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Niger: una seconda guerra mondiale “africana”?

Domenica 6 agosto è scaduto formalmente l’ultimatum della Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest – Cedeao, l’acronimo francese, ECOWAS quello inglese – nei confronti della giunta golpista del Niger, che il 26 luglio ha destituito il presidente Mohamed Bazoum.

La Cedeao, che comprende 15 Stati, si  è detta pronta ad intervenire militarmente, dopo che il 30 luglio aveva dato 7 giorni per ristabilire lo status quo ante, sotto minaccia di utilizzare «la forza».

Domenica sera, a qualche ora dalla scadenza dell’ultimatum, secondo quanto riferisce l’agenzia stampa francese AFP, circa 30 mila sostenitori del ‘Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria’ – l’organosmo che ha preso il potere – si sono radunati allo stadio Syeyni Kountché nella capitale Niamey, acclamando i militari.

Manifestazioni di sostegno al CNSP si erano svolte nelle giornate di venerdì e sabato. Con i militari al potere si è permesso di manifestare a ciò che era l’opposizione a Bazoum, mentre durante il suo mandato le manifestazioni che denunciavano la presenza militare francese erano state bandite e il coordinatore della coalizione dei gruppi che ne contestavano le politiche, l’M62, era stato arrestato.

I ‘militari patriottici’ non sembrano cedere di un millimetro davanti alle minacce di intervento della Cedeao, e dallo scorso giovedì, in un clima di mobilitazione generale, hanno chiamato l’intera popolazione alla “vigilanza” .

I contorni dell’ipotetico intervento i sono stati definiti lo scorso venerdì dai capi di stato maggiore di alcuni eserciti, come quello del Senegal e della Costa d’Avorio, che si sono detti pronti a partecipare.

A Parigi, sabato, la ministra degli esteri Colonna ha di fatto dato il proprio nulla osta ufficiale all’ipotesi di rsoluzione militare della crisi in Niger, affermando che appoggia «con fermezza e determinazione» gli sforzi della Cedeao per far fallire il tentativo di Putsch: «Ne va dell’avvenire del Niger e della stabilità di tutta la regione», sono state le sue parole.

Il Niger – importante paese esportatore di uranio, oro, diamanti, e con importanti riserve petrolifere – ha messo in discussione gli accordi di cooperazione con la Francia, che ha nel paese ben 1.500 militari, insieme ad altri contingenti europei, tra cui circa 300 soldati italiani e 1100 soldati statunitensi.

Ormai la Francia, che ha visto fallire la propria strategia militare in Sahel dopo la fine dell’operazione Barkhane, che aveva come perno proprio il Niger, gioca a carte scoperte.

Catherine Colonna, in una intervista a RFI, ha detto che ciò che è avvenuto in Niger è un «colpo di stato di troppo» dopo quello in Mali, Guinea Conakry e Burkina Faso.

Un effetto domino che nel giro di tre anni ha annichilito la dominazione neo-coloniale francese in un territorio considerato da sempre il suo pré carré.

Il ministro della difesa, Sébastien Lecornu, ha assicurato alla AFP che sapeva che «la situazione in Niger era fragile».

Nonostante queste rassicurazioni è chiaro che si tratta dell’ennesimo smacco per l’intelligence dell’Esagono e di una scommessa politica sbagliata.

Contro l’avventurismo militare degli ascari dell’Africa Occidentale si sono espressi sia il Mali che il Burkina Faso, che hanno affermato che l’intervento armato sarebbe una «dichiarazione di guerra» nei loro confronti.

Si sono detti contrari all’intervento la Guinea-Conakry e l’Algeria. Il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune ha espresso il proprio rifiuto categorico, affermando che tale ipotesi sarebbe «una minaccia diretta per l’Algeria».

Tebboune ha ribadito che non ci sarà alcuna soluzione senza l’Algeria, che condivide un confine di 1000 km con il Niger, ed ha ricordato cosa sia avvenuto in Siria ed in Libia.

Anche coloro che si sono detti pronti ad intervenire e potrebbero giocare un ruolo rilevante, come la Nigeria di Bola Tinubu ed il Senegal di Macky Sale, hanno seri problemi di consenso al proprio interno, mentre il Benin – che si accoderebbe alle decisioni della Cedeao – ha tenuto a ribadire la priorità del tentativo di una risoluzione diplomatica.

Tutte le forze popolari e progressiste del Sahel hanno condannato l’ipotesi di intervento, come ha riportato il sito di informazione indipendente Peoples Dispatch.

In Senegal, il leader dell’opposizione – Sonko – è stato di recente nuovamente arrestato, la maggiore formazione dell’opposizione – PASTEF – sciolta; disabilitato anche l’utilizzo di Tik Tok.

Un giro di vite significativo in vista delle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo anno.

In Nigeria, l’opposizione rifiuta l’ipotesi di intervento armato in Niger, che potrebbe trascinare il paese nel baratro.

La Nigeria, che ha un confine di circa 1.500 chilometri con il Niger, in caso d’intervento militare sarebbe il principale contributore in termini «finanziari, umani e logistici», riporta il quotidiano francese Le Monde.

In una riunione a porte chiuse il Senato della Nigeria si è espresso a maggioranza contro l’avventura bellica. Un particolare non da poco, considerando che la Costituzione afferma che senza l’avvallo del Senato le forze di sicurezza non possono combattere in un paese straniero.

Il presidente può bypassare il giudizio del Senato in caso di «rischio imminente o pericolo», ma ha comunque non più di sette giorni – iniziato il conflitto – per chiedere l’approvazione della Camera Alta.

La coalizione dell’opposizione – Coalition of United Political Parties – in un comunicato pubblicato sabato ha affermato che un intervento militare in Niger non sarebbe solo «inutile» ma «irresponsabile».

La situazione di insicurezza all’interno, la grave crisi economica che affronta il Paese – aggravatasi dopo la fine dei sussidi sui carburanti, che ne hanno fatto quadruplicare il prezzo con metà della popolazione che vive già sotto la soglia di povertà, i legami storici tra le popolazioni che vivono ai due lati del confine “artificiale” tra il Niger e la Nigeria, la presenza di circa 200 mila profughi nigeriani fuggiti dalla violenza jihadista verso il Niger – sono elementi che danno la cifra dell’azzardo dell’eventuale forzatura militare da parte di Tinubu.

Un intervento militare farebbe quindi “precipitare” in un senso o nell’altro la situazione in Sahel, e si tratterebbe di una sorta di ‘seconda guerra mondiale africana’, dopo quella di fatto combattuta in Congo.

L’Occidente ed i propri ascari stanno nuovamente giocando con il fuoco, ma non è affatto detto che, se passassero alle vie di fatto, il proprio avventurismo non potrebbe risolversi in un gigantesco boomerang per le aspirazioni neo-coloniali e per la rendita politica delle vacillanti pedine in loco.

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2 Commenti


  • Nico

    Che mistero buffo il senso con cui l’occidente si permette di giudicare rivoluzione o golpe, e chi può autodeterminarsi e chi no.
    Forza Nigerini! Avete tutto il mio sostegno!


  • Giallo

    cercate su YouTube il video di meloni/franco CFA e paragonate le sue parole(2019) a ciò che afferma oggi. 1 minuto di verità che deve rimanere nascosta

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