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I giorni della fine della seconda guerra mondiale

Siamo, in questi giorni, ai primi di settembre: 78 anni fa si concluse la più grande carneficina della Storia, la seconda guerra mondiale.

Approfittiamo di un bel documentario uscito sulla fine della seconda guerra mondiale in Asia (link nella nota in fondo a questo articolo) per ricostruire stringatamente quei mesi, smontando nel frattempo alcune narrazioni che ancora oggi circolano indisturbate.

I mesi che seguirono la resa della Germania (8-9 maggio 1945), videro la fiera determinazione del Giappone a resistere, anche se era ben chiaro che il Sol Levante aveva perso la guerra.

Il generale Douglas McArthur – nonostante i bagni di sangue del 1945 per conquistare due piccole isole (Iwo Jima e Okinawa) – si prende l’incarico di pianificare, per il novembre 1945, la più grande invasione di terra della storia, maggiore di quella di Eisenhower in Normandia nel 1944.

Il Giappone, disperato, adotta la mentalità kamikaze estesa all’intera nazione e promette agli yankees di fargliela pagare carissima: combattimenti all’ultimo sangue, con l’esercito del territorio metropolitano ancora forte, con gli aerei kamikaze, con la popolazione addestrata a combattere all’arma bianca fino alla morte.

L’invasione del Giappone – a novembre – non è in realtà una prospettiva realistica.

L’URSS ha promesso di abbandonare la sua neutralità e invadere Manciuria e Corea, sempre in mano nipponica, anche se isolate dal Giappone a causa di un blocco navale totale. Lo farà con calma, spostando l’esercito che ha vinto in gran parte la guerra in Europa sul fronte orientale, pagando un prezzo altissimo.

Il compenso ad est per l’URSS non è poi granché: l’isola di Sakhalin e l’arcipelago delle Kurili. Quando l’URSS farà quel passo, per il Giappone sarà finita. I Giapponesi tuttavia avviano trattative proprio con l’URSS ancora neutrale, a giugno e luglio: pensano di avere ancora margini di manovra per una “pace onorevole”.

La rimozione del generale Tojo da primo ministro nel luglio 1944 ha fatto sì che si creino pian piano due fazioni contrapposte: il governo, possibilista per la pace, e l’esercito, fermamente convinto a combattere ferocemente.

I militari giapponesi sanno che le recenti carneficine hanno impressionato gli americani: ai quali la prospettiva di un altro mezzo milione di morti USA – ad essere ottimisti – preoccupa, contando che finora hanno avuto, in tutta la guerra, meno di 300.000 morti.

I Giapponesi sperano di evitare la resa incondizionata, non importa se al prezzo di milioni di giapponesi uccisi, pensano che gli invasori ad un certo punto proporranno una tregua. E’ un gioco al massacro assurdo, ma non privo di ragioni: i giapponesi contano proprio sull’opinione pubblica americana perché imponga uno stop alla guerra.

Fuggendo in avanti di 30 anni, l’opinione pubblica USA fu ad esempio determinante per la guerra del Vietnam: gli americani medi si smuovono solo per le bare che tornano in patria con la bandiera stelle e strisce, e nell’estate del 1945 serpeggia una naturale avversione a prolungare la carneficina (dei loro soldati: mezzo milione di ucraini, per fare un esempio attuale, poco importano).

La situazione agli inizi di luglio è quindi quasi di stallo, quando si verificano due fatti che precipitano le cose:

– Il 16 luglio, ad Alamogordo, viene testata con successo la prima bomba atomica. La sua forza distruttiva è oltre le aspettative, equivale a 20.000 tonnellate di tritolo in un solo ordigno, con un nocciolo di plutonio di pochi chilogrammi. Due altre bombe son pronte all’uso subito, una terza seguirà per fine agosto, e prima di novembre si prevede di averne una decina. Ognuna sta su un aereo B-29, che può decollare da Tinian nelle Marianne, volare altissimo e sganciare indisturbato. Il Giappone del 1945 non può fare nulla per difendersi.

– Il 17 luglio, i “tre grandi”, Stalin, Churchill (poi sostituito da Attlee) e Truman – novellino al suo primo summit – si riuniscono a Potsdam, per decidere la spartizione della Germania e per lanciare un ultimatum al Giappone. Truman ha ora però un asso nella manica, ed annuncia a Stalin che gli USA hanno la bomba atomica pronta. Stalin incassa da buon giocatore di poker, dice di esserne contento, e si raccomanda che gli USA “ne facciano buon uso contro il Giappone“.

L’ultimatum di Potsdam può dunque essere duro e senza compromessi: resa incondizionata. Se il Giappone non si arrenderà, farà la fine della Germania.

Nessun cenno in positivo o negativo sul destino dell’imperatore. Quest’ultimo fatto rende l’ultimatum inaccettabile per il Giappone, che infatti “mokusatsu”, cioè “ucciderà col silenzio” quell’ultimatum, visto come una intollerabile offesa.

Truman alla TV promette distruzione totale, intima la resa, e non esagera. Ma Stalin ora non procede più con calma, la bomba atomica ha cambiato tutto. Da un lato dà un’accelerata al programma nucleare sovietico, ma soprattutto ha fretta di partecipare alla festa finale al Giappone, teme che gli USA possano finirla senza il suo intervento. Accelera i preparativi: ai primi di agosto – con uno sforzo logistico senza precedenti in tutta la guerra – un’armata formidabile si appresta a invadere la Manciuria.

E’ iniziata la corsa USA-URSS, quindi. Proprio l’invasione russa imminente convince Truman a non tentennare con l’uso dell’atomica; niente lancio dimostrativo su Okkaido in zona deserta (come proposero parecchi scienziati del progetto Manhattan), si cerca invece il massimo effetto: Hiroshima, ben densamente popolata, fino ad allora quasi indenne, e con molti edifici in legno.

Il sei agosto, 70.000 persone muoiono all’istante, altre decine di migliaia, meno fortunate, nei giorni e settimane successive fra sofferenze atroci, peggio che a Dresda a febbraio e a Tokyo a marzo 1945.

Non è che un morto per l’atomica “muoia di più” rispetto a un bombardamento incendiario al fosforo, ma è l’orrore per questo nuovo tipo di arma, una bomba sola capace di tanta distruzione, moltiplicabile a volontà dell’attaccante; e la terribile novità delle radiazioni, le ustioni profonde, incurabili e orribili, la gente apparentemente poco ferita che nelle settimane successive muore di sindrome acuta da radiazioni, consumata re devastata come un ustionato, leucemico, anemico e con emorragie interne, tutto assieme.

Mi fermo qui.

Bastava questo, a quel tempo poco si sapeva sugli effetti cancerogeni a lungo termine: fu proprio seguendo gli “Ibakusha” (gli alto-irraggiati sopravvissuti) che si scoprì questa ulteriore maledizione.

Truman annuncia di avere distrutto Hiroshima “a military base” (vero solo diciamo al 20%) con una bomba atomica, e che è solo l’inizio. Non dice che ne hanno pronta soltanto un’altra, il segreto sull’arma è assoluto e spaventoso, intima ancora una volta la resa, stavolta parlando di “distruzione senza precedenti e inimmaginabile” se il Giappone non si piegherà.

Purtroppo, il governo giapponese – pur impressionato – è ancora ostaggio dei militari e ufficialmente non si smuove: Hiroshima non è la prima città distrutta che hanno avuto, Tokyo a marzo ha fatto più vittime, il popolo giapponese sopporterà anche questa terribile prova, “resisteremo”, etc. etc.

Il nove agosto c’è la vera svolta: da un lato, gli USA bombardano Nagasaki, casomai qualcuno pensasse che Hiroshima fosse solo un’una tantum (la bomba causa leggermente meno morti perché il territorio non è piano ma collinoso, ma siamo lì), ma soprattutto l’URSS invade quel giorno la Manciuria ed è chiaro che in pochissimo tempo travolgerà le forze giapponesi come uno schiacciasassi.

L’Armata Rossa ha appena fatto a pezzi la Wehrmacht, è una macchina da guerra formidabile.

Le ultime speranze del Giappone quindi svaniscono con la dichiarazione di guerra dell’URSS, nessuna “resa condizionata”, devono solo decidere a chi arrendersi incondizionatamente, capire quale dei due nemici offra più probabilità di salvare almeno l’imperatore. Il quale è determinante: per la prima volta interviene di persona, decide che il Giappone deve arrendersi incondizionatamente: agli americani.

Il 15 agosto Hirohito – scongiurato un ultimo tentativo di colpo di stato dei militari – parla alla nazione alla radio, cosa mai successa nella storia: è un nastro registrato alle 23 del 14 agosto. Il “Dio in terra” parla alla popolazione, dice che il Giappone deve “tollerare l’intollerabile” e arrendersi: agli USA, quindi, l’Unione Sovietica non viene neppure menzionata.

Racconta McArthur che i giapponesi chiesero solo di salvare almeno formalmente l’istituto imperiale; gli americani non avevano problemi a riguardo, purché alle loro condizioni: occupazione militare totale del Giappone, McArthur viceré con pieni poteri fin quando pareva agli USA, Hirohito un semplice pupazzo, utile per tenere buoni i giapponesi. E finalmente, fine della guerra.

Gli americani invadono il Giappone, dopo il 15 agosto, ma pacificamente: milioni di giapponesi prima pronti a farsi uccidere, piuttosto che arrendersi, ora lasciano fare a poche decine di migliaia di soldati americani: la volontà dell’Imperatore non può essere minimamente discussa. Chi non può sopportare l’onta, si ucciderà: i generali, facendo harakiri, ma i suicidi assommeranno a molte migliaia anche fra la popolazione.

E L’URSS? Senza il suo intervento decisivo, abbiamo visto, il Giappone non si sarebbe arreso così presto, ma Stalin era realista. Capì che non poteva arrivare “a piatti quasi lavati” in una guerra che era degli USA, e farla troppo da padrone; l’esercito sovietico però fece buon uso della mancata resa del Giappone, occupò in poco tempo, nella seconda metà di agosto, tutta la Manciuria e pure la Corea (fermandosi però al 38esimo parallelo), oltre che le isole pattuite.

Fece un po’ come noialtri con gli austriaci a Vittorio Veneto nel novembre del 1918. Le trattative segrete con gli USA ebbero come contropartita del “comportamento comprensivo” di Stalin l’estensione della sfera di influenza sovietica in Europa ben oltre i limiti concordati a Yalta in febbraio: Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, al 100%, non 50-50, 75-25, come nel pizzino di Roosevelt siglato da Stalin a Yalta.

Gli occidentali mollarono definitivamente il governo polacco “bianco” in esilio, anche la Polonia fu totalmente comunista. Ed anche al Giappone – vista la situazione – questa resa convenne: risultò esser stato piegato da un’arma nuova e formidabile, invece che essere invaso dai sovietici, che tra l’altro di Hirohito avrebbero fatto carne morta.

L’imperatore invece non fu imputato nella “Norimberga giapponese” del 1946; il Giappone in poco tempo cambiò pelle, gli USA profusero aiuti a piene mani, diventando il baluardo occidentale nell’est asiatico; sempre con Hirohito imperatore, che visse per decenni: criminale di guerra, ma unico ad aver avuto il coraggio di arrendersi al momento giusto.

I crimini di guerra, inarrivabili in atrocità, del Giappone furono in qualche modo quasi dimenticati, il Giappone – da carnefice quale era – nella vulgata occidentale passò a quasi vittima, dato che in qualche modo la sua popolazione la pagò con le due atomiche.

Il documentario che racconta con immagini quanto abbiamo esposto sommariamente qui è in inglese. Anche se di fonte occidentale, dice come andarono esattamente le cose in modo onesto, con i giusti dettagli, senza adagiarsi nelle solite narrazioni di comodo, che ammorbano la verità storica dal 1945.

Ad esempio, spiega la costruzione del mito di comodo della bomba atomica “che da sola vinse la guerra”, mentre ne fu solo una concausa. Riconosce la realpolitik di Stalin che fu abile e anche assennato: aveva già avuto 25 milioni di morti, non era il caso di togliere le castagne dal fuoco agli americani un’altra volta come con i nazisti, accollandosi in parte anche l’invasione del Giappone da nord, scendendo da Sakhalin.

Tratteggia bene la figura di Harry Truman, succeduto a Roosevelt ad aprile, cui nessuno dava un soldo bucato: un piccolo uomo privo di cultura e mediocre parlatore in pubblico, con quella voce chioccia, che si dimostrò invece bene all’altezza. Altro che un ometto indeciso, ebbe invece pochi scrupoli e fu, per la sua parte, decisivo.

Chi furono allora gli unici a pagare questo “bel finale”? Furono i 150.000 morti innocenti a Hiroshima e Nagasaki: in loro nome noi ci battiamo, incrollabilmente, perché non possa succedere MAI PIÙ.

Nel 2025 saranno ottant’anni dalla strage, finché avremo voce ci batteremo con ogni mezzo perché la verità si conosca nei particolari, senza mitologie e narrazioni di comodo o consolatorie che addormentino le coscienze, in modo che anche gli scienziati delle prossime generazioni possano fungere da ultimo baluardo della Pace e della vita sulla Terra.

Specialmente quando i potenti del Pianeta, come è capitato e sta capitando, si comportano da stupidi criminali, e per i loro giochi di potere e predominio mettono totalmente a rischio il futuro delle prossime generazioni.

Non serve essere scienziati nucleari per avere un po’ di coscienza, ma per chi conosce quella disciplina è un crimine imperdonabile non averla.

Nota: Si possono attivare i sottotitoli, nel video: il nostro consiglio è di trovare il più giovane in famiglia – purché maggiorenne – che l’inglese magari lo mastica meglio, e guardarlo insieme: sono poco più di 40 minuti. Lo scrivente qui è ovviamente a disposizione per domande, ben conscio di non avere la verità in tasca.

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