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Blinken in Cina: a che punto è la nuova Guerra Fredda?

Il 18 e 19 giugno sono stati due giorni importanti nel quadro delle relazioni internazionali, con la missione del Segretario di Stato USA Antony Blinken in Cina. Nell’arco di questa visita il diplomatico statunitense ha incontrato il ministro degli Esteri di Pechino, Qin Gang, e il presidente Xi Jinping.

Il viaggio di Blinken era programmato per il febbraio scorso, ma era saltato per la crisi dei palloni aerostatici cinesi abbattuti dai top gun a stelle e strisce. Il livello di idiozia e della sclerosi da «pericolo rosso» della reazione di Washington, persino di fronte alla cautela del Pentagono, aveva congelato il dialogo.

Gli incontri degli scorsi giorni erano perciò attesi con trepidazione, per avere idea della traiettoria che avrebbe preso il confronto strategico tra le due principali superpotenze di oggi. E se non sono stati rivoluzionari tanto per il contenuto, che non segna novità sostanziali, non mancano elementi utili da sottolineare.

Era dal 2018 che un Segretario di Stato non si recava in Cina, e questo dà la percezione della concretezza delle parole del suo omologo cinese, Qin, che ha affermato che attualmente le relazioni sino-americane sono “al punto più basso dall’instaurazione delle relazioni diplomatiche”. Per Pechino alla base vi è una percezione statunitense sbagliata delle sue politiche.

Questa è la tipica posizione cinese, confermata anche da Wang Yi, capo del dipartimento Esteri del Partito Comunista, in un altro incontro avvenuto la mattina di lunedì 19. Egli ha pure chiesto di smettere di limitare lo sviluppo tecnologico della Cina e invece di “trovare insieme la strada giusta per la coesistenza tra Cina e Stati Uniti nella nuova era”.

Il sottointeso è che la nuova sarà quella di conclamato declino occidentale e dell’emergere di un mondo multipolare, in cui l’architettura della sicurezza internazionale non si reggerà più sull’arbitrio della Casa Bianca. I dossier più delicati in discussione sono stati infatti quelli con risvolti militari.

Blinken ha riportato che il presidente cinese ha promesso di non fornire armi alla Russia. Di contro, ha ribadito che Washington sostiene il principio di “un’unica Cina” e che non sostiene l’indipendenza di Taiwan, pur dicendosi preoccupato delle azioni provocatorie nello stretto omonimo.

Blinken ha affermato che la Cina non ha accettato di istituire un canale di comunicazione military-to-military per mantenere sempre aperti i contatti anche in caso di crisi. Del resto, le provocazioni arrivano dalle operazioni statunitensi nella zona (con il rischio di una collisione tra navi appena due settimane fa) e di conseguenza il dialogo tra i vertici militari è fermo.

Tuttavia, Blinken e Xi Jinping hanno sottolineato che va ripresa l’intesa del G20 di Bali dello scorso novembre, dove l’incontro tra Biden e il presidente cinese aveva preannunciato la stabilizzazione delle relazioni. Blinken ha invitato Qin Gang negli Stati Uniti e quest’ultimo si è detto disponibile.

Dunque, questi due giorni sono stati utili per sbloccare i rapporti tra Pechino e Washington, che potrebbero culminare con la presenza di Xi Jinping al vertice dell’Asia-Pacific Economic Cooperation il prossimo novembre. Ma i punti di attrito sono tutt’altro che risolti, a partire dalle sanzioni e dagli equilibri dell’Indo-Pacifico.

Il 22 giugno il primo ministro indiano sarà negli USA, per parlare di accordi fondamentali dal punto di vista geopolitico ed economico per entrambi i paesi. Se come ha detto Biden a Bali non ci sarà un’altra Guerra Fredda, è certo che l’incancrenirsi della competizione globale continuerà a macinare.

Ci potranno essere fasi di mediazione, come sembra preannunciare la visita di Blinken, ma il piano inclinato della crisi su cui scivola il modo di produzione capitalistico alimenterà sul lungo periodo lo scontro strategico tra il Blocco Euroatlantico e l’emergere di un mondo multipolare. E i venti di guerra non sono più dietro l’angolo, sono già qui.

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