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Trump incriminato, l’America incartata

Occuparsi del caso Donald Trump ha senso soltanto se lo si guarda come una delle manifestazioni più evidenti della crisi statunitense.

Sarebbe inutile e anche noioso ripetere tutti i dettagli di cui sono pieni i media mainstream, anche italiani. Specialmente per chi è vissuto da adulto in questo paese negli ultimi 30 anni è impossibile non vedere le somiglianze tra il “caso Trump” e il “caso Berlusconi”. Il deja vu non lascia scampo…

E non stiamo parlando degli aspetti boccacceschi o degli interventi chiaramente incostituzionali (dal rifiuto di riconoscere l’autorità della legge, e quindi della magistratura, all’uso del potere politico per scopi anche personali, ecc), ma proprio dell’irruzione nella “dialettica politica parlamentare” di una variabile imprevista, estranea alla sua logica ed eversiva del sistema di potere stesso.

Ricordiamo che “eversivo” è il termine che qualifica l’azione distruttrice svolta da chi è dentro il sistema di potere, mentre quando l’azione arriva da interessi posti fuori del sistema la giusta definizione è “sovversivo”. O rivoluzionario, insomma.

Non a caso sia nel caso di Trump che in quello di Berlusconi si è parlato molto di “pericolo fascista”, anche perché entrambi hanno sdoganato sia pratiche politiche, sia l’ideologia più reazionaria dei rispettivi paesi, che però hanno referenti sociali e storie istituzionali diverse.

Ma non c’è dubbio che gli Stati Uniti siano decisamente più centrali nell’”ordine mondiale”. E quindi le convulsioni degli States assumono una rilevanza assoluta che è impossibile ignorare.

Com’è noto ieri Trump è apparso davanti al Tribunale di Manhattan, a New York, dove ha ascoltato l’elenco dei 34 capi di imputazione a suo carico (tutti di categoria “felony”, con pena massima a 4 anni di carcere), consegnato le proprie impronte digitali e poi è tornato in Florida dove ha tenuto il suo inevitabile comizio travestito da conferenza stampa senza domande.

Ha ovviamente accusato i suoi accusatori: il procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg (“un magistrato sostenuto da Soros), il giudice Juan Merchan che ha presieduto all’udienza di incriminazione (un “odiatore professionale di Trump”), lo Special Counsel Jack Smith (che guida l’inchiesta sui documenti top secret portati dalla Casa Bianca nella sua residenza privata di Mar-a-Lago), Letitia James (l’attorney general democratica e afro-americana dello Stato di New York che ha guidato l’inchiesta sui beni della Trump Organization che sarebbero stati sovrastimati per ottenere prestiti bancari). E via maledicendo…

Tutto già visto anche in Italia, certo, ma pesa anche la differenza tra i sistemi giudiziari. Negli Usa “l’accusa” (il Procuratore, ai vari livelli) non è rappresentata da un magistrato, ma da un “civile” che viene nominato alla carica dopo una campagna elettorale uguale a quella per le cariche politiche.

Quella di procuratore, del resto, è quasi sempre il primo gradino della carriera politica per gli aspiranti a cariche più importanti.

E’ quindi facilmente dimostrabile – o comunque molto convincente – che nel caso di personaggi politici, e massimamente in quello di presidenti o ex degli States, i procuratori si muovano sulla base di finalità politiche, utilizzando il codice come un’arma.

Era accaduto anche per Bill Clinton, addirittura mentre era ancora in carica, sottoporsi agli imbarazzanti interrogatori sui suoi “rapporti inappropriati” con una stagista…

E qui si arriva rapidamente alla battaglia già aperta per le prossime elezioni presidenziali (il 5 novembre del prossimo anno), con Trump che prova a rappresentare ancora una volta la parte “invisibile” del paese contro i rappresentanti dell’establishment, sbrigativamente classificati tutti come “democratici”.

Il passaggio preliminare è però eliminare i concorrenti all’interno del partito repubblicano. E in effetti ha costretto il governatore della Florida, De Santis, nonché i “moderati” storici come Mitt Romney a schierarsi seppur tiepidamente dalla sua parte. Poi ci sarà eventualmente lo scontro bis con Joe Biden, già accusato di volere la terza guerra mondiale (in un certo senso è perfino vero…).

A questo scopo il processo per aver comprato il silenzio di una pornostar – che dovrebbe svolgersi praticamente in contemporanea con la campagna elettorale per le presidenziali – può essere per Trump sia una possibilità che un problema.

Lo ha capito bene il procuratore di Manhattan che, contrariamente alle consuetudini, non gli ha fatto scattare le foto segnaletiche, privandolo di un’immagine forte da “perseguitato” da utilizzare sui manifesti e negli spot.

Ma il problema, ripetiamo, non è se Trump può di nuovo correre per la Casa Bianca e magari rivincere. Il problema è che la “democrazia statunitense”, quella narrata al mondo come l’esempio migliore di un sistema politico che maschera il potere di pochi sotto forme “liberali”, è da tempo scossa dalle fondamenta.

Perché un pagliaccio furbastro come “The Donald” non avrebbe alcuna possibilità di far politica o sfuggire al carcere se non ci fosse una metà del paese che lo vede – da ciechi, certo – come una possibilità di riscatto o tutela contro poteri oscuri, ma certamente fortissimi.

E’ questa capacità di rappresentare strumentalmente interessi sociali calpestati a costituire la forza dei reazionari come Trump nella loro resistibile ascesa alla testa di un paese.

E’ un sistema di potere  fondato sul massimo arricchimento di pochi che infoltisce le schiere degli impoveriti, e al tempo stesso reprime o ostacola con ogni mezzo (dalla polizia all’esclusione dai media) ogni loro possibile rappresentanza autentica (dal sindacato ali partiti politici), a produrre la fine della “dialettica politica” restringendola ad un’alternanza tra uguali.

Inevitabile che da questa tenaglia possa uscir fuori solo qualche “joker” ben inserito nella classe dominante ma pronto a sfruttare ogni opportunità per scopi non proprio “sistemici”. Un “eversore”. Insomma, un reazionario…

Ma che la finta “democrazia parlamentare” non sa bene come contenere, incartandosi tra richiami alle regole o a princìpi morali mai peraltro rispettati. Che Trump vinca o perda, insomma, il gioco politico è ormai cambiato. E la tentazione di preservare la “stabilità” con l’accentramento del potere in poche mani, intoccabili, non può che peggiorare la crisi (anche di rappresentanza).

Avviene lo stesso in Finlandia, in Italia, in Francia, in Spagna. Ecc.

Che avvenga negli Stati Uniti, però, è tutt’altro che un dettaglio…

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6 Commenti


  • Eros Barone

    Il carattere morboso dei sintomi della “crisi organica” evocati da Gramsci e il malcontento diffuso non sono caratteristiche peculiari della situazione politica statunitense, poiché sono comuni a tutto il mondo capitalistico: da Boris Johnson nel Regno Unito a Bolsonaro in Brasile, da Modi in India a Viktor Orbán in Ungheria, da Duterte nelle Filippine a Duda in Polonia, da Macron a Conte l’insoddisfazione popolare ha generato profonde mutazioni rispetto alla tradizionale fedeltà verso i partiti politici che hanno retto il potere dopo la seconda guerra mondiale. La sinistra opportunista dovrebbe interrogarsi sulle proprie responsabilità a partire dalle false promesse, dai fallimenti, dalla corruzione e dai cedimenti che hanno offerto tanto spazio all’avanzata del processo di fascistizzazione, incrementando sia il populismo reazionario di Salvini e del M5S sia il neofascismo della Meloni. Karl Marx, nel suo saggio sul Secondo Impero, “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte”, analizza un personaggio storico, Napoleone III, che assomiglia fortemente a Trump così come a Berlusconi. Anche allora a chi considerava Napoleone III come un gigante e a chi, inversamente, ne faceva una necessità della storia Marx replicò che il suo saggio mostrava come la lotta delle classi avesse creato “delle circostanze e una situazione” che avevano permesso “a un personaggio mediocre e grottesco di far la parte dell’eroe”. Al di là di Trump e del trumpismo senza Trump su cui si è orientato Biden nello sforzo inevitabile di far valere una vittoria di Pirro e di ricomporre le fratture che stanno disgregando le basi del blocco di potere su cui si è retto finora il capitalismo americano e la sua proiezione imperialista, restano dunque, inaggirabili e gravide di pericoli non solo per gli Stati Uniti ma per tutto il mondo, la “situazione” e le “circostanze” della crisi americana.


  • giancarlo+staffolani

    segnale chiaro della crisi inevitabile che investe anche ii centro dell’impero d’Occidente

    Trump incriminato, l’America incartata –
    Contropianohttps://www.retedeicomunisti.net/2022/06/01/loccidente-deve-cadere-affinche-lumanita-possa-progredire/?fbclid=IwAR3yduQU4i95JNA9eTd9dB8LGjnl3xpxbAeBbN7j8Ml_JKhYjM2QMDcPp0E


  • antonio

    su Limes – dal titolo “America” – è posta in notevole evidenza come il “conflitto storico” che pervade gran parte degli statunitensi è dovuto a una semplice, piccola e banale parola (un sostantivo?): “are” = sono; e “is” = é! Quindi il problema starebbe proprio nel significato reale di questa parola perchè: gli Stati Uniti “sono” una nazione invece di: gli Stati Uniti “é” una nazione. La differenza – a seconda dello “spirito” che interessa o pervade i soggetti in campo – non è di poco conto; poiché “are” vuol dire diversità di popoli; luoghi e stati ; mentre “is” sta a significare: unicità! Gli Usa “è” uno stato e una nazione; non: gli Usa “sono” un’insieme di nazioni e stati! Capita la differenza e l’antifona capoccioni? Questa nazione, paese; insieme di individui ecc.. ecc.. – si sta “scannando letteralmente” dalla guerra civile (12 aprile 1861 al 23 giugno 1865) per una parola. E’ chiaro quindi il perchè un “soggetto” – come Trump o simili – che appaiono oggi sulla scena politica internazionale hanno simile attenzione e …”curiosità”! Capito èh?
    Legetevi Limes n°11/2022


  • maria bonatti

    Bisogna essere molto cauti sul personaggio Trump. Infatti secondo gli ultimi sondaggi Trump viene considerato il miglior presidente republicano dopo Lincoln ed uno dei migliori nella storia americana. Va ricordato che Trump non ha fatto nessuna guerra (le guerre sotto il suo mandato sono iniziate dai suoi predecessori).


    • Redazione Contropiano

      Di ogni personaggio va preso l’intero, non solo la parte che ci dà meno problemi…
      Vale anche per Trump, ovviamente, che resta un pagliaccio…


  • marco

    @Maria Bonatti: infatti Trump è talmente pacifista che fece uccidere il generale iraniano Soleimani in un aeroporto iracheno con una vera e propria esecuzione extragiudiziale. Ha spostato l’ambasciata statunitense a Gerusalemme. Parlava del covid come del “virus cinese”. Insomma, proprio quello che si può definire una “colomba” sullo scacchiere internazionale…

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