano due imperi decadenti. Da una parte gli USA (che si sostengono economicamente sull’industria di guerra e la rapina delle risorse energetiche e che perciò vedono questa guerra come la manna dal cielo) e l’Europa che, sottomessa agli interessi della NATO, non ha fatto altro che accelerare l’inevitabile crisi energetica ed economica.

Dall’altra la Russia, con una economia basata sull’esportazione degli idrocarburi e sulla speculazione, sequestrata da una casta estrattiva tanto o più vampiresca di quella occidentale. Imperi che hanno due aspetti in comune.

Il primo è l’involuzione autoritaria, caratterizzata dalla rinuncia ai supposti valori fondanti nel caso dell’occidente; e da un regime apertamente dispotico e oligarchico nel caso della Russia.

Il secondo è la necessità della guerra per sopravvivere, nel primo caso per mantenere l’industria militare e il saccheggio delle risorse naturali e energetiche necessario al funzionamento delle economie occidentali; nel secondo per evitare che i conflitti interni derivanti dalla quasi totale assenza di diritti e libertà la facciano collassare.

E preoccupa lo scenario di uno scontro con l’Asia, dove vive più della metà dell’umanità, e più in particolare con la Cina, dove si concentra una gran parte della produzione dei beni di consumo del pianeta, dove negli ultimi anni si sono susseguiti grandi progressi tecnologici, economici e sociali (con centinaia di milioni di persone riscattate dalla povertà), dove si è messo in pratica una politica internazionale pacifica che per la prima volta ha dato frutti positivi per lo sviluppo dei paesi africani saccheggiati da secoli dagli stati e dalle multinazionali europee.

Se la NATO ripete la strategia messa in pratica in Ucraina anche in estremo oriente, probabilmente non sarà necessario preoccuparsi per la crisi climatica (l’altra grande minaccia che grava sull’umanità) perché non vivremo abbastanza per vederne gli sviluppi. Fermare la deriva militare e la corsa al riarmo è oggi, una priorità ineludibile, una questione di pura sopravvivenza.

Cosa bisogna fare per una pace giusta e duratura

In conclusione proponiamo alcuni punti che ci permettano non solo di avanzare nel cammino della soluzione di questo conflitto ma anche in quello della prevenzione di nuovi conflitti militari e della costruzione di una pace giusta e duratura.

1) Promuovere la lotta per la smilitarizzazione e il disarmo. È necessario mobilitarsi contro gli interessi delle oligarchie, esigere la drastica riduzione della spesa militare, fermare la corsa al riarmo, chiudere le basi militari e i centri di detenzione e tortura della NATO14. È necessario proibire i droni assassini15 e l’esportazione e la ricerca di nuove armi di distruzione di massa.

2) Onu SI, Nato NO. È necessario esigere la dissoluzione della NATO e la fine del ricatto militare come strumento di costrizione politica ed economica, allo stesso tempo sostenendo la riforma e il rafforzamento dell’ONU nella prospettiva della prevenzione e risoluzione dei conflitti. È necessario creare un organismo multilaterale rappresentativo delle differenti realtà e dei diversi interessi in conflitto, dotato della legittimità necessaria a rivestire il ruolo di arbitro, a proporre soluzioni e se possibile sviluppare una corretta exit strategy.

3) L’autodeterminazione come strumento universalmente riconosciuto per la formazione di nuovi stati. Tutti i popoli del mondo devono disporre di un meccanismo democratico e riconosciuto internazionalmente per esercitare la propria sovranità, ovvero il diritto all’autodeterminazione. La comunità internazionale deve stabilire dei meccanismi oggettivi per rendere effettivo il diritto di ogni popolo a decidere il proprio futuro e a stabilire le frontiere dello stato, al d là degli interessi geo-strategici.

4) Il rispetto delle minoranze negli stati plurinazionali. Mentre perdura l’oppressione, la guerra è inevitabile. Nessun popolo può essere obbligato a vivere sotto il giogo di uno stato che gli è ostile. I popoli che fanno parte di uno stato purinazionale (per volontà propria, espressa in un referendum, o per la mancanza di una volontà politica che si proponga di esercitare il diritto all’autodeterminazione) devono avere garantita la protezione e la promozione della loro lingua e della loro cultura, nella prospettiva dell’eguaglianza. I loro abitanti e i loro territori non possono essere le vittime di un modello di sfruttameto ingiusto o coloniale.

5) È necessaria un’alleanza dei popoli e dei piccoli stati contro il potere degli imperi. La crisi ecologica che incombe sul pianeta, il ricatto economico, le mnacce e le aggressioni militari da parte dei grandi stati e delle grandi oligarchie sono le due facce della stessa moneta. Una alternativa al modo di produzione capitalista (basato sul saccheggio e sullo sfruttamento delle persone e delle risorse) è possibile solo a condizione di restituire la sovranità ai popoli. Solo una democrazia reale e di prossimità è una vera democrazia ed è più che mai necessario far valere gli interessi e i diritti delle comunità contro l’avarizia delle grandi multinazionali e dei macro-stati che le sostengono.

Per concudere, vogliamo ripetere e sottolineare le parole con le quali il compagno Albert Botran ha concluso il suo brillante articolo “Contro l’escalation bellica” pubblicato dalla rivista El Temps: «L’escalation bellica pertanto, non è la soluzione. Ritengo sia necessario ascoltare il movimento per la pace, così potente nel nostro paese, che da tempo avvertiva della presenza di queste tensioni.

Credo sia necessario recuperare lo spirito del 17 agosto 2017 (il giorno dell’attentato alla Rambla di Barcellona – NdT) che accanto al dolore e alla solidarietà riuscì a dare una lettura dei fatti all’insegna del rifiuto del razzismo e del business della guerra. Credo sia necessario sfuggire a questo “spirito del 1914” che esalta alcuni imperi contro altri e seguire invece l’esempio di coloro i quali si opposero a quella guerra, a costo di essere pubblicamente additati e repressi: Jaurès, Luxemburg e Lenin che, ricordiamolo, fu colui il quale aprì le porte all’autodeterminazione dell’Ucraina».

Traduzione di Andrea Quaranta

* Le altre puntate del dossier:

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/01/30/vecchie-e-nuove-sfide-per-lesquerra-indipendentista-e-anticapitalista-catalana-0156696

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2023/02/02/lautodeterminazione-leuropa-e-la-guerra-viste-dalla-catalogna-2-0156724

Note.

1 Frase pronunciata al programa Mes324 di TV3, la televisione autonoma della Catalunya.

2 L’intervista al giornalista Rafael Poch a Vilaweb dello scorso 3 febbraio è sufficiente per capire i fatti del 2014, alla radice di questo conflitto.

3 Odessa è una delle poche città che hanno resistito alla pressione esercitata per santificare il criminale di guerra Stepan Bandera e che mantiene vivo il ricordo dei partigiani, malgrado l’essere stata teatro del peggior massacro neonazista, con 57persone bruciate vive nel 2014 nella sede del sindacato.

4 Invece di ammettere il carattere plurinazionale dello stato ucraino, le famiglie stabilitesi da secoli sul teritorio sono state definite come famiglie di colonizzatori. Parallelamente, a partire dal 2014 si sono discriminate sempre di più le lingue rumena-moldava, rutena e l’ungherese della Transcarpazia.

5 Il libro Stepan Bandera: the life and afterlife of a ukrainian nationalist. Fascism, genocide and cult,dello storico di origine ebrea Grzgorz Rossolinski-Liebe, descrive dettagliatamente l’ideologia, l’azione e l’apologia della figura di Bandera da parte del nazionalismo fascista ucraino. Nel 2012 le presentzioni dell’opera in diversi centri culturali ucraini vennero cancelate in seguito agli attacchi dei neonazisti ucraini.

6 Il documentario Ucraina in fiamme, realizzato da Oliver Stone nel 2014, esamina il ruolo degli USA nel colpo di stato e la successiva organizzazione del regime ucraino.

7 Ricordiamo che proprio quest’ultimo aveva portato l’Ucraina all’indipendenza.

8 Come spiega l’articolo di Jordi Mambrú intitolato “L’Ucraina ha un problema con l’estrema destra?”, pubblicato dal quotidiano ARA il 14 marzo 2022.

9 Così a scala locale, la guerra in Ucraina è servita al presidente della Generalitat Pere Aragonès, sempre più nei panni di governatore spagnolo della Catalunya, come scusa per allinearsi a Pedro Sánchez con l’invio di armi in Ucraina (fatto che stravolge la tradizione antimilitarista catalana) e per sviluppare ancora più impunemente la strategia autonomista di ERC e di tutto il governo che normaliza e stabilizza il regime borbonico.

10 Ció non toglie che alcuni stati, come per esempio il regno di Spagna, abbiano aggirato l’ostacolo con scuse meschine, come nel caso dell’aggressione genocida dell’Arabia Saudita allo Yemen.

11 Intervista a Vilaweb del 28 febbraio 2022.

12 Governato, è bene ricordarlo, dalla destra ultranazinalista, che nega i crimini mostruosi commessi dal Giappone durante la seconda guerra mondiale.

13 Il chinabashing è la guerra propagandística e psicológica avviata inizialmente dall’estrema destra nord-aericana e oggi vero e proprio credo dell’insieme dei mezzi di comunicazione occidentali, che consiste nella manipolazione sistematica di ogni informazione relativa alla Cina, denigrando e criminalizzando tutto ciò che fa questo paese.

14 Molti dei capi combattenti islamo-fascisti ella Siria e del Libano erano stati riprogrammati nei centri di detenzione di Guantanamo e del Kossovo.

15 A partire dai governi Clintom, Obama, Biden, il loro uso sistematico ha causato l’assassinio di migliaia di civili da parte degli USA, senza che quest’ultimi mettessero a repentaglio la vita delle proprie truppe, riuscendo così a normalizzare la barbarie e la morte di persone innocenti senza suscitare lo sdegno della società nord-americana.

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