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Noi, nel nostro piccolo, dal Sahel

Ce la caviamo malgrado tutto quello che accade nel mondo. Abbiamo i militari stranieri che formano i nostri soldati alla guerra asimmetrica contro i Gruppi Armati Terroristi sostenuti da variegate ideologie religioso-economiche nel mercato dell’oro e altri metalli preziosi.

Tra questi ultimi si annoverano le armi che, come il denaro, non hanno odore. In più assistiamo alle banali e quotidiane menzogne dei comunicati degli Stati Maggiori delle Armate.

Nel nostro piccolo accogliamo militari francesi (2.400 dell’operazione Barkhane, ‘duna mobile del deserto’), l’insieme della forza europea Takouba (900 militari per la ‘spada tuareg’), americani, tedeschi, italiani e quant’altro. Tutti al servizio del Paese e del popolo, nella formazione e, naturalmente, sotto comando dello stato nigerino.

Abbiamo persino una nuova cappella, dedicata al santo papa Giovanni Paolo secondo, inaugurata in pompa qualche giorno fa nella base militare italiana di Niamey, presso l’aeroporto civile Internazionale. Avere Dio dalla propria parte è una garanzia di successo finale.

Abbiamo milioni di persone che soffrono di endemiche carestie che gli attacchi ‘djihadisti’ non fanno che rendere più gravi e acute. Sul nostro patrio suolo accogliamo mezzo milione di persone tra rifugiati e sfollati interni e, da Paese economicamente tra i più poveri del mondo, siamo terra di passaggio e di sperimentazione politica per le frontiere esterne dell’Europa.

Il risultato non si è  fatto attendere perché, tra espulsione dei migranti dall’Algeria, campi di detenzione in Libia, guardie costiere formate e finanziate dall’Europa, il razzismo dei Paesi maghrebini e la congiuntura economica, migliaia di migranti sono ‘parcheggiati’ o liberamente detenuti in attesa del ritorno assistito al Paese d’origine.

Nel frattempo si muore nel mare, nel deserto, nei campi di sterminio e soprattutto nell’indifferenza delle coscienze e nell’invisibilità dei volti e dei nomi. Le agenzie delle Nazioni Unite per i rifugiati, i migranti, le donne, i bambini, i traffici illeciti di beni e persone fanno a volte il possibile e sono spesso più parte del problema che della soluzione. Ambulanze del sistema che perpetua se stesso nell’iniquo ‘apartheid’ del mondo.

Abbiamo festeggiato col consueto rito propiziatorio il primo maggio dei lavoratori che sopravvivono al quotidiano e coi mendicanti, dei quali il Paese è diventato uno dei principali esportatori nella regione senza colpo ferire e nell’assoluta complicità delle autorità costituite.

Tramite il nostro Presidente della Repubblica partecipiamo all’incoronazione del nuovo monarca del Regno Unito perché non ci facciamo scippare nulla di importante nella diplomazia globale. Perché, nel nostro piccolo, siamo il più giovane Paese del mondo e, in fondo, non ci priviamo di nulla di ciò che oggi può rendere felice un popolo.

Manca l’acqua corrente  per buona parte dei cittadini, durante la stagione torrida si assiste alle consuete interruzioni nell’erogazione dell’elettricità, i cavi del net sono volentieri tagliati da una nave, un camion o un traliccio che cade. Meglio non ammalarsi che avventurarsi negli ospedali pubblici dove è raro che funzionino gli strumenti o le cliniche private troppo onerose per il cittadino comune.

Nel nostro piccolo non ci manca quasi nulla per vivere con dignità. Sfilano in città migliaia di taxi che sostituiscono i mezzi pubblici inesistenti, arricchiti da nuovi tricicli che sfidano quotidianamente le leggi della strada e dell’equilibrio tra passeggeri e carichi di mercanzie.

Soprattutto ci accompagna nostra signora la sabbia che, assieme al vento, generano la polvere che tutto avvolge e poi carezza i sogni di un Paese differente.

 da Nyamey

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