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Monika, il Che e Osvaldo

…O VICTORIA O MUERTE!

La mattina del primo aprile 1971, ad Amburgo, l’aria è tiepida ma un po’ umida, perché piove spesso…

C’è una donna elegante, con gli occhi azzurri e i capelli biondi che a guardarli da vicino rivelano un’attaccatura strana, non naturale.

Sta di fronte all’ambasciata boliviana, ci rimane appena un secondo, prima di entrare con passo sicuro.

Forse traballa un poco sui tacchi, che non sono alti, ma lei non è abituata.

Con un tedesco perfetto, la voce profonda e una dizione misurata, chiede di poter parlare con il console Roberto Quintanilla Pereira, dice di aver bisogno di una consulenza per un visto per la Bolivia.

Attende qualche istante, fino a che sente la porta dell’ufficio aprirsi.

Quintanilla è impeccabile, sorride più del dovuto a quella donna bella e giovane che gli viene incontro. Ma il suo sorriso, che vuole essere seduttivo, dura poco, perché la donna bella e giovane tira fuori un pistola, spara tre colpi e lo uccide.

La moglie di Quintanilla sente gli spari, corre verso l’ufficio del marito, e viene travolta dalla giovane in fuga.

La ragazza perde la parrucca, la borsetta e la pistola.

Esce dall’ambasciata e scompare.

Lei, la ragazza, si chiama #MonikaErtl, tedesca espatriata in Bolivia insieme alla famiglia.

Il padre, Hans, ha fatto parte del regime nazista molti fine della guerra.

Uno dei più intimi amici della famiglia Ertl è Klaus Barbie, soprannominato da Monika e dalla sue sorelle zio Klaus, noto anche come il Boia di Lione, per la pervicace pratica di sterminio e deportazione di ebrei e patrioti francesi.

A volte, tagliare le radici non è solo un modo per diventare adulti.

A volte, tagliare le radici significa strapparsi di dosso quello che si è destinati a essere, e tranciare di netto parti di sé come si farebbe con un arto, un braccio o una mano che non riconosciamo più.

Le famiglie alle quali apparteniamo sono pezzi che si insinuano nel nostro corpo e tentano di modificarlo e, a volte, non possiamo fare a meno di odiarle con tutto il furore possibile.

Così Monika, quel mattino di aprile, spara tre colpi sul corpo di Quintanilla.

Sulla scrivania del console viene trovato un biglietto che dice: «O VICTORIA O MUERTE», con sotto la sigla ELN, Esercito di Liberazione Nazionale boliviano.

Il compagno di Monika, #GuidoIntiPeredo, uno dei capi dell’ELN, era stato guerrigliero insieme al #CheGuevara durante il periodo boliviano, prima di essere ucciso nel settembre del 1969.

Assediato dalla polizia, viene catturato e torturato anche dall’uomo che qualche anno dopo sorriderà alla sua donna nella tiepida mattina di aprile ad Amburgo.

Ma non solo.

Anni prima, sempre impeccabile, Quintanilla è colui che presenta il cadavere del Che alla stampa e dopo gli mozzerà le mani.

O VICTORIA O MUERTE

Quando Monika è vicina alla morte forse lancia uno sguardo al suo aguzzino, senza dire una parola.

Niente si sa di come avviene la sua fine.

Braccata dai servizi boliviani, dopo essere stata nascosta per due anni con una taglia sulla testa, cade forse assassinata durante uno scontro a fuoco o forse sfinita dopo ore di torture.

I suoi resti, nonostante le invocazioni paterne, non vengono mai restituiti.

Sotto la lapide con il suo nome non c’è nulla.

Si dice, ma tutto è confuso dalle frane d Storia e dal silenzio di chi è ormai morto o di chi non ha mai raccon to, che chi organizzò l’imboscata e la sua uccisione fu proprio que Klaus, immischiato nelle trame del regime boliviano.

Klaus Barbie morirà negli anni Novanta, dopo essere stato estradato in Francia per il processo sui crimini di guerra commessi.

Muore vecchio e malato di cancro, dopo pochi anni di carcere.

O VICTORIA O MUERTE

La pistola che Monika usa per vendicare Guevara e Peredo le è stata procurata da #GiangiacomoFeltrinelli

* da Facebook

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