Il 19 luglio gli abitanti del Perù profondo si recheranno nella capitale per la Tercera Toma di Lima.
Le rivendicazioni di questo terzo tentativo di “prendere” la capitale, sono quelle che hanno caratterizzato fin qui le mobilitazioni successive alle destituzione del legittimo presidente Pedro Castillo, dal 7 dicembre scorso: le dimissioni della presidente usurpatrice Dina Boluarte, lo scioglimento del Congreso, la tenuta di elezioni anticipate e la convocazione dell’Assemblea Costituente per cambiare la Costituzione promulgata durante la dittatura di Fujimori.
A questo si unisce la richiesta di liberazione per le persone detenute in seguito alle proteste, il desiderio di giustizia per i circa 70 civili assassinati in questi circa 7 mesi di mobilitazioni, e per cui non si è aperta alcuna causa penale per determinare le responsabilità riguardo a questi decessi.
Si è affermato un clima di sostanziale impunità nei confronti di Esercito e Polizia, non dissimile dalla stagione delle dittature latino-americane, nonostante le numerose critiche giunte dalle organizzazioni che si occupano dei diritti umani anche a livello internazionale, nonché dal variegato fronte progressista latino-americano.
La centrale sindacale peruviana, CGTP, chiama la propria base alla mobilitazione per la Marcha Nacional del 19 luglio, alle 4 del pomeriggio a Plaza Dos Mayos, con parole d’ordine chiare: «fuori la dittatura assassina e corrotta!», ricordando i 69 assassini che ci sono stati dall’inizio della protesta.
Allo stesso tempo l’organizzazione contadina, Central Única Nacional de Rondas Campesinas del Perú (CUNARC) chiama la propria base – proveniente da 22 regioni – alla mobilitazione, e si è organizzata per arrivare nella capitale da questo lunedì, secondo quanto riferisce il sito di Telesur.
L’ampio fronte che si batte contro l’attuale esecutivo, ha convocato manifestazioni in un arco temporale di una decina di giorni, compresi tra due date simbolo del Paese latino-americano: il 19 luglio ed il 28.
Il 19 luglio del 1977, infatti, il popolo peruviano fu protagonista di un paro che accelerò la fine del Governo militare di Francisco Morales Bermúdez,, che era giunto al potere nell’agosto del 1975 potere con un colpo di Stato contro Juan Velasco Alvarado.
Il 28 luglio è il giorno in cui si festeggia l’indipendenza peruviana dall’impero spagnolo nel 1821.
Circa 800 rappresentanti provenienti da 24 regioni si sono accordati per articolare un Comando Nacional Unitario de Lucha, composto da 46 dirigenti che rappresentano tutte le regioni del Paese, secondo quanto ha riportato il sito d’informazione indipendente Wayka.
Al centro della discussione, oltre alle rivendicazioni già citate, ci sono state la partenza delle truppe statunitensi dal territorio peruviano, la lotta alla privatizzazione alle risorse naturali, della salute, dell’acqua, del litio e di altri materiali di cui è ricco il sottosuolo del paese andino.
Particolarmente inquietante, visto il clima di involuzione autoritaria nel paese, la presenza militare statunitense che si mobiliterà dal 1 di giugno al 31 dicembre ufficialmente per svolgere “attività di cooperazione” con le Forzas Armadas e la Policía Nacional.
Con la Resolution Legislativa N°31757 il Governo peruviano ha autorizzato anche l’entrata nel territorio nazionale l’entrata di mezzi aerei e navali provenienti dagli Stati Uniti.
Fortemente critico con questa decisione il Partido Comunista del Perú – Patria Roja che, attraverso il suo sotto-segretario generale Arturo Ayala del Rio, ha specificato come le truppe statunitensi: «effettuano la loro attività in regioni meridionali del Perù, in cui la repressione politica del regime della Boluarte ha massacrato i nostri compatrioti».
L’indicazione del 19 luglio stava già affermandosi da metà giugno, anche prima delle pesantissime affermazioni di Dina Boluarte, che ha esplicitamente dichiarato che non ci saranno elezioni anticipate e che rimarrà in carica fino al 28 luglio del 2026!
É la prima volta che la Presidente ha escluso esplicitamente il ricorso ad elezioni anticipate, dopo che il Congreso che ha respinto per ben 5 volte l’ipotesi di anticiparle a questo dicembre.
La Boluarte ha ovviamente criticato la scelta di organizzare le proteste antigovernative, rigettando le responsabilità dell’esecutivo per le morti violente, ed addossando la responsabilità di eventuali altre vittime agli organizzatori.
Il Governo ha poi annunciato il 12 luglio di aver promulgato nuovamente “lo stato d’emergenza” sulle principali strade che portano alla capitale, come il Corredor Via Sur – che comprende le regioni di Apurímac, Cusco ed Arequipa che sono state l’epicentro della protesta.
M anche sul Corredor Via de la Interoceánica Sur, che arriva fino al Brasile, mobilitando nuovamente l’Esercito che affiancherà la Polizia Nazionale, e chiarendo che filtrerà il più possibile l’entrata nella capitale, di fatto cercando di impedire alla marea umana di entrare a Lima.
Contemporaneamente, con un notevole sprezzo del ridicolo, ricorre al terrorismo psicologico tipico della stagione contro-insurrezionale, agitando lo spettro del “Terraqueo”.
Una recente inchiesta dell’Istituto de Estudios Peruanos (IEP) conferma la generale disapprovazione del Congresso – il 91% – mentre il 67% degli intervistati giudica “male” (36%) o “molto male “(31%) l’amministrazione della Boluarte, con una leggera maggioranza (il 51%) che ritiene l’attuale amministrazione peggiore di quella di Pedro Castillo.
L’empasse politico che dura da mesi non sembra avere sbocchi in una situazione estremamente polarizzata, in cui un governo che ha perso qualsiasi consenso, sorretto da un parlamento squalificato, cerca di blindare ogni ipotesi di alternativa democratica – banalmente il ricorso alle urne -, utilizzando non solo alla più bieca ferocia repressiva, ma all’aiuto militare diretto degli USA e flirtando con i fascisti peruviani in un contesto di offensiva dell’estrema-destra, in tutto il continente.
Ancora una volta, per le strade del Paese andino risuona la profezia di Tupac Amaru: “Torneremo, e saremo milioni!”
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