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Niger, cade un altro tassello del neo-colonialismo occidentale

Nella notte tra il 26 ed il 27 luglio alcuni militari hanno annunciato, in un messaggio diffuso dalla televisione nazionale, di avere preso il potere.

In questa locuzione gli autori della deposizione del Presidente filo-occidentale Mohamed Bazoum – eletto due anni fa – hanno annunciato la sospensione delle istituzioni e la chiusura delle delle frontiere.

Quest’atto di forza viene giustificato dai loro autori per la «degradazione continua della situazione di sicurezza».

La dichiarazione a Télé Sahel è stata letta da Amadou Abdramane, colonnello-maggiore, ufficiale dell’aeronautica.

Al suo lato, il generale Mohamed Tomba, capo di stato maggiore aggiunto dell’esercito.

Tra gli autori del “putsch” anche altri esponenti di alto rango della gendarmerie, dei vigili del fuoco, della polizia, ed anche il comandante in seconda della guardia nazionale del Niger.

Tutte le porzioni degli “uomini in divisa” sembrano essere quindi rappresentate ed allineate con questa scelta, con una dinamica simile a quella cui abbiamo assistito prima in Mali poi in Burkina Faso per mano di militari “patriottici” contro presidenti filo-occidentali.

Le Forze Armate Nigerine, in un comunicato del 27 luglio a firma del Generale di Divisione Abou Sidikou Issa, redatto nella capitale Niamey, rendono pubblica la loro decisione di «sottoscrivere la dichiarazione delle Forze di difesa e di Sicurezza» per preservare l’integrità del Presidente della Repubblica destituito, e della sua famiglia, ed evitare scontri fratricidi ed un relativo bagno di sangue.

Inoltre mandano un monito preciso: «Qualsiasi intervento militare esterno, qualunque sia la sua provenienza, rischierebbe di avere delle conseguenze disastrose ed incalcolabili per le nostre popolazioni e sarebbe il caos per il nostro paese».

L’indicazione con cui concludono il comunicato, indirizzato alle Forze di Sicurezza, è di rimanere concentrate sulla loro missione e conservare la loro capacità di combattimento, questo a causa dei gruppi armati terroristi e a quelli del crimine organizzato.

Un segnale di “unità” importante che sembra isolare ulteriormente l’inviso presidente Bazoum, nonostante le varie dichiarazioni di condanna da parte della sedicente “comunità internazionale”.

La BBC ha riportato che i supporter dei “golpisti” avrebbero attaccato il Quartier Generale del Partito del Presidente deposto, il PNDS.

Sempre il canale di informazione britannico riferisce che: «le centinaia di persone che si sono radunate fuori dall’Assemblea Nazionale avevano bandiere russe, mentre altri agitavano cartelli scritti a mano recitanti: “Abbasso la Francia” e “Fuori le Basi straniere”».

Bisogna ricordare che Francia e USA hanno basi militari in Niger. E’ presente anche un contingente italiano che si è ora ritirato dentro l’accampamento.

Nella tarda serata di giovedì, rfi.afrique riferisce che i partiti di opposizione che hanno sostenuto il leader dell’opposizione, Mahamene Ousmane, riuniti nell’ Union patriote nigériens, sostengono le motivazioni dei “golpisti” dell’autoproclamato organo CNSP, impegnandosi a «sostenerlo nella sua missione, fino a quando già nel ristabilimento della sovranità nazionale».

Il Generale Tchiani, comandante della guardia presidenziale, che viene indicato come la mente del Colpo di Stato, non è apparso nell’allocuzione televisiva e non si è ancora espresso pubblicamente.

Secondo quanto riporta il canale d’informazione in lingua francese rfi.afrique, gli autori del Putsch non sono espressione della giovane generazione di militari e alcuni di loro sarebbero vicini al vecchio presidente Mahamadou Issoufou.

Sembra certo che, come dimostra la situazione a Tillabéry, nell’Ovest del Paese, l’insorgenza jihadista non sia affatto domata nonostante l’operazione franco-nigerina «Almahaou», e che sia cresciuta la frustrazione negli alti ranghi delle Forze Armate per l’impotenza, nonostante gli “aiuti” dei partner stranieri tra cui appunto la Francia, ma non solo.

Il Niger è stato finora un “laboratorio” per la Francia, dopo la sua partenza forzata dal Mali nell’estate del 2022 – nel gennaio di questanno anche il Burkina Faso ha chiesto la partenza delle forze speciali francesi -, per testare un nuovo approccio militare all’Africa, almeno secondo la narrazione fornita dall’Esagono.

Il Comandante delle Forze Francesi nel Sahel (FFS), il generale Bruno Baratz, ha dichiarato a fine maggio di quest’anno a Le Monde: «Oggi il nostro aiuto parte innanzitutto dal bisogno del partner».

Il Niger, in questo senso, ha accolto quindi 1500 militari francesi sul proprio suolo per il contrasto di uno dei due grandi network dello jihadismo in Africa, cioè lo ‘Stato Islamico del Grande Sahara’ (EIGS, l’acronimo in francese).

Quella che è stata la strategia di “de-barkhanizzazione degli animi” – per superare il modus operandi della praticamente fallita missione Barkhane in Sahel (durata una decina d’anni, come il lancio di Serval nel gennaio del 2013) – annunciata il nove novembre scorso dal Presidente Macron, prevede una funzione di supporto alle Forze Armate del Niger, che avrebbero dovuto aumentare fino a 50mila unità nel 2025 e 100 mila nel 2030.

Secondo l’ex ministro della difesa del Niger (2016-2019), due mesi fa, «I francesi ci forniscono la formazione militare, del materiale, dell’intelligence e dei mezzi aerei che ci mancano. Noi dobbiamo mettere a profitto la loro presenza e quella di altri partner».

Ogni giorno partono dalla capitale Niamey caccia e droni francesi per supportare le truppe del Niger. Nella tarda primavera un seminario che  aveva recentemente riunito militari francesi e del Niger sull’uso di droni: i Reaper americani per i primi, i Bayraktar per i secondi.

In realtà, come ha cercato di mettere in luce una inchiesta del sito d’informazione indipendente Mediapart, la guerra francese in Sahel continua in tutta opacità, con 2.500 soldati tra Niger e Ciad, senza che l’obiettivo e la cornice legale di questo intervento abbiano un profilo preciso.

Rémi Carayol, autore dell’inchiesta, ricorda che oltre ai 2.500 militari impegnati nella zona, ci sono «quelli presenti da tempo nelle basi di Dakar (Senegal) e di Abidjan (Costa d’Avorio), e quelle, più lontane, di Libreville (Gabon) e di Gibuti». Non proprio un disimpegno…

Ma la Francia non è l’unico Paese ad avere concentrato il suo dispiegamento in Niger per contribuire alla “sicurezza del Sahel”.

Boris Pistorius, ministro della difesa tedesco, in occasione della sua prima visita nella regione il 12 aprile aveva dichiarato «il nostro futuro impegno militare nel Sahel sarà basato sul Niger».

A novembre dello scorso anno la Germania infatti aveva annunciato la sua volontà di ritirare le proprie truppe impegnate nella missione ONU MINUSMA nell’ONU.

Il governo tedesco ha poi deciso a marzo di inviare in Niger sessanta soldati per partecipare alla nuova missione missione condotta dall’Unione Europea (EUMPM Niger); una decisione ratificata a fine aprile del Bundestag.

Al comando di tale missione vi è il colonnello italiano Antonio D’Agostino.

La missione è stata formalmente avviata il 12 dicembre dell’anno scorso, per una durata di 3 anni, teoricamente in risposta ad una richiesta giunta dalla Repubblica del Niger il 30 novembre 2022.

Sorprende la minima distanza temporale tra la richiesta e la sua accettazione!

La Common Security and Defence Policy (CSDP) military partnership mission in Niger (EUMPM Niger), è stata lanciata dal Consiglio il 20 febbraio.

Secondo quanto si legge dai documenti ufficiali, la EUMPM Niger «supporta in particolare la costruzione di un Centro per l’addestramento dei tecnici delle Forze Armate, fornisce assistenza e formazione specialistica su richiesta degli specialisti delle Forze Armate del Niger, e sostiene la creazione del nuovo battaglione di comunicazione e comando».

Il Consiglio dei Ministri della Ue, a marzo, ha stanziato 40 milioni di euro in supporto alle Forze Armate del Mali. Lo stanziamento avrebbe aiutato la creazione di battaglione di supporto a Téra, Tillabery.

Insomma: il paese ricco di uranio, con riserve di petrolio stimate attorno ai 2 miliardi di barili, e che sta ultimando un’importante una pipeline petrolifera (la più grande dell’Africa), è divenuto il pivot della nuova strategia Occidentale in Sahel.

Vedremo se la piega degli eventi seguirà la parabola avvenuta in Mali ed in Burkina Faso, dove le “giunte militari patriottiche” si sono fatte interpreti del desiderio di cambiamento delle popolazioni e della volontà di de-connessione nei confronti di un Occidente solo nominalmente “post-coloniale”.

Ironia della sorte, a fine novembre Bazoum negava che si esprimesse un sentimento “anti-francese” nel suo paese, e pensava che un “colpo di stato” fosse un’ipotesi più che aleatoria.

Come altri prima di lui, Bazoum pensava che sua sostanziale subordinazione all’Occidente fosse una fonte di sicura rendita politica.

I fatti hanno di mostrato il contrario.

P.s. Per un’inquadramento complessivo delle vicende nel Sahel rimandiamo al Dossier curato dalla Rete dei Comunisti: https://www.retedeicomunisti.net/2022/02/20/il-sahel-punto-di-caduta-dellimperialismo-dellunione-europea/

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