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America Latina. Al via il Vertice e l’Assemblea dei popoli dell’Amazzonia

Si svolgerà l’8 e il 9 di agosto a Belem, alle porte della foresta Amazzonica sull’Atlantico, il vertice dell’Organizzazione del trattato di cooperazione amazzonica dopo 14 anni di inattività dall’ultimo incontro nel 2009.

Al vertice saranno presenti i presidenti degli Stati membri: Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela. Sono stati invitati anche il Congo e l’Indonesia, paesi tropicali dove sono presenti altre enormi entità forestali, e il presidente francese Macron (che non ha confermato la presenza) in quanto la Francia mantiene il “territorio d’oltremare” di coloniale memoria della Guyana francese.

L’incontro dei Ministri e dei capi di Stato sarà preceduto dai “Dialoghi amazzonici” e dal ”Assemblea dei popoli amazzonici” dal 4 al 9 di agosto, che coinvolgono sin dalla loro organizzazione rappresentanti di enti, movimenti sociali, università, centri di ricerca e agenzie governative di tutti gli Stati coinvolti, con una partecipazione prevista di oltre 10000 persone.

Questi incontri hanno l’obiettivo in particolare di produrre documenti e di portare al vertice dei ministri e dei capi di stato le richieste delle popolazioni coinvolte.

Tra le partecipazioni più notevoli quella annunciata dal Movimento dei lavoratori e contadini senza terra (MST) che con oltre 1 milione di membri è una delle più grandi e longeve organizzazioni radicali di contadini del continente.

L’ambizione è chiara ed è stata ribadita da Lula da Silva in una recente conferenza stampa: per la prima volta sottoscrivere un documento comune di tutti i paesi che insistono sulla foresta per arrivare insieme alla COP 28 delle Nazioni Unite per il Clima che si svolgerà negli Emirati Arabi Uniti dal 30 novembre al 12 dicembre 2023.

Il presidente brasiliano ha affermato che il documento “deve permettere di fare una discussione seria coi paesi ricchi, che dal 2009 a oggi avevano promesso di destinare 100 miliardi di dollari per i paesi emergenti e poveri come fondo di aiuto per la manutenzione e il mantenimento delle foreste e preservare la biodiversità” i quali “non è dato a sapere dove siano finiti e se siano mai stati distribuiti”.

Non appare casuale il silenzio mantenuto da Macron fino ad oggi, e appare improbabile una sua partecipazione a un summit che vuole pretendere risposte e un impegno serio da parte dei paesi dell’ex “primo mondo”.

A pieno titolo il Brasile sarà il protagonista della discussione, dato che il 60% dell’intera foresta si trova nel suo territorio e che il summit è stato fortemente voluto dal proprio presidente, così come dal neo-eletto presidente della Colombia Petro, avendo nelle intenzioni un forte impatto nell’aumento della cooperazione tra i paesi dell’area.

In un’intervista di ieri al britannico Guardian, nel quadro di iniziative di promozione del summit, la Ministra dell’Ambiente e del cambiamento climatico del Brasile Marina Silva ha annunciato che nel mese di luglio 2023 la deforestazione dell’Amazzonia è calata del 60% rispetto al luglio del 2022.

Un dato che la stessa Ministra definisce un’eccezione ma che si colloca dentro quello che si conferma essere un trend ovvero il già positivo calo del 33% della deforestazione tra gennaio e giugno 2023 cioè dall’insediamento di Lula alla presidenza con il ripristino delle politiche ambientali e dei controlli statali, rispetto agli stessi mesi del 2022, e in linea con quanto è accaduto per tutto il suo primo governo.

Diamo una dimensione del fenomeno. I numeri diramati dal Gabinete de Transição, organo statale brasiliano, sono impressionanti e parlano di una perdita di 45.000 kilometri quadrati di foresta (1/6 dell’intera superficie Italiana cioè come le regioni Veneto ed Emilia-Romagna accorpate) durante i 4 anni di governo Bolsonaro.

I dati disponibili, seppur variabili, si aggirano su questo ordine di grandezza e sono confermati da diversi istituti pubblici e privati brasiliani e internazionali di monitoraggio, fra cui l’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile, attaccato e neutralizzato dal presidente di destra che ha sempre negato il fenomeno e il suo impatto sui cambiamenti climatici, stigmatizzandoli come fake news volte a destabilizzare il suo governo.

Numerosi studi si trovano anche su organismi europei e non (vedi il completo dossier di Greenpeace: https://www.greenpeace.org/italy/comunicato-stampa/15551/greenpeace-con-bolsonaro-la-deforestazione-dell-amazzonia-in-brasile-e-aumentata-del-75/ )

È evidente che la foresta Amazzonica ricopra un’importanza strategica per il Brasile e non solo, per l’enorme impatto che ha nell’equilibrio ambientale mondiale e gli interessi economici che premono su di essa.

La deforestazione selvaggia è dovuta non solo al traffico di legname da costruzione e pregiato ma anche alla pressione delle multinazionali agricole per l’estensione delle coltivazioni in particolare di soja, dell’allevamento intensivo, della pesca nei suoi fiumi e allo sfruttamento delle enormi riserve d’acqua dolce; a questo si somma l’estrazione mineraria di oro, ferro, bauxite, petrolifera tra gli altri e non da ultimo il narcotraffico dai paesi produttori confinanti verso il Brasile e poi verso Europa e Stati Uniti.

I problemi ambientali sono da tempo elemento di scontro politico in Brasile e lo sono stati non solo in polemica con la gestione della destra e di Bolsonaro, ma anche in “casa Lula”, dove hanno generato non pochi problemi.

Per citare il caso più noto ed eclatante, l’attuale Ministra dell’Ambiente Marina Silva diede prima le dimissioni dal precedente governo Lula dove ricopriva lo stesso incarico di oggi e poi uscì dal Partito dei Lavoratori nel 2009 in polemica per le pressioni ricevute e i ripetuti scontri, in particolare con l’allora Ministra per le Miniere e l’Energia Dilma Rousseff, e denunciando il blocco sul programma ambientale del governo.

Qualcosa deve essere cambiato se oggi ha accettato di ricoprire la stessa posizione, nonostante il problema di conciliare l’utilizzo delle risorse naturali per lo sviluppo del paese e la loro conservazione rimane estremamente complesso.

Negli ultimi anni la “questione ambientale” ha assunto un’importanza sempre maggiore anche nello scontro politico internazionale. Costantemente richiamata nei summit internazionali e nelle dichiarazioni degli esponenti politici, spesso è stata utilizzata come elemento di pressione e ricatto verso i paesi “in via di sviluppo” o meglio verso temibili competitor nei confronti dell’Occidente e a cui si cerca di addossare la responsabilità della “crisi climatica” che si va manifestando prepotentemente in ogni angolo del pianeta, come sanno ormai persino gli abitanti dell’Emilia-Romagna letteralmente sommersi negli scorsi mesi.

La contrapposizione, più in generale, è infatti quella fra sviluppo e tutela dell’ambiente, che in un sistema che si basa sullo sfruttamento illimitato delle risorse naturali per alimentare il profitto non possono che essere in netta contrapposizione.

In questo quadro l’ambizione a “prendere di petto” la questione da parte del mandatario brasiliano assume i tratti di una sfida epocale e di discontinuità persino rispetto al suo precedente mandato.

In una trasmissione-dialogo con le più importanti emittenti FM dell’immensa regione per spiegare l’evento Lula ha parlato esplicitamente della necessità non solo di preservare la foresta per la sua importanza ambientale ma di farlo con al centro la necessità dello sviluppo della società brasiliana, del diritto delle popolazioni e delle comunità indigene e contadine all’accesso alla salute, alla casa, all’istruzione, al “vivir bien” e ha rigettato il ricatto sulla salvaguardia dell’ambiente con il diritto dei paesi di trovare la loro via per lo sviluppo e all’uscita dalla povertà giusto e sostenibile e rispettoso dell’ambiente.

Un programma di questo tipo non può prescindere da una responsabilità che vada oltre i popoli e i paesi che possiedono le risorse naturali ma implica un freno allo sfruttamento di queste risorse per il profitto privato, in particolare da parte dei paesi ricchi, un cambio di paradigma nell’idea e nel modello di sviluppo e delle relazioni internazionali.

Questo intento si colloca quindi dentro un piano più vasto della agenda lulista che prevede un nuovo protagonismo brasiliano sullo scacchiere mondiale già esplicitato con veemenza al vertice UE-CELAC svoltosi a Bruxelles lo scorso 17-18 di luglio e con la proposta di mediazione nel conflitto russo-ucraino.

Non a caso in questi giorni Lula ha ribadito, oltre all’obiettivo del documento per la Cop 28 sui fondi che i paesi ricchi devono destinare a questo scopo, l’importanza di rafforzare la cooperazione al prossimo vertice dei BRICS in Sudafrica dove si discuterà la creazione di un fondo che deve “servire ad aiutare i paesi in difficoltà, e non ad affossarli come invece fa spesso il Fondo Monetario Internazionale”, e il ripristino delle relazioni con il Venezuela grazie alla partecipazione e all’incontro con Maduro al vertice Amazzonico.

Una prospettiva a tutto tondo estremamente ambiziosa che seppur non priva di difficoltà e di contraddizioni sicuramente rafforza una visione del mondo e la possibilità di un’alternativa di sistema dentro un processo di scontro epocale tra il vecchio e il nuovo che si consuma nel continente americano da più di due decenni.

La stessa preparazione del vertice, con il coinvolgimento largo e importante di centinaia di organizzazioni sociali di base del continente, esprime un’idea (e una pratica) lontana anni luce a quanto siamo abituati a vedere in casa nostra, dove è il dialogo tra governi (sempre più svuotati dall’investitura democratica e popolare), le imprese, le lobbies e gli operatori finanziari a determinare l’agenda strategica e le politiche pubbliche, con un attacco dichiarato alle classi popolari.

Il punto quindi non è se Lula o qualche altro presidente “salveranno il mondo”, ma che la spinta popolare di un continente che si è risvegliato sta producendo anche a livello politico e istituzionale, in quei paesi e sul piano internazionale, un cambio di passo e uno scontro che fanno riemergere la possibilità concreta dell’alternativa di sistema.

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1 Commento


  • Andrea

    oggi a tome açu qui nel nordest del pará hanno sparato a un indio. é stata la polizia militare dicono gli indios. gli sgherri del governatore helder barbalho (che adesso si atteggia a difenspre dell’amazzonia) stavano proteggendo una fattoria accusata dagli indios di aver rubato la loro terra. sono giá parecchi gli indigeni uccisi nel governo arruale e molti per la polizia.

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