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La resistenza palestinese lavora “all’unione dei fronti”. Un serio problema per Israele

Lo stato di Israele si trova da tempo a fare i conti con una nuova fase della resistenza palestinese che punta alla “unione dei fronti”, così definita perché mira a coordinare tutte le azioni sui diversi fronti dello scontro.

C’è il fronte Nord (rappresentato da Hezbollah in Libano e dalle milizie pro-iraniane in Siria), c’è il fronte Est (con Hamas, Jihad Islamico e le altre organizzazioni palestinesi attive in Cisgiordania) e c’è il fronte Sud (con Hamas e Jihad Islamico a Gaza). A questi si uniscono altri tre fronti, che si sta cercando di unire: il fronte interno (cioè gli arabi israeliani), il fronte di Gerusalemme e il fronte delle carceri.

La nuova strategia di “unione dei fronti” ha preso forma nel 2021, durante gli scontri condotti dai palestinesi del ‘48 nelle città miste di Israele in occasione della violenta repressione dei palestinesi a Gerusalemme.

Liwai al-Qariousi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina a Gaza ha invocato l’unione dei fronti durante il “Quds Day”, celebrata ogni anno durante l’ultimo venerdì del mese di Ramadan.

Dopo la morte di Khader Adnan, attivista della Jihad Islamica morto in carcere martedì 2 maggio in seguito allo sciopero della fame di 86 giorni, la Jihad Islamica ha lanciato razzi da Gaza, mentre in Cisgiordania ci sono stati episodi colpi di arma da fuoco su cittadini israeliani che hanno causato un ferito.

Del resto già dal 2022, come riporta il sito israeliano fdd.org/analysys la resistenza palestinese aveva dimostrato una capacità di iniziativa politico/militare superiore a quella degli anni precedenti.

Il settimanale statunitense Time registra che “Mentre Israele ha aumentato il numero di incursioni militari mortali nelle città palestinesi, è aumentato anche il numero di attacchi palestinesi contro israeliani”.

Nei soli primi due mesi del 2023 da parte palestinese si sono verificati 275 attacchi con bombe molotov, 93 attacchi con bombe artigianali, 42 attacchi con armi da fuoco, 8 attacchi con armi bianche. In questa azioni sono stati uccisi 14 israeliani, di questi solo 4 erano però militari o poliziotti, il resto erano civili, alcuni dei quali coloni. I feriti sono stati 16. I palestinesi uccisi dai militari o dai coloni israeliani nel 2022 sono stati 146. Nei primi due mesi del 2023 sono stati 60.

Secondo l’International Crisis Group “Le tensioni sono aumentate negli ultimi mesi, alimentate da una combinazione di fattori. Tra questi ci sono micidiali incursioni militari israeliane nei centri abitati palestinesi in Cisgiordania; uccisioni di israeliani da parte di singoli palestinesi; furie della folla da parte dei coloni israeliani; dichiarazioni incendiarie di membri del nuovo governo di estrema destra del primo ministro Benjamin Netanyahu e della Knesset; un Hamas irrequieto e militarmente potente nella Striscia di Gaza; e un’Autorità palestinese (AP) che, agli occhi di molti palestinesi, ha perso legittimità mentre il suo apparato di sicurezza inizia a crollare. Una scintilla ovunque nei territori occupati potrebbe innescare una reazione a catena in tutta Israele-Palestina”.

Di fronte alla convergenza sull’unione dei fronti e alla decisione di rispondere colpo su colpo ai raid israeliani nelle città palestinesi, il mito della deterrenza israeliana, come spiegato in un articolo di Ramzy Baroud,  viene messo seriamente in discussione. A complicare il tutto c’è anche il vero e proprio terremoto politico in Medio Oriente seguito all’accordo tra Iran e Arabia Saudita che sta ridisegnando completamente la mappa delle relazioni nel mondo arabo-islamico smantellando l’assetto nella regione faticosamente costruito da Usa e Israele con gli Accordi di Abramo e di cui oggi non parla più nessuno.

 

 

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