È in corso in Polonia un processo che, non avendo nulla di originale, può esser definito col termine franchista di “limpieza”, o con la più recente “ljustratsija” nazi-golpista praticata in Ucraina dopo il 2014: Varsavia sta espellendo dagli organi di sicurezza tutti coloro che vi avevano servito durante il periodo della Repubblica popolare, per quanto pochi ne siano rimasti.
Anche qui, nulla di nuovo: a gennaio 2018, l’ex Ministro degli esteri, Jacek Czaputowicz, appena insediato, aveva deciso di licenziare tutti i funzionari del Ministero a suo tempo laureati al MGIMO di Mosca.
Alla base della nuova sortita, potrebbero esserci la crisi economica e i timori del partito governativo PiS di veder vacillare la maggioranza parlamentare alle elezioni del prossimo novembre: si spera così di incamerare consensi, premendo ancora di più sul pedale dell’antisovietismo che alligna in qualche angolo della tradizione russofobica.
Per quanto, anche senza di ciò, le “glorie” di quello che potrebbe definirsi il “Franco polacco”, Jozef Pilsudski, facciano “bella” mostra in vari atti ufficiali del governo: da quella “riforma della giustizia”, su cui ha avuto da ridire persino Bruxelles, alla lotta contro “l’influenza russa”, per cui politici e funzionari pubblici vengono “iscritti d’ufficio” nella lista nera, se sospettati di promuovere gli interessi russi e su cui addirittura Washington ha storto la bocca.
Tali funzionari, dunque, per quanto pochi e, soprattutto, per quanto ricchi di esperienze decennali in campo diplomatico, agli occhi del governo sanfedista polacco non costituiscono altro che un pericoloso ostacolo sulla strada dell’isteria anti-russa e Varsavia pare bellamente infischiarsene se, come scrive Dmitrij Bavyrin sulla russa Vzgljad, tali persone, per risentimento, finiscono spesso per mettere la propria esperienza al servizio delle strutture di sicurezza di grandi firme o di organizzazioni criminali, ma anche degli organi di intelligence stranieri: «un veterano della sicurezza statale messo alla porta è un ottimo obiettivo di reclutamento».
E, a credere agli stessi polacchi, Varsavia sarebbe letteralmente piena zeppa di “agenti russi”. Così che per Mosca si aprono ora buone prospettive di lavoro all’interno di uno dei più grandi paesi NATO e uno dei più attivi nel conflitto in Ucraina, che non cessa tra l’altro di guardare con ingordigia alla Galizia ucraina.
Se partiamo dalla massima, scrive Bavyrin, secondo cui «scandali e problemi interni della Polonia sono interessanti solo nel contesto di un suo possibile indebolimento quale nemico della Russia, allora il licenziamento dei veterani è un evento estremamente riguardevole. Na wojnie jak na wojnie». À la guerre comme à la guerre.
D’altronde, ad ambire all’avvio di un conflitto – per la verità non armato – è Varsavia stessa, che torna a battere sul tasto delle riparazioni per la Seconda guerra mondiale e, come ha fatto di nuovo lo scorso settembre, chiede a Berlino 1,3 trilioni di dollari (5 anni fa chiedeva circa 900 miliardi) mentre esige compensi anche per i “danni dell’occupazione” sovietica.
Se Berlino ha ormai da diversi anni dichiarato la questione “definitivamente chiusa”, circoli anche ufficiali di Mosca domandano che la risposta russa alle pretese polacche sia un’istanza di rimborso per la ricostruzione postbellica attuata a spese dell’URSS e che tale debba essere la replica generale a tutti quei paesi dell’Europa orientale che avanzano pretese come quella polacca.
Di recente, lo speaker della Duma russa, Vjaceslav Volodin, nel ricordare il massacro dei prigionieri russi nei lager polacchi negli anni ’20, ha dichiarato che Varsavia, a compenso di quanto elargito dall’URSS per ricostruire quasi un migliaio di infrastrutture industriali, energetiche e di trasporto polacche dopo il 1945, dovrebbe versare a Mosca qualcosa come 750 miliardi di dollari.
Il portale “Istorija.RF” sta pubblicando documenti redatti nel 1956, in base ai quali, nei dieci anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica aveva speso per la Polonia circa 27 miliardi di rubli al corso dell’epoca.
Come che sia, se nei confronti della Germania le richieste cumulative ufficiali sbattono contro una porta chiusa, i “privati” polacchi non si danno per vinti.
Secondo il portale PAP, il 20 giugno sono state presentate al Tribunale distrettuale di Cracovia due istanze, rispettivamente contro le tedesche “Henschel” e “Bayer”, per la loro attività al servizio della Germania nazista. A dire il vero, ovviamente, non si tratta di “privati” qualunque.
Una delle querele è stata avanzata dagli eredi di Leopold Wellisch, finanziere e industriale polacco; convenuta è la “Henschel-Werke”, erede della “Henschel und Sohn” che, durante la guerra, controllava la “Fablok” polacca, il cui co-fondatore e maggiore azionista era Leopold Wellisch: i querelanti chiedono quattro milioni di euro e le scuse della società tedesca.
La seconda causa è stata intentata dalla figlia di Tadeusz Sledzinski, ingegnere e direttore della “Zakłady Azotowe”, obbligato dal 1940 a lavorare per la “IG Farben” co-fondata dalla “Bayer”: la figlia di Sledzinsky, si accontenta di appena 386mila euro. Ma il governo polacco potrebbe benissimo incoraggiare il moltiplicarsi di tali pretese “private”.
Ma, se la Varsavia ufficiale insiste nelle pretese, Berlino potrebbe finire per porre la questione della proprie, di riparazioni. Anche in questo caso non si tratta di nulla di nuovo, tanto più che il tema viene sollevato da un partito che, per ora, è considerato fuori dell’area di governo federale, pur se già oggi suoi rappresentanti controllano varie città e distretti federali e che, secondo gli ultimi sondaggi, riscuote il consenso del 20% dei tedeschi (1% in più della SPD).
Ma, basta guardare l’Italia e si sa come le condizioni possano cambiare: in peggio.
Dunque, la portavoce di Alternative für Deutschland, Alice Weidel, commentando i dati di un sondaggio sulla crescente popolarità di AfD nei Land dell’ex Germania Est, ha definito queste terre “Germania centrale” (Mitteldeutschland). Tempesta nei media polacchi: se il territorio della ex DDR, confinante con la Polonia, viene definito “Germania centrale”, allora vuol dire che più a est si trova la Germania orientale vera e propria, cioè le attuali province occidentali della Polonia.
«Ciò significa che parte della Polonia è Germania orientale», scrive Interia.pl, che cita la deputata di Nowa Lewica, Anna Maria Žukowska, che ha accusato la Weidel di visioni naziste. Il direttore di Energetyka24, Jakub Veh, ha dichiarato che AfD «rappresenta una minaccia crescente per gli interessi polacchi». La presidente del Consiglio dei ministri, Beata Szydlo si è detta indignata per l’assenza di critiche governative tedesche all’uscita della Weidel.
Gli attuali confini polacco-tedeschi sono stati fissati legislativamente nel 1990; ma l’inquadramento geografico tratteggiato dalla Weidel comprende terre che i polacchi chiamano “kresy zachodni” (territori occidentali), alla stregua dei cosiddetti “Kresy Wschodnie”, i territori oggi ucraini e bielorussi su cui Varsavia non tenta nemmeno di nascondere le proprie mire.
Come noto, fu nel 1945 che la Polonia, con il sostegno diplomatico dell’URSS, poté strappare ai tedeschi i “kresy zachodni”; un totale di 3,5 milioni di tedeschi furono espulsi dalla Polonia e i territori da essi fino ad allora abitati, i “kresy zachodni”, vennero da allora definiti dalla storiografia polacca come “Ziemie Odzyskane” (terre restituite).
Oggi, qualsiasi accenno proveniente dalla Germania sul passato tedesco di queste terre è percepito dai polacchi in modo estremamente doloroso. Varsavia qualifica come tentativo di rivedere i risultati della seconda guerra mondiale la pubblicazione della rivista “Compact”, ideologicamente vicina a AfD, che chiede di non tacere le colpe polacche nella guerra e non dimenticare i «circa 14 milioni di tedeschi espulsi dalla loro patria».
I metodi per espellere i tedeschi erano così spietati, scrive Vladislav Gulevic su Fond Strategiceskoj Kul’tury, che «tra i tedeschi apparve l’espressione “fascisti polacchi”».
Anche in questo caso, nulla di nuovo.
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