L’AIEA (Agenzia internazionale per l’energia atomica) aveva denunciato che circa 2,5 tonnellate di uranio naturale erano sparite da un sito in Libia. Il quotidiano libico “Al Wasat”, riferisce però che l’esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar ha fatto sapere che l’uranio dato per disperso dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) è stato ritrovato nei pressi del sito da cui era scomparso. I fusti di uranio sono stati ritrovati a 5 km di distanza dal precedente deposito. Ma adesso sono in mano alla fazione rivale del governo centrale di Tripoli.
Gli ispettori dell’Aiea martedi scorso avevano scoperto che 10 container con circa 2,5 tonnellate di uranio naturale sotto forma di concentrato di uranio (yellowcake) “non erano più dove le autorità avevano dichiarato che fossero”. Nessun dettaglio era stato fornito sul sito in questione.
La Libia ha abbandonato il suo programma di sviluppo delle armi nucleari nel 2003, durante la leadership di Gheddafi. Dopo il colpo di stato che l’ha deposto nel 2011, il Paese è precipitato nel caos politico e militare con due governi si contendono attualmente il potere, uno a Tripoli, l’altro a Tobruk.
Attualmente l’Africa riveste un ruolo di primo piano nelle attività estrattive di uranio a livello planetario. Secondo i dati pubblicati nel settembre scorso dalla World Nuclear Association e riferiti al 2020, sono 3 i Paesi africani inclusi nella classifica dei primi venti produttori mondiali: Namibia al terzo posto con 5.413 tonnellate, il Niger che si attesta al sesto posto con 2.991 tonnellate, segue poi in undicesima posizione il Sudafrica con 250 tonnellate.
Il Niger, che per anni è stato il leader africano nella produzione di uranio, dal 2016 è stato superato dalla Namibia.
In Niger opera la multinazionale francese Orano (ex Areva) che è azionista di maggioranza della Somaïr (Societé minière de l’Aïr con il 66 per cento delle quote) e della Cominak (Compagnie Minière d’Akouta con il 59 per cento), gestendo rispettivamente le miniere di Arlit e Akouta, cittadine della regione nordorientale di Agadez, a cui è stata attribuita fino al 2020 tutta la produzione nigerina. Sebbene in questo Paese sia avvenuta, nel marzo scorso, la chiusura per esaurimento della miniera di Akouta, la Orano si è impegnata presso il governo di Niamey a sviluppare un nuovo sito, quello di Imouraren.
La società russa Rosatom ha deciso invece di portare avanti il progetto di sfruttamento dell’uranio nella zona di Mkuju River, situata nel settore meridionale della Tanzania, non lontano dal confine con la provincia mozambicana di Cabo Delgado. Già nel decennio scorso era stata avviata una proficua collaborazione tra il governo di Mosca e quello tanzaniano attraverso la società Uranium One, divisione mineraria internazionale della Rosatom.
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