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Francia. I divieti non fermano i cortei del cordoglio e della rabbia

Migliaia di persone si sono radunate a Parigi sabato pomeriggio, in memoria di Adama Traoré nonostante il divieto prefettizio, mentre altre «marche citoyennes» si sono svolte in tutto l’Esagono.

Ne erano state annunciate più di una trentina.

Le mobilitazioni sono state chiamate in maniera unitaria da un centinaio di organizzazioni politiche, sindacati combattivi e collettivi sotto il segno del «cordoglio e della rabbia», come recitava il manifesto di convocazione.

Assa Traoré, sorella di Adama Traoré e figura di spicco della battaglia contro le violenze poliziesche, aveva annunciato pubblicamente che sarebbe stata presente comunque – sabato alle 15 in place de la Republique – anche dopo il divieto di manifestare (emanato a Beaumont-sur-Oise) in memoria del fratello morto durante un “interrogatorio” da parte della gendarmerie, nel luglio del 2016.

L’annuncio di questo primo divieto era giunto giovedì 6 luglio in tarda serata, dopo la convocazione unitaria lanciata il giorno prima.

L’appello a manifestare era stato criticato duramente dal portavoce del governo Olivier Véran, che aveva puntato il dito sugli insoumise di Jean-Luc Mélenchon, nonostante la formazione non fosse all’origine di questo appello comune.

Alla marcia, nell’estremo nord della regione parigina, avrebbe dovuto partecipare tra gli altri la madre di M. Nahel, promotrice della marche blanche in ricordo del figlio ucciso a Nanterre.

Alcuni/e eletti/e della LFI erano perciò stati altrettanto duri rispetto a questo primo divieto di manifestare.

Clémentine Autain, deputata della LFI eletta a Seine-Saint-Denis, si è provocatoriamente domandata: «Come spiegare – dopo la morte di un ragazzo ucciso da un poliziotto – che non bisogna bruciare le macchine e incendiare gli edifici se una manifestazione pacifica e democratica viene proibita?».

L’altro eletto della LFI a Seine-Saint-Denis, Eriq Coquerel, ha chiesto direttamente al Ministro degli Interni: «Gérald Darmanin, qual’è l’obiettivo del vostro prefetto, se voi proibite tutte le manifestazioni pacifiche in seguito alla morte di Nahel?».

Le numerose associazioni che avevano promosso l’appello – a cominciare dal sindacato Solidaire, che ne era stato l’ideatore, al fianco di Attac, della CGT, del sindaco degli insegnanti FSU e della storica organizzazione anti-razzista nata sull’onda delle mobilitazione di 40 anni fa in seguito alle rivolte urbane del 1983 – si sono espresse in termini simili.

Considerazioni legittime, la cui ragionevolezza è stata rafforzata dal successivo divieto prefettizio a manifestare nel centro di Parigi.

Come ha affermato il deputato della LFI nell’Essone, Antoine Léaument, a BFM-TV: «queste manifestazioni si sono sempre svolte nella calma. É proprio il fatto di vietarle che può far sì che ci siano tensioni, perché le persone sono arrabbiate, bisogna capirlo». Anche lui aveva così annunciato poco dopo sul proprio profilo Twitter che sarebbe andato a place de la République, insieme ad una decina di altri deputati della LFI.

Al raduno parigino, di fronte ad alcuni deputati de La France Insoumise – tra cui la capo-gruppo all’Assemblea Nazionale della LFI Mathilde Panot – e dei verdi (EELV), venuti nonostante il divieto prefettizio, ha affermato: «Manifestiamo per la gioventù, per denunciare le violenze poliziesche. Vogliono nascondere i nostri morti».

Ed ha aggiunto «autorizzano la marcia dei neonazisti e ma non autorizzano la nostra manifestazione. La Francia non può dare lezioni di moralità. La polizia è razzista, la sua polizia è violenta».

Un riferimento, questo, alla mobilitazione che è stata lasciata sfilare tranquillamente nel centro della capitale francese alcune settimane fa, con le immagini dei militanti neonazisti e delle croci celtiche che avevano fatto il giro del mondo.

Parole come pietre.

Poco dopo, circondati da un importante dispositivo poliziesco, ai manifestanti è stato intimato di disperdersi, e si sono verificate alcune scaramucce con gli agenti, mentre i presenti scandivano lo slogan: «Giustizia per Nahel», in riferimento al 17enne ucciso dalla polizia durante un controllo a Nanterre martedì 27 giugno.

I manifestanti sono partiti poi in corteo in direzione del boulevard Magenta, al grido di «Nessuna giustizia, nessuna pace!» e «Nessuna Giustizia per Nahel!, Giustizia per Adama!».

Dopo una decina di minuti la polizia ha di nuovo intimato di disperdere il corteo che era partito con alla testa alcuni deputati della LFi e dei verdi (EELV).

Prima che il comitato «Verità e Giustizia per Adama» chiedesse ai manifestanti di sciogliersi,  c’è stato un intervento di Assa Traoré da una pensilina dell’autobus, che ha affermato: «abbiamo avuto l’ultima parola». Poi è stata “scortata” dagli organizzatori anche fuori dalla manifestazione, per proteggerla da possibili ritorsioni.

Alla fine della manifestazione, attorno alle 17, un giornalista di Loopsider ha filmato dei poliziotti della famigerata unità motorizzate della polizia (BRAV-M) intente a caricare alcuni dei manifestanti,  procedendo anche ad alcuni fermi.

Uno dei fratelli di Adama, Youssouf, è stato fermato e un giornalista violentemente manganellato. Le immagini sono state riprese da altri siti di informazione e sono diventate virali.

Il doppio divieto prefettizio rappresenta senz’altro un salto di qualità nell’annullamento dei margini di azione politica pubblica dell’opposizione, nel giorno che di fatto ha registrato il primo tentativo di mobilitazione dopo la rivolta urbana che ha incendiato la Francia.

Una prima tappa nel percorso che ha chiamato alla mobilitazione in una trentina di città e che proseguirà sabato prossimo.

La prefettura parigina ha pubblicato on line il suo divieto alle 10.30 di sabato stesso, giustificando la proibizione per un «concentramento non dichiarato che presenta dei rischi di turbamento dell’ordine pubblico».

Il divieto firmato dal prefetto Laurent Nuñez ricorda il «contesto teso» e le «cinque notti consecutive» di “violenze” nella regione parigina.

Di fatto si tratta di motivazioni identiche a quelle additate per giustificare la proibizione della manifestazione a Persan e a Beaumont-sur-Oise, che è facile pensare siano state dettate direttamente da Darmanin, il Ministro dell’Interno che ha decretato lo scioglimento del collettivo ecologista “Les soulèvements de la Terre” (il primo atto concreto di messa fuorilegge di un movimento politico progressista).

Lo stesso Darmanin aveva fatto intervenire con i mezzi blindati le unità speciali della polizia e della gendarmerie (BIM, RAID, GIGN), la settimana scorsa,  e permesso l’utilizzo delle mortali munizioni “beanbag”  in tutto l’Esagono.

3.700 persone sono state messe in “garde à vue” dall’inizio delle rivolte, martedì 27 giugno. 1.160 sono minorenni, secondo le cifre della Cancelleria che ha annunciato che a venerdì le persone incarcerate sono tutt’ora 400.

Giovani e giovanissimi, per la maggior parte incensurati, per cui il Guardasigilli Eric Dupont-Moretti ha chiesto «una risposta penale, ferma, rapida e sistematica»

Una rivolta urbana che non ha pari nella storia recente della Francia – l’ultima di queste dimensioni risale al 2005 – ma che gli osservatori reputano “più violenta” di una ventina d’anni fa, in un contesto di vita più degradato, con una velocità di comunicazione più diretta e soprattutto dopo una scia di sangue di omicidi polizieschi impunti molto più lunga.

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