La presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, è sbarcata mercoledì a New York, dove è rimasta anche tutta la giornata successiva. La sosta negli Stati Uniti è solo uno scalo in una missione di dieci giorni che ha al centro la visita al Guatemala e al Belize.
Dopo che l’Honduras ha deciso di rompere i legami con Taipei in favore di Pechino, l’esponente politica dell’isola ha deciso di rinforzare i legami con due degli ormai soli 13 paesi a riconoscerne la sovranità (tra cui il Vaticano). Ma è evidente che al centro dell’attenzione internazionale vi è il legame con Washington.
Il portavoce del Consiglio di sicurezza USA ci ha tenuto a sottolineare che quella di Tsai è una visita ufficiosa e di carattere privato, la settima peraltro dal suo insediamento nel 2016. Allo stesso tempo non è sfuggito a uno sguardo attento che tale viaggio è il primo da tre anni a questa parte: la causa è di certo il Covid, ma avviene oggi in una fase di grande tensione.
Zhu Fenglian, portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwan del governo cinese, ha affermato che si tratta di “un’altra provocazione in violazione del principio della «Unica Cina», minando la sovranità e l’integrità territoriale della Cina, e la pace e la stabilità”. Preoccupazione alimentata dalla volontà della Casa Bianca di rafforzare il partenariato, anche militare, con Taipei.
Ciò che però più critica Pechino è la possibilità di un incontro con il presidente della Camera statunitense, Kevin McKarthy. Il faccia a faccia oltreoceano farebbe da surrogato della visita dello stesso McKarthy sull’isola, pur mantenendo questa ipotesi. Ad ogni modo, il governo cinese ha fatto sapere che nel caso verranno adottate “risolute contromisure”.
Probabilmente Tsai Ing-wen un po’ ci spera. Nella sua missione diplomatica ci sono infatti evidenti motivi elettorali, essendo le presidenziali a meno di un anno di distanza. Prima della scorsa tornata, le scintille con la Cina avevano permesso al suo partito di conquistare il paese, mentre ora la sua presa si è indebolita nei confronti del Kuomintang.
Contemporaneamente si sta inoltre svolgendo un altro evento storico. Il predecessore dell’attuale presidente, Ma Ying-jeou, appartenente proprio al Kuomintang, si trova nel pieno della prima visita in Cina di chi ha rivestito un tale ruolo a Taipei. Nonostante sia ormai in pensione e si tratti di un viaggio informale, lontano dai centri del potere, è di certo un segnale importante.
Tornando all’incontro con McKarthy, esso potrebbe avvenire anche sulla via del ritorno, a Los Angeles. Intanto, giovedì la politica taiwanese ha ricevuto il Global Leadership Award, un premio dell’Hudson Institute, già consegnato dal think tank conservatore a personaggi come Kissinger, Reagan e l’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe.
Ma ancora più interessante è stata sicuramente la cena della sera precedente, insieme a oltre 700 connazionali espatriati. Nel suo discorso, la presidente ha ribadito che il Giappone così come molti paesi europei vogliono lavorare con Taiwan sulla ristrutturazione delle catene di approvvigionamento globali. È chiaro che si parla delle sfide future della filiera dei microchip.
Oggi Tsai Ing-wen lascerà il suo albergo, sotto il quale ci sono state anche proteste con manifestanti sventolanti la bandiera della Cina comunista, verso l’America Centrale. Alcuni funzionari statunitensi hanno fatto sapere che a conclusione del viaggio del capo di stato della piccola isola potrebbe aver luogo una telefonata tra Biden e Xi Jinping.
Che ciò servirà a stemperare la tensione nel Pacifico è difficile, considerato che anche Ursula Von Der Leyen, in vista dell’incontro che avrà tra qualche giorno col segretario comunista, ha criticato l’atteggiamento di Pechino sul dossier Taiwan.
Sembra invece che quel settore sarà sempre più una «cintura di fuoco», non più solo per la sua attività sismica e vulcanica, ma anche a causa della centralità nella competizione internazionale.
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