Proseguiamo con la rassegna dei contributi critici alla “strategia” statunitense degli ultimi decenni elaborati all’interno degli stessi Stati Uniti. “Pensatori” conservatori e democratici su questo punto sembrano essere quasi completamente d’accordo. Una curiosità che segnala come l’evidenza della caduta di egemonia sia tale da costringere a rifletter su come ci si è arrivati, quanto meno.
Un atteggiamento che non è ancora stato “consigliato” ai nostri opinion maker da operetta – dai Rampini ai Giannini, dai Galli della Loggia ai Sallusti – che proseguono imperterriti nella recita dello stesso copione.
Se usciamo dalle considerazioni generali per entrare in qualche dettaglio strategico rilevante la differenza appare solare. Le sanzioni, per esempio.
Decise dagli Usa e dalla Nato, applicate solo dall’Unione Europea e qualche altro stato in giro per il mondo (di rigorosa obbedienza euro-atlantica) dovevano – così veniva assicurato – mettere in ginocchio la Russia in poche settimane.
Nonostante la previsione, dopo un anno, risulti chiaramente sballata, abbiamo ancora tale Jens Stoltenberg – investito dell’incarico di segretario della Nato, decisamente eccessivo per i suoi neuroni o la sua dignità personale – che continua ad assicurare che l’ultimo “pacchetto di misure” definito in qualche stanza immancabilmente avrà il magico potere di ottenere quel risultato (il tracollo russo) fin qui fallito.
Non c’è nulla di sorprendente. In ogni guerra, se le cose non vanno bene, viene ciclicamente presentata un’”arma fine di mondo” in grado di rovesciare le sorti del conflitto.
Faceva così Hitler con le V1 e le V2 in grado di raggiungere Londra, è stato fatto in questa guerra con gli Himars, i Patriot, i Leopard e altri armamenti poi dimenticati.
Ma le sanzioni restano sempre “decisive”. Vuoi perché è sempre possibile firmarne un nuovo elenco (al contrario che con le armi, che vanno – ahiloro – prodotte fisicamente), vuoi perché gli effetti sono per definizione più avanti nel tempo, non immediati.
Ma quanto in là nel tempo?
A ben vedere – spiega questo articolo apparso sulla rivista Usa American Thinker – quel tempo non arriverà mai. Per il buon motivo che la Russia attuale appare quasi “invulnerabile” ai vari pacchetti sanzionatori (nonostante le requisizioni di beni finanziari nelle banche occidentali e altri asset societari o fisici basati in Occidente).
Alla radice del fallimento c’è proprio la caduta di credibilità dell’Occidente nei confronti del resto del mondo, checché ne dicano i Mentana e gli altri meno presentabili spacciatori di idologia servile.
Le sanzioni euro-occidentali non vengono adottate da nessun altro. I vincoli posti dal dollaro e dal controllo dello Swift (il sistema di pagamenti elettronici, controllato da Washington) vengono ormai apertamente aggirati praticando scambi commerciali in altre monete (clamorosa, in questo senso, la decisione dell’Arabia Saudita, che cancella uno dei pilastri dell’egemonia finanziaria statunitense: i petrodollari).
In questo modo, però, in pratica l’Occidente si è auto-sanzionato. Ha perso le forniture di materie prime energetiche a buon mercato provenienti dalla Russia; ha importato inflazione che affronta – neo-liberisticamente – con strette monetarie che portano alla recessione; ha frammentato il mercato mondiale perdendo i privilegi prima assicurati dalla “globalizzazione” del libero commercio; è costretto a cercare di re-internalizzare una lunga serie di produzioni da decenni localizzate in paesi a salario quasi zero.
Ma anche sul piano militare – quello dove gli Usa si sentivano più “confortati” – l’Occidente si scopre col fiato cortissimo. Gli aiuti inviati in Ucraina (bruciati o ri-commercializzati clandestinamente) hanno svuotato gli arsenali convenzionali dei paesi Nato, lasciandoli quanto meno a corto di munizioni. Il che significa sconfitta certa per il regime di Kiev, quando il flusso dei rifornimenti Nato dovrà obbligatoriamente ridursi a quello reso possibile dalla produzione.
Il just in time, in materia di armamenti, è un rischio mortale…
Buona lettura
*****
L’ascesa della Russia
Patricia Adams – Lawrence Solomon (American Thinker)
Le sanzioni a tappeto imposte dall’Occidente alla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina si stanno rivelando il più grande errore di calcolo dell’Occidente nella storia moderna.
Le sanzioni non hanno messo in ginocchio l’economia russa, come ampiamente previsto. Al contrario, sono le economie occidentali ad essere in crisi, la cui crescita economica si è praticamente arrestata. Molte di esse soffrono contemporaneamente di un’inflazione elevata e di carenze energetiche.
La Russia, invece, non solo sopravvive ma prospera, acquisendo maggiore potenza e prestigio in Asia, Africa e Sud America rispetto a qualsiasi altro momento dal crollo dell’Unione Sovietica.
Secondo il FMI, quest’anno l’economia russa crescerà più velocemente di quella tedesca o britannica. L’anno prossimo crescerà più velocemente di quella degli Stati Uniti, del Giappone, dell’Italia e di gran parte del resto dell’Occidente; la crescita del PIL pro capite supererà quella dell’insieme delle economie avanzate e raggiungerà il più basso rapporto debito/PIL tra i Paesi del G20.
Il tasso di disoccupazione russo del 3,5% è il più basso dalla caduta dell’Unione Sovietica. La performance economica della Russia – S&P Global ha recentemente confermato la fiducia rialzista del settore privato – è tanto più notevole in quanto la Russia sta combattendo una costosa guerra per procura contro il peso combinato degli armamenti dell’Occidente.
Come ha dichiarato a febbraio il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg ai giornalisti del Dipartimento di Stato americano, l’Occidente ha finora fornito un sostegno senza precedenti all’Ucraina, con circa 120 miliardi di dollari in assistenza militare, umanitaria e finanziaria.
Il trasferimento di materiale militare è stato così ampio che molti arsenali dei Paesi NATO sono stati esauriti: La Germania ha due giorni di munizioni e non è in grado di difendersi, secondo il ministro della Difesa del Paese; le scorte di munizioni del Regno Unito durerebbero solo pochi giorni in battaglia; la Francia sta affrontando “una grave carenza di munizioni” e l’esercito statunitense dubita della propria capacità di continuare a rifornire l’Ucraina e di mantenere la propria prontezza. “L’attuale tasso di spesa per le munizioni dell’Ucraina è molte volte superiore al nostro attuale tasso di produzione“, afferma Stoltenberg.
Tuttavia, la Russia è stata in grado di aumentare il proprio tasso di produzione militare in modo così efficace che la sua artiglieria può superare di gran lunga quella ucraina, sparando tra i 40.000 e i 50.000 proiettili al giorno contro i 5.000-6.000 dell’Ucraina. Mentre la produzione di armi della Russia è su un piano di guerra ad alto rendimento, quella dell’Occidente non è riuscita a tenere il passo.
L’attenzione dell’America per le forniture all’Ucraina ha compromesso la sua capacità di raggiungere altri obiettivi, come dissuadere l’espansione della Cina e mantenere la prontezza di risposta altrove.
La solidità militare della Russia è tanto più degna di nota se si considera che possiede il più grande arsenale nucleare del mondo e un’alleanza ormai stretta con le forze armate cinesi.
L’ascesa di quello che viene definito “asse Russia-Cina” e la percezione diffusa del declino dell’Occidente hanno a loro volta convinto altri eserciti ad associarsi a un vincitore. A settembre, India, Laos, Mongolia, Nicaragua e diversi Stati ex sovietici si sono uniti a Russia e Cina in giochi di guerra nel Mar del Giappone e nell’Estremo Oriente russo, mentre a febbraio il Sudafrica ha ospitato Russia e Cina per 10 giorni di esercitazioni navali congiunte.
Anche la posizione diplomatica della Russia è in ascesa. Mentre gli Stati Uniti sono riusciti a fare pressione sui Paesi occidentali affinché sanzionassero la Russia, a volte con la coercizione, la loro mano pesante ha avuto l’effetto opposto altrove.
In Asia, sia la Cina che l’India hanno intensificato notevolmente i loro legami con la Russia. In Sud America, la Russia è abbracciata dal nuovo governo socialista della sua più grande economia, il Brasile, come lo era dal precedente governo conservatore del Brasile. In Medio Oriente, dove gli Stati Uniti sono ampiamente sfiduciati, la Russia ha buone relazioni con Israele e con tutte le principali nazioni musulmane, sia sunnite che sciite, arabe o turche.
In Africa, dove la Russia è considerata l’unico grande Paese europeo a rifuggire dal colonialismo, è ampiamente apprezzata, a differenza di ex potenze coloniali come la Francia, le cui truppe sono state recentemente espulse dal Mali e dal Burkina Faso e dove il Presidente francese Macron ha confermato che “l’era della Françafrique è finita“.
Se la Russia può essere evitata dall’Occidente, è accolta con favore dalla maggior parte degli altri, come dimostrano le alleanze regionali in cui la Russia svolge un ruolo di primo piano: il Consiglio di Cooperazione di Shanghai guidato da Russia e Cina, che comprende i Paesi ex sovietici oltre a India e Pakistan, e i Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), il cui PIL supera ormai quello del G7.
Circa due dozzine di Paesi hanno espresso interesse ad unirsi alla Russia in queste alleanze economiche e di sicurezza, tra cui grandi potenze regionali come Arabia Saudita, Turchia, Iran, Egitto, Indonesia e Messico.
L’ascesa della Russia sarà una novità per il pubblico occidentale, che per decenni è stato preda di una demonizzazione della Russia e, dopo l’invasione dell’Ucraina, è stato alimentato con una dieta costante di “declino della Russia”.
Uno studio della Yale School of Management pubblicato l’estate scorsa, “Business Retreats and Sanctions are Crippling Russian Economy”, può essere corretto nell’affermare che “la Russia ha perso aziende che rappresentano circa il 40% del suo PIL, invertendo quasi tutti i tre decenni di investimenti stranieri“, ma non era stato previsto che la Russia si sarebbe ripresa rapidamente in una forma più autosufficiente.
Le sanzioni dell’Occidente, le più severe mai imposte a un Paese, avevano lo scopo di insegnare alla Russia la lezione che “l’aggressione non paga”, secondo le parole di Stoltenberg della NATO. La ferocia delle sanzioni, la conseguente cancellazione di artisti e atleti russi in Occidente e l’aspettativa di una fine della Federazione russa da parte di élite politiche e militari – come aveva affermato l’ex comandante generale dell’esercito statunitense in Europa, il generale Ben Hodges – hanno scosso la Russia dal suo compiacimento e l’hanno portata a imparare lezioni molto diverse: Che l’Occidente era determinato a distruggerla e che la sua esistenza richiedeva di armarsi fino ai denti e di porre fine all’interdipendenza economica con l’Occidente.
Le sanzioni contro la Russia hanno risvegliato il gigante addormentato e l’Occidente potrebbe presto doverne affrontare le conseguenze.
* Patricia Adams è economista e direttore esecutivo di Probe International. Lawrence Solomon è un giornalista pluripremiato e autore di “The Deniers”, best-seller ambientalista numero uno.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa